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NON
BASTA IL MERCATO
DAL NOSTRO INVIATO FEDERICO RAMPINI
SAN francisco
«LA SANITÀ americana non riesce ad affrontare l'allarme carbonchio», denuncia
il New York Times. «Le nuove misure di sicurezza negli aeroporti non funzionano»,
aggiunge il Los Angeles Times. Dalla vigilanza sui voli alla prevenzione del
bioterrorismo, dopo l'11 settembre gli americani hanno avuto una prima
rivelazione: il mercato non può tutto. Per avere sicurezza bisogna chiamare in
soccorso lo Stato. Bush rinnega l'ideologia ultraliberista, apre i rubinetti
della spesa. Ma per ora lo Stato non risponde all'appello. È l'amara sorpresa
di questi giorni: dopo una cura dimagrante di vent'anni, ricostruire poteri di
governo e strumenti pubblici è una fatica titanica.
È un'impresa di lungo periodo, mentre i pericoli richiedono risposte
istantanee.
Lo ammette anche The Wall Street Journal, giornale conservatore
dell'establishment finanziario, di fronte all'allarmecarbonchio: «Il sistema
sanitario americano è spremuto fino al limite delle sue capacità, e anche
oltre». Bush vorrebbe costituire rapidamente una scorta di antibiotici per
curare fino a dodici milioni di pazienti colpiti dal carbonchio. È pronto a
stanziare 1,5 miliardi di dollari, le risorse finanziarie ci sono, ma la domanda
inquietante è questa: ospedali e laboratori, quasi tutti privati, possono
farcela? Una sanità fatta per curare una parte della popolazione - i pazienti
solventi e muniti di assicurazione - trema sotto la pressione di un'emergenza
nazionale. Occorre mobilitare ogni risorsa per proteggere l'intera collettività
nazionale, ma il sistema non è dimensionato per una prova così grande. Lo
stesso problema insidia un altro programma che la Casa Bianca sta studiando, cioè
il ritorno ad una immunizzazione contro il vaiolo (abolita negli anni Sessanta
per la scomparsa della malattia). Bush vorrebbe 20 milioni di dosi di vaccino in
tempi rapidi. Ma le strutture sanitarie potranno vaccinare così tanta gente in
poco tempo? È difficile.
Un paradosso dello «Stato minimo» è lo spettacolo offerto dagli aeroporti
Usa. Subito dopo i quattro dirottamenti criminali fu chiaro il tragico
fallimento dei controlli di sicurezza affidati ai privati: una conseguenza della
deregulation aerea varata da Reagan negli anni Ottanta per ridurre le tariffe.
Bush e il Congresso, repubblicani e democratici, in perfetta intesa bipartisan
hanno stabilito che le ispezioni dei bagagli e la vigilanza negli scali devono
tornare sotto un'autorità federale. Hanno stanziato 1,9 miliardi di dollari
(che saranno ripagati dai passeggeri con una sovratassa sui biglietti) per
rendere gli aeroporti meno vulnerabili. Ma chiunque voli in questi giorni nota
che le nuove misure di sicurezza sono piene di lacune. «I controlli dei bagagli
a mano sono distratti e occasionali - lamenta The San Francisco Chronicle -
polizia, guardia nazionale e doganieri si muovono senza alcun coordinamento».
Anche la promessa di mettere agenti in borghese su ogni volo per ora è fasulla:
mancano i poliziotti.
Non sono bastati 6.000 morti per dare la sveglia? Non è cattiva volontà, è
l'oggettiva difficoltà a ricostruire lo Stato dove non esiste più.
Per riportare sotto controllo pubblico la sicurezza degli aeroporti bisogna
assumere 30.000 dipendenti. Addestrarli a nuove procedure accurate. Creare una
struttura centrale che coordini le informazioni tra gli scali e l'Fbi.
Nell'attesa i controlli continuano a ricadere sulle vecchie strutture private,
società di vigilantes che impiegano personale semianalfabeta, dequalificato,
pagato meno dei camerieri di MacDonald. Quanto tempo ci vorrà perché
subentrino davvero le autorità federali? Deregulation, riregulation;
privatizzazione, rinazionalizzazione: tornare indietro non è facile. Gli
economisti sanno cosa sono le asimmetrie (provate a rimettere il dentifricio nel
tubetto; o a rifare le uova partendo dalla frittata), intanto il bisogno di
sicurezza degli americani non trova risposte.
Un'altra soluzione invocata per aggirare la paura di volare è lo sviluppo dei
treni ad alta velocità. Ma decenni di prosciugamento degli investimenti
pubblici in infrastrutture hanno ridotto le ferrovie americane in condizioni
comatose. Amtrak, l'azienda ferroviaria di Stato, è una caricatura.
Nella California, la zona più ricca del mondo, non esiste una linea diretta che
colleghi le due città principali, Los Angeles e San Francisco: un'ora in aereo,
dieci ore in treno.
Bush e il Congresso varano in fretta nuovi programmi di spesa pubblica.
Grazie ai bilanci in attivo accumulati nel boom degli anni 90, i mezzi non
mancano. Tra nuove spese e sgravi fiscali la manovra di rilancio può arrivare a
180 miliardi di dollari. È la ricetta keynesiana per uscire dalla recessione.
Ha un effetto positivo: sta evitando un crollo di fiducia dei consumatori e un
panico in Borsa. Ma altra cosa è ricostruire lo Stato.
Nell'immediato la manovra Bush è un esercizio di natura diversa, che gli
americani definiscono pudicamente Corporate Welfare: assistenzialismo al
servizio delle imprese. Le compagnie aeree sono state le prime ad avventarsi sul
bottino, la loro lobby ha ottenuto sussidi così giganteschi da far tremare le
concorrenti europee. Le assicurazioni e altri settori del capitalismo americano
vogliono imitarle, il Big Business usa l'allarme terrorismo per ottenere aiuti a
spese del contribuente. Pur di uscire dalla recessione ogni mezzo è lecito, e
addio ideologie. Reagan era solito dire agli americani: «Il governo non è la
soluzione dei vostri problemi, è il vostro problema». Quanti secoli fa?