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"Niente
tagli alla spesa sanitaria, il servizio pubblico non si tocca"
Sirchia: forse
reintrodurremo i ticket, ma saranno leggeri
Intervista al nuovo ministro della Sanità: "Nessuna rivoluzione
thatcheriana, sogno un sistema universale e solidale"
MASSIMO GIANNINI
In
LA REPUBBLICA 2 Luglio 2001
ROMA - "Niente tagli alla sanità". "Nessuna manovra che riduca i servizi per chi sta male". "Salvaguardia del principio dell'universalità delle prestazioni, perché il servizio sanitario è ormai un patrimonio acquisito della nostra civiltà". "Cambiamento di rotta sulla disciplina della professione medica, cha va valorizzata e non punita". E poi: "Piena attuazione della legge 194, non per ridurre i diritti delle donne, ma per sostenere le famiglie e aiutarle ad affrontare più serenamente la gravidanza". "No all'eutanasia, no alla liberalizzazione delle droghe leggere" e infine "no alla pioggia di divieti sul fumo nei luoghi pubblici". Girolamo Sirchia, uno dei più grandi ematologi italiani appena approdato al dicastero della Sanità, spiega per la prima volta i suoi progetti di ministro del nuovo governo Berlusconi. Ministro Sirchia, cominciamo dal fronte più caldo, quello della spesa. La sanità continua ad essere uno dei capitoli fuori controllo. Tra Dpef e Legge Finanziaria, siamo alla vigilia di una dura stagione di tagli? "No, lo escludo. Noi dobbiamo partire da un presupposto fondamentale. La nostra sanità mostra un livello di spesa inferiore al 6% del Pil, contro una media superiore all'8% negli altri Paesi europei. A fronte di questa sanità sottofinanziata, continuano ad essere intollerabilmente alti gli sprechi. Quindi, in vista del Dpef e della Finanziaria l'indirizzo politico che io intendo seguire è questo: la spesa sanitaria non si può tagliare". Ma il suo collega Tremonti le chiederà di tagliare, visto che c'è da finanziare il costoso pacchetto dei 100 giorni. "Di qui al 10 luglio discuterò con Tremonti il da farsi. C'è una tensione sulla spesa, che anche nel 2001 cresce molto rispetto al 2000. Sulla farmaceutica, l'aumento è stato di 5 mila miliardi. Anche il costo del personale è lievitato del 10% in termini di spesa reale, cioè di stipendi. Capisco tutto questo. Ma dobbiamo assolutamente evitare interventi sulle prestazioni, che riducano i servizi a danno della gente che soffre. Dobbiamo evitare di imporre altri sacrifici a chi ha appena un discreto servizio, o peggio a chi non ha niente, come i malati cronici. Se tagli alla spesa pubblica si devono fare, non è la sanità il fronte sul quale intervenire". Restano gli sprechi, come ha appena detto. "Infatti. Alla nostra sanità non servano grandi ribaltoni. Sarebbe una follia inventarsi oggi un 'nuovo modello', che avrebbe come unico risultato quello di bloccare tutto. Dobbiamo invece intervenire con il bisturi, in modo selettivo, per razionalizzare la spesa, eliminare gli sprechi, recuperare la cultura della qualità e dell'efficienza". Il vero punto debole restano le regioni. Chi le controlla? Chi si preoccupa degli standard di qualità? "Con le regioni ho appena avviato un dialogo proficuo. Dobbiamo andare avanti. La mia raccomandazione è quella di arrivare a un punto zero, con il quale si elimini il debito progresso. Come arrivarci dovremo deciderlo. A quel punto, potremo introdurre criteri di monitoraggio delle spese e di assicurazione delle qualità di tutte le prestazioni. Lo Stato non vuol fare centralismo, ma dovremo anche stare attenti a non cedere alle troppe pressioni locali. E' un impegno enorme, un impegno di legislatura". La Corte dei conti ha puntato il dito contro il governo di centrosinistra, che ha soppresso i ticket. Che ne pensa? "E' stata effettivamente una scelta improvvida. Anche perché ha innescato un meccanismo perverso. Da un certo momento in poi, gli utenti si sono convinti che prima o poi i ticket sarebbero stati reintrodotti. E così hanno cominciato a fare le loro scorte. Il risultato è che negli ultimi 5 mesi il numero delle ricette è cresciuto di 50 milioni. Una cifra impressionante". Che, unita alla spesa che cresce, vi costringerà a reintrodurre i ticket. E' così? "Vedremo. Forse una qualche forma di contribuzione alla spesa da parte dei cittadini, anche se non è una decisione simpatica, saremo costretti a prevederla. Ma sarà leggera, e non penalizzerà chi ha più bisogno". Intanto ha ha congelato per 6 mesi il prezzo dei farmaci. Le imprese sono deluse, da una misura così "dirigista". "Hanno protestato un po'. Ma ci siamo parlati e alla fine hanno capito: anche se non vedranno crescere ulteriormente i loro margini di profitto, pazienza. Quello che conta è che l'industria farmaceutica non sia demonizzata, come invece talvolta è accaduto. Il nostro benessere dipende dal farmaco, questo dobbiamo ricordarcelo sempre". In campagna elettorale sono circolati progetti di riforma del Polo, che guardavano al modello sanitario Usa: meno pubblico, più assicurazioni private e assistenza indiretta. C'è davvero questa svolta, nel suo programma? "Assolutamente no. L'assistenza indiretta non è vantaggiosa. Qualche intervento di stampo più liberale mi trova d'accordo, ma niente di più. Il privato nella sanità è importante, ma purchè ci sia un pubblico forte. Ed è questa la priorità: rafforzare e migliorare il sistema pubblico, strozzato dalle inefficienze e dalle burocrazie. Basta vedere come sono ridotti certi policlinici nelle grandi città. Raggiunto questo obiettivo, poi potremmo