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15 Gennaio 2003
LA
LEGGE FINANZIARIA 2003
Nota di Livia Turco
NOTA
SULLA LEGGE FINANZIARIA 2003
La legge finanziaria 2003 costituisce nell’area delle politiche sociali e
sanitarie un grave arretramento, che rischia di mettere in discussione la tenuta
dell’intero sistema determinando limitazioni nelle risorse e quindi
nell’erogazione dei servizi ai cittadini, un ulteriore assoggettamento delle
prestazioni a tickets ed altre forme di partecipazione alla spesa, introducendo
procedure organizzative centralizzate che invadono le competenze regionali. Non
è un caso che sul finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale sia saltato il
tavolo di confronto tra Stato e Regioni, le quali non considerano la partita
finanziaria definitivamente chiusa ed anzi paventano una crisi del sistema sia
sul versante della spesa corrente che su quello degli investimenti. Ne è prova
lo scontro di questi giorni sulla proposta del Ministro Sirchia alle regioni di
un diverso criterio di riparto del Fondo sanitario 2003, rispetto al criterio
della “quota pesata” che colpisce e mette in crisi quasi tutte le regioni
del centro – nord, in particolare quelle governate dall’Ulivo. Così come è
emblematico il giudizio unanimemente negativo che sulla manovra finanziaria
hanno espresso i comuni italiani attraverso l’ANCI. Mentre forte e diffusa è
la preoccupazione fra gli operatori e le associazioni di rappresentanza dei
malati, dei disabili, delle famiglie, le organizzazioni sindacali.
POLITICHE SOCIALI
La Finanziaria ridimensiona drasticamente il Fondo per le politiche sociali.
Ammontava nel 2002 a 1622 milioni di euro scende nel 2003 a 1360. Una parte
consistente di risorse viene dirottata verso i contributi alle giovani coppie
per l’acquisto di un alloggio e verso le aziende private che istituiscono nidi
aziendali. Se si considerano inoltre gli aumenti dei costi per personale, beni e
servizi ma, soprattutto, i tagli pesanti ai trasferimenti agli enti locali,
decurtati del 2,7%, il risultato non potrà che essere un indebolimento della
rete dei servizi, il trasferimento di ulteriori costi sulle famiglie, un
arretramento dell’intervento pubblico con il blocco del processo di
costruzione del welfare locale.
Il Fondo viene mantenuto nel suo impianto attuale, senza vincoli di destinazione
e con una maggiore discrezionalità per il governo centrale. Nella ripartizione
alle regioni si darà priorità alle risorse riferite a diritti soggettivi come
l’assegno di maternità, le agevolazioni per i genitori dei disabili (L.
104,art. 33), gli assegni ai nuclei familiari con almeno 3 figli minori. Saranno
definiti dal Ministero del Welfare, d’ intesa con le regioni, i livelli
essenziali delle prestazioni sociali da garantire su tutto il territorio
nazionale, ma con un forte condizionamento del Tesoro e nei limiti delle risorse
disponibili, quindi, nelle condizioni date destinati a rimanere sulla carta. Con
apposito regolamento saranno attivate azioni di monitoraggio di costi e
risultati, mentre saranno revocati i finanziamenti non utilizzati entro il 30
giugno dell’anno successivo.
I cambiamenti apportati alla gestione del fondo sono destinati ad incidere anche
sulle politiche d’integrazione dei cittadini immigrati. Viene messo, infatti,
in discussione tutto il sistema su cui regge il meccanismo di finanziamento
statale e regionale delle politiche sull’immigrazione, colpendo l’autonomia
di quel Fondo nazionale per le politiche migratorie, istituito dalla legge
Turco-Napolitano per garantire un ordinario meccanismo di finanziamento delle
iniziative dello Stato, delle Regioni e dei Comuni.
Vi è il rischio concreto che venga ridotta o abolita ogni possibilità di
finanziamento statale per progetti di assistenza ed integrazione sociale, per
gli alloggi, per i corsi di formazione, ect. Tali interventi possono diventare
così una semplice discrezionalità di un ministro e non l’asse centrale di
una seria politica sull’immigrazione.
Il fatto che manchi nell’articolo ogni riferimento alla legge 328/00 di
riforma dell’assistenza, al Piano per le Politiche sociali, ad atti di
indirizzo e coordinamento finalizzati al necessario sviluppo della rete dei
servizi conferma l’idea che il governo voglia rinunciare a perseguire le
finalità della riforma.
La finanziaria blocca inoltre la sperimentazione del Reddito Minimo
d’Inserimento. Entro i primi mesi dell’anno, esaurite le risorse già
attribuite negli anni precedenti, i 307 comuni interessati alla sperimentazione
resteranno privi di importanti risorse e di uno strumento rivelatosi efficace
nell’azione di contrasto alla povertà, ma soprattutto resteranno senza
risposta i circa 200 mila cittadini, in particolare nelle regioni meridionali,
che avevano usufruito dell’importante supporto all’integrazione sociale ed
economica.
Il Governo viene, altresì, meno all’impegno assunto, e più volte confermato
alle associazioni dei disabili e delle loro famiglie, di riconoscere a tutti i
pensionati invalidi civili, ciechi e sordomuti il milione al mese di pensione
sociale, come anche di rivedere l’importo delle indennità assistenziali per i
disabili gravi.
Nel corso del dibattito parlamentare Governo e maggioranza hanno respinto ogni
proposta tesa a migliorare servizi e prestazioni a sostegno dei nuclei
familiari, dei disabili, degli anziani, delle categorie a rischio di
emarginazione. Le sole eccezioni si riferiscono al lieve incremento di 41 euro
mensili della sola indennità di accompagnamento e di comunicazione per i ciechi
parziali ed i cittadini sordi.
La forte opposizione parlamentare, ma soprattutto del mondo della scuola e delle
associazioni, ha portato alla completa riscrittura della norma che riduceva
drasticamente gli insegnati di sostegno. Pur con qualche ambiguità il comma 7
dell’articolo 35 conferma nella sostanza l’attuale dotazione, ma i pericoli
più seri per il futuro dell’integrazione vengono dal ridimensionamento
significativo tanto delle risorse finanziarie che del personale scolastico,
compreso il personale ausiliario ed addetto all’assitenza.
Non sono previste risorse per l’attuazione della legge 68 sul collocamento
obbligatorio dei disabili, né per l’eliminazione delle barriere
architettoniche.
Manca ogni riferimento alla non autosufficienza degli anziani. Dopo la girandola
delle proposte estive tutto pare rinviato a dopo la legge finanziaria per il
milione di famiglie italiane che si misurano quotidianamente con i drammatici
problemi della non autosufficienza. Si presume che le conclusioni del gruppo di
lavoro promosso dai ministri Sirchia e Maroni finiranno anch’esse nell’ormai
voluminoso libro bianco.
Infine è istituito un fondo di rotazione per finanziare gli asili nido e
micronidi aziendali (art. 91). La misura di per sé limitata, 10 milioni di
euro, che esclude dal finanziamento i comuni ed erode ulteriori risorse al fondo
per le politiche sociali, svincola i nidi aziendali dalla programmazione
territoriale e dal controllo dei comuni, con il rischio di una deriva
custodialistica per servizi che dovrebbero essere ispirati da finalità socio
educative.
E’ stata invece accolta la proposta che chiarisce che la deduzione delle spese
di partecipazione al costo dei nidi nei luoghi di lavoro vale sia per i nidi
gestiti dai comuni che dai datori di lavoro.
Per i centri sociali per gli anziani è previsto l’esonero dal pagamento del
canone TV.
Infine, viene previsto un contributo di 5 milioni di euro per la prosecuzione
degli interventi assistenziali svolti dall’ANFFAS in considerazione della
grave crisi finanziaria che essa attraversa.
POLITICHE SANITARIE
La legge finanziaria non affronta le questioni poste con forza da tutte le
regioni relative al Fondo sanitario, a cominciare dagli sfondamenti accertati
annualmente per circa 4500 milioni di euro e dai danni gravissimi prodotti dal
decreto tagliaspesa. Restano inoltre irrisolti i problemi di liquidità legati
al ritardo dei trasferimenti che si aggira intorno ai 15 miliardi di euro e che
determina interessi passivi per circa 60 milioni di euro al mese. Il fondo è
integrato solo parzialmente (165 milioni per ammortizzare le minori entrate
regionali del 2002) molto poco rispetto a quello che chiedevano le regioni.
Il pericolo della manovra sta però soprattutto nella palese violazione del già
insufficiente accordo dell’8 agosto 2001. Infatti il governo non solo non
allinea il fondo al fabbisogno, come sarebbe necessario e come richiesto
unanimemente già dallo scorso anno dalle regioni, ma, invadendo il campo
dell’autonomia e delle prerogative regionali in materia di controllo e di
razionalizzazione della spesa, subordina l’erogazione delle somme concordate
ad una serie di adempimenti burocratici e di condizioni di dubbia efficacia e
legittimità. Tutto ciò ha il solo scopo di ritardare ulteriormente
l’erogazione dei finanziamenti fare cassa.
Le regioni infatti dovranno:
1. attivare il monitoraggio delle prescrizioni mediche, farmaceutiche,
specialistiche ed ospedaliere;
2. adottare criteri per l’uso appropriato delle risorse;
3. utilizzare tutti gli strumenti contrattuali per il pieno utilizzo delle
strutture, senza però oneri aggiuntivi;
4. prevedere la decadenza automatica dei direttori generali che non raggiungono
l’equilibrio economico.
In queste condizioni risulterà impossibile sostenere tanto i servizi esistenti,
quanto il necessario sviluppo, l’innovazione tecnologica, il riequilibrio per
le realtà meridionali, né tanto meno garantire i Livelli Essenziali di
Assistenza, ancorché riconfermati dall’articolo 54. Si troveranno in grave
difficoltà le regioni che hanno sforato le previsioni di spesa, che avendo già
imposto tickets ed addizionali IRPEF non avranno più alcun margine di manovra.
Ancor più penalizzate risulteranno quelle più virtuose, vicine al pareggio di
bilancio, che hanno risparmiato balzelli ai cittadini, ma che ora a fronte di
maggiori spese non coperte dal fondo, non potendo incrementare la pressione
fiscale, saranno costrette a tagliare prestazioni e ad introdurre pesanti
tickets.
La sofferenza per la spesa corrente sarà ulteriormente aggravata dal maggior
onere derivante dal rinnovo dei contratti in scadenza, di cui non si prevede la
copertura, che si sommerà alla drastica riduzione degli investimenti che renderà
impraticabili anche i proclamati intenti di riorganizzazione i servizi e di
garantire la libera professione dei medici dentro le mura. Non vengono infatti
reintegrati i 209,9 milioni di euro per il piano straordinario per la
riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani, previsti
dalla legge 488/98 e decurtati dal governo con decreto del marzo 2002. Non sono
previste risorse per l’innovazione tecnologica. Misure solo in parte
alleggerite dallo slittamento al dicembre 2003 della possibilità di stipulare
Accordi di programma per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento
tecnologico in attuazione della legge dell’ex articolo 20 legge 67/88, nonché
quelle ex art. 71.
Vengono ridotti i finanziamenti per la ricerca biomedica; nulla è previsto per
il rifinanziamento del progetto CRONOS dedicato a 35.000 cittadini affetti da
alzheimer e che accorerebbe estendere a tutti gli ammalati di tale patologia.
Sono poi previste una serie variegata di misure di contenimento della spesa:
Aumentano i tickets. La quota di partecipazione alla spesa per cure termali
passa dagli attuali 36,15 a 50 euro con la sola esclusione dei grandi invalidi
di guerra, per servizio, civili, del lavoro al cento per cento. Viene poi
definitivamente abrogata la norma della finanziaria 2001 che eliminava i tickets
su esami diagnostici e visite specialistiche. Nel complesso 1.115,56 milioni di
euro vengono trasferiti a carico dei malati e si aggiungono ai 250 milioni di
euro previsti a fine 2002 come gettito del ticket sui farmaci destinato ad
aumentare con l’adozione di nuovi ticket da parte delle regioni.
Viene costituita una Commissione Unica per la classificazione e l’indicazione
del prezzo dei dispositivi medici, soluzione di dubbia efficacia, centralistica
e burocratica, che contrasta con i principi di autonomia e responsabilità
aziendale e rischia di frenare i necessari processi d’innovazione.
La tessera del Codice Fiscale verrà assorbita nella Carta Nazionale dei Servizi
per agevolare il monitoraggio delle prestazioni sanitarie. Le ASL dovranno
esporre su Internet i costi unitari dei dispositivi medici acquistati.
In materia di farmaci la compressione del settore già in difficoltà è
notevole. La manovra si impernia sostanzialmente sulla revisione del prontuario
con una riduzione del 7 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la
riclassificazione dei farmaci in due fasce, gratuita ed a pagamento, la
restrizione nell’immissione in commercio di nuove specialità, il rinvio della
rinegoziazione del prezzo medio europeo, un risibile premio di prezzo del 1 per
cento che non consentirà alcun investimento in ricerca e sviluppo. Misure che
nella loro attuazione pratica, dopo l’emanazione dell’elenco dei farmaci
erogati gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale, stanno determinando
inaccettabili limitazioni nell’erogazione dei farmaci per alcune patologie
(ipertensione, allergie, dermatiti ecc) con il rischio di limitare le possibilità
di cura soprattutto per i meno abbienti. Viene confermato il taglio del 50 per
cento dei congressi all’estero sponsorizzati dalle case farmaceutiche con
esclusione di quelli autorizzati dalla Commissione ECM.
Slitta al primo luglio 2003 l’allineamento dei listini al prezzo medio
europeo.
E’ stata accolta la proposta della Conferenza delle Regioni di costituire l’ARAN
regionale, che tratterà il rinnovo delle convenzioni con il SSN.
Appare eccessiva la norma che impone alle ASL, per acquisiti a partire da 50.000
euro, procedure complesse e costose a fronte di piccoli risparmi ipotetici,
mentre è condivisibile il riferimento alle convenzioni quadro definite dalla
CONSIP per la definizione dei prezzi base d’asta.
Problemi per i servizi e gli ospedali derivano anche dal blocco delle
assunzioni. Le Aziende avranno la possibilità di sostituire solo il 50 per
cento del personale sanitario, con deroga per i soli infermieri, figura molto
carente al centro nord, con priorità alle domande di assunzione per il
personale destinato alla ricerca.
Non sufficienti risultano i fondi per gli IRCSS e l’Istituto Superiore di
Sanità, che con i 225 milioni di euro per il 2003 rischiano di non far fronte
ai loro compiti di istituto e di ricerca. La deducibilità delle donazioni fino
a 500 euro per la ricerca sul cancro, limitate però al 30 aprile, e la tassa
sul fumo non sono misure adeguate a compensare la carenza di risorse per la
ricerca.
Non mancano alcune misure dal sapore clientelare che scavalcano ogni
programmazione regionale come i 20 milioni di euro per la realizzazione del DEA
al Policlinico di Pavia.
Il Governo, nonostante la disponibilità delle regioni ad accollarsi una quota
della spesa, non ha trovato i 300 milioni di euro necessari per la stipula dei
contratti di formazione e lavoro per i 30 mila medici specializzandi, per
ottemperare ad una specifica direttiva europea. Il riconoscimento dei titoli
degli specializzandi ai fini concorsuali suona come un misero contentino, che
non ha inciso sullo stato di agitazione che permane nella categoria. Il Governo
si è invece intestardito nel tentativo di scardinare l’esclusività del
rapporto dei medici del SSN. Dopo la bocciatura della proposta Sirchia alla
Camera, al Senato l’emendamento della maggioranza è stato ritirato e
trasformato in ordine del giorno. Anche questa contrastata vicenda delinea la
strategia dell’azione del Governo di centro – destra, che con la legge
finanziaria compie un ulteriore passo in vera e propria opera di scardinamento
per prezzi del S.S.N. fino a renderlo residuale, aprendo così di fatto la
strada al sistema assicurativo privato.