L´impatto congiunto del prevalere della Destra e della sciagurata riforma
federalistica, propugnata anche dalla Sinistra, sta sfasciando una delle
poche, grandi conquiste sociali del nostro Paese, quel Sistema sanitario
nazionale, alla cui base vi era il principio di garantire a tutti i
cittadini la prevenzione e la cura delle malattie, addossandone il costo,
tranne qualche modesto ed utile correttivo, all´Erario, attraverso il
prelievo fiscale, proporzionale al reddito. Vale la pena di ricordare
questi principi elementari perché la loro applicazione corrispondeva a
criteri di eguaglianza, di giustizia distributiva e di solidarietà,
almeno per quanto riguarda il diritto a cure analoghe per ricchi e poveri,
per i cittadini delle metropoli industriali del Nord e per quelli del più
povero quartiere delle periferie meridionali. Alla base del sistema vi era
la constatazione, ampiamente corroborata dalle statistiche e dai confronti
internazionali, della impossibilità per la stragrande maggioranza della
popolazione di affrontare privatamente i costi crescenti di una
diagnostica sempre più raffinata e di una terapia a spettro sempre più
vasto e sofisticato, soprattutto col prolungarsi dell´età media e col
conseguente aumento del numero degli anziani.
Si tratta di considerazioni al limite della banalità, eppure esse vengono
soppiantate e rimosse dalla vulgata privatistica, che scarica sugli
individui e le famiglie costi crescenti, non sempre affrontabili, se non
dai più ricchi.
Nel contempo viene buttata nella pattumiera, come un´inutile residuato,
il patrimonio prezioso dell´unità solidale della Nazione, in nome della
cosiddetta devoluzione alle Regioni. Così nelle zone dove il reddito
medio è più alto gli abitanti potranno sperare (forse) di conservare un
decente livello di prestazioni, mentre laddove risulta più esiguo, ci si
dovrà rassegnare a cure sanitarie decrescenti.
«In cinque minuti siamo tornati all´Italia preunitaria, ma nessuno, però,
sembra accorgersene», mi ha detto, affranto, un medico di famiglia.
Eppure per avvertirsene basta sfogliare l´ultimo Rapporto del Censis dove
si legge che «con il processo di trasferimento delle competenze e dei
poteri sanitari alle Regioni appare elevato il rischio di una
accentuazione della tradizionale differenziazione territoriale dei livelli
di offerta... con nuovi fattori di diseguaglianza sanitaria». I
cittadini, peraltro, se ne debbono già essersene resi conto, se, a pochi
mesi dalla devoluzione alle Regioni, il 52,6 % fornisce una risposta
negativa sull´esito dell´autonomia regionale in campo sanitario. Se,
poi, si disaggrega il sondaggio Censis per aree territoriali «si
evidenzia una spaccatura netta tra Nord e Centro Sud», dove il 66%
risulta contraria. Ancor più significativo il dato che vede federalisti e
anti-federalisti uniti - al 93,6% - nell´opinione secondo cui le Regioni
dovrebbero fornire tutte le stesse prestazioni sanitarie, mentre il 75,8%
è contrario a una differenziazione regionale dei costi delle cure e il
73% non ritiene opportuno pagare contributi fiscali o ticket aggiuntivi in
cambio di maggiori prestazioni regionali.
Ecco come un giornale non sospetto di simpatie a sinistra, «Il Sole-24
Ore» (11 marzo scorso) descrive la situazione: «Aggirandosi tra ticket
che rinascono, farmaci retrocessi di classe, balzelli locali... e dulcis
in fundo... il tentativo di ridurre i posti letto e dunque i ricoveri...
il fai-da-te regionale per contenere la spesa sanitaria ... è un
guazzabuglio in continua evoluzione... che al momento vede soprattutto le
Regioni governate dal Centro-destra tra le più aperte al ricorso ai
ticket e alle tasse». Per capire come queste decisioni di carattere
generale incidano sui singoli individui è consigliabile scorrere quei
brani di vita vissuta, riportati, talvolta, dalle «lettere al direttore»
di qualsiasi quotidiano. Ne scegliamo una dalla «Stampa» del 28 marzo,
dove la signora Viviana Peretti racconta come suo padre, operato all´intestino,
abbisogni, per le necessità fisiologiche, di appositi sacchetti
applicabili alla cute, dal costo di 450 euro ogni tre mesi. «Mio padre è
un pensionato e finora ci pensava il Ssn. Con la nuova legge regionale, il
50% della spesa sarà a suo carico. Ma quel che mi ha fatto ancor più
indignare è la pretesa di far pagare totalmente ai malati terminali le
cure palliative per alleviare il dolore. Questi signori dovrebbero provare
sulla loro pelle cosa significhi. Pensavo di vivere in un Paese civile in
cui la dignità della persona fosse al primo posto».
|