anche sviluppare le mutue integrative". Quindi lei resta favorevole al principio dell'universalità delle prestazioni del Welfare? "Il sistema sanitario nazionale, universale e solidale, è un nostro grande bene, un patrimonio nazionale acquisito. Nessuno accetterebbe mai di rimetterlo in discussione. Chiarito questo, c'è un pensiero liberale che non prevede un sistema pubblico predominante su un sistema privato, asfittico com'è oggi. Un riequilibrio tra pubblico e privato è possibile. Ma è un progetto di lungo periodo". I medici restano molto critici, sulle novità di questi ultimi anni. La scelta obbligata e definitiva tra la professione dentro o fuori dagli ospedali è uno dei punti più controversi delle ultime riforme. "Lì noi dovremo reintervenire al più presto. Ci vuole davvero, in quel caso, un po' di sano liberalismo. Io proporrò la reintroduzione della reversibilità del rapporto unico della professione medica. Alla fine il grosso dei medici, posto di fronte all'alternativa secca, ha scelto la professione 'intra moenia' solo perché gli conveniva un po' sul piano economico, ma l'ha fatto senza convinzione e senza entusiasmo. Nel frattempo i primari più prestigiosi e preparati, che dovevano essere i grandi maestri per le nuove generazioni, se ne sono andati dagli ospedali. E le liste d'attesa non si sono sfoltite, i servizi sono rimasti scadenti. Insomma, questa disciplina della professione, punitiva e un po' illiberale, ha finito col penalizzare sia i medici che i pazienti. Dobbiamo cambiare. Mancano 30 decreti attuativi al completamento di quella riforma, e noi a questo punto non li vareremo. Puntiamo invece a reintrodurre per i medici un meccanismo premiale". Su questo quindi lei boccia il centrosinistra? "Io cerco solo di dire con umiltà cose di buonsenso. E da operatore della sanità, dico basta agli scontri ideologici. Non è questo che ci chiedono i cittadini e i malati". Parliamo di bioetica. La sua prima uscita da ministro ha fatto discutere: rivediamo la legge sull'aborto. Perché? "Su questi temi così importanti per la coscienza e la collettività c'è un Parlamento, che discute e decide. Io posso esprimere un'opinione personale. A mio parere la legge 194 va rivista in questo senso: c'è una parte della legge, quella che si ispira all'articolo 5 della Costituzione, che dev'essere ancora attuata e che dovrebbe fornire ampio sostegno alla famiglia e alla donna in gravidanza. Secondo me bisogna attuare questa parte della legge, perché per molte donne l'aborto nasce dal disagio di non poter sostenere la nascita e il mantenimento di un figlio. Anche qui, dunque, non propongo rivoluzioni. Ma solo quello che ho già fatto in comune due anni fa, con una delibera nella quale prevedemmo l'erogazione di assegni integrativi per le donne in gravidanza". E dell'eutanasia cosa pensa? E' ora di sancire un diritto a "staccare la spina", come aveva chiesto Veronesi? "Anche qui, le dò una mia opinione del tutto personale. Non condivido l'idea di un medico che infligge la morte a un essere umano, anche se allo stadio terminale. La difesa della vita è un paletto fondamentale, che noi dobbiamo salvaguardare. Se si comincia a staccare la spina a chi non ha più speranza, io temo che si scivoli su un piano inclinato pericolosissimo. Poi toccherà al malato di Alzheimer, poi all'oligofrenico, e poi chissà ancora a chi altro. E' un rischio che non possiamo correre". Un'altra campagna del suo predecessore era stata l'anti-proibizionismo per le droghe leggere. Lei che posizione ha? "Io personalmente ritengo che la liberalizzazione delle droghe leggere non sia vantaggiosa. Le esperienze dei Paesi che l'hanno introdotta non sono positive, e ci dimostrano che là dove cresce l'offerta aumenta subito anche la domanda. Non solo. Dal punto di vista del cittadino, io credo che quando si vede lo Stato che vende marjuana o hashish si ingenera il convincimento, pericolosissimo, che in fondo queste droghe non facciano poi così male". Ma la stessa cosa non avviene con le sigarette? Su questa base lei dovrebbe essere d'accordo con il ddl di Veronesi sul divieto assoluto di fumare nei luoghi pubblici, no? "Non mi piace molto neanche l'immagine dello Stato che vende le sigarette. Ma per il fumo non credo nella politica dei divieti. Dovremmo evitare di inseguire gli Stati Uniti, che stanno raggiungendo livelli inaccettabili, vietando le sigarette persino negli spazi aperti. Questi divieti irritano solo la gente". Ma lei fuma? "No,per fortuna non ho questa dipendenza". E allora? "Meglio dei divieti, sono le grandi campagne di sensibilizzazione. Ne ho già discusso con la Moratti: presto attiveremo queste grandi campagne di comunicazione istituzionale, sui rischi del fumo e dei superalcolici". Sul fronte sanitario un'altra battaglia tra destra e sinistra si è combattuta sulla terapia anticancro del professor Di Bella. Lei che idea si è fatto? "Credo che il professor Di Bella sia in buona fede. Penso anche che a livello di singolo paziente, con un mix originale di farmaci e vitamine qualche risultato possa averlo ottenuto. Ma dal punto di vista scientifico la terapia Di Bella ha dimostrato di non avere alcun valore". Anche in questo giudizio lei si conferma un tecnico estraneo a certe logiche di schieramento. Non teme di finire schiacciato dalla politica? "Non sono qui per difendere un'ideologia. Sogno una sanità solidale ed efficiente, che riscopra la qualità del servizio e l'attenzione per chi soffre. Tutto il resto non mi interessa".