Le
idee dei filosofi nell
'
arsenale dei politici, RALF
DAHRENDORF
da Repubblica
- 18 giugno 2003
John Maynard Keynes, forse il più grande economista del XX secolo, disse
una volta che a lungo termine, il corso della storia è determinato, dagli
intellettuali e dalle loro idee non meno che dai politici. Non si riferiva
ai vari consulenti speciali, ideatori di programmi ad uso immediato o
autori dei discorsi di presidenti e capi di governo. E neppure ai
commentatori della stampa o della tv, o ai pundit i cui scritti servono da
sottofondo musicale ai politici. Intendeva gli autori di idee
autenticamente feconde. Come la tesi dello stesso Keynes, sulla necessità
che di tanto in tanto lo Stato intervenga a sostegno della domanda
aggregata per salvare il capitalismo.
Ma naturalmente, Keynes ci ha anche ricordato che a lungo termine saremo
tutti morti. Di fatto, la sua influenza ha raggiunto il culmine dopo la
sua morte, negli Anni 50, e soprattutto dopo il 1960. E anche gli
ispiratori (se questo è il termine corretto) delle minacce totalitarie
del XX secolo erano morti da tempo quando le loro idee hanno dato frutto.
In altri termini, è raro che gli effetti politici della produzione
intellettuale si manifestino nell´immediato. Bisogna attendere che arrivi
il loro momento.
Queste considerazioni inducono a rilevare un´altra caratteristica delle
grandi idee guida dei periodi storici: la loro tendenza a sorgere ai
margini delle ortodossie imperanti. Tanto che al loro primo apparire sono
considerate quasi irrilevanti, e comunque non in sintonia con lo spirito
del tempo.
Si possono citare ad esempio due libri: La via dell´asservimento di
Friedrich von Hayek e La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper,
entrambi pubblicati alla fine della seconda guerra mondiale. Ma per
assistere al loro trionfo si è dovuto attendere fino al 1989, quando le
nuove società emergenti dal crollo del comunismo hanno sentito la
necessità di un linguaggio per esprimere i propri obiettivi. Non a caso,
fu allora che quei due libri vennero tradotti in quasi tutte le lingue
dell´Europa dell´Est e dei Balcani.
Allo stesso modo, i panegirici di Milton Friedman sul capitalismo puro
apparivano curiosamente fuori luogo negli Anni 60, all´apogeo della
socialdemocrazia. Ma alla fine degli Anni 70 venne la stagflazione,
risultante dalla concomitanza tra inflazione e basso livello di crescita
economica. Mentre gli economisti più inclini al pessimismo, come Mancur
Olson, sostenevano che solo una rivoluzione o una guerra sarebbe stata in
grado di sciogliere le rigidezze dello status quo, Ronald Reagan e
Margareth Thatcher recuperarono le tesi di Friedman, accanto a quelle di
Hayek e di altri. Anche in questo caso, si trattava di conferire sostanza
e di prestare un linguaggio a intenzioni percepite vagamente, in lieve
anticipo ma nel senso della dinamica degli umori popolari.
Non ho mai attribuito un significato e un pedigree intellettuale del tutto
identici alla politica della "terza via", che da qualche anno è
sulla cresta dell´onda. Certo, l´idea di realizzare la quadratura del
cerchio tra giustizia e crescita rispondeva a una necessità, ma non era
tale da suscitare su vasta scala l´entusiasmo e il sostegno popolare. E
la stessa Teoria della giustizia di John Rawls, benché feconda, è
rimasta un passatempo per pochi piuttosto che un precetto ad uso dei più.
Ma mentre ancora perdurava il concetto di "terza via", stavano
guadagnando terreno altre idee che inizialmente erano apparse marginali,
se non assurde. Assumendo a fondamento le concezioni di Friedman e Hayek
sull´inversione di rotta rispetto al welfare socialdemocratico, si
aggiungevano al rudimento di Stato residuale alcune nuove idee, per uno
Stato esclusivamente imbevuto di quello che Joseph Nye definisce hard
power: termine che riassume i concetti di "legge e ordine" all´interno
e di potenza militare verso l´esterno. Uno Stato per un mondo hobbesiano,
ove la sicurezza è posta al vertice della scala dei valori.
Concetti del genere hanno una lunga storia. Guardando al XX secolo, alcuni
li collegano a figure quali Leo Strauss, di origini tedesche ma emigrato
in America, e persino a Carl Schmitt, il giurista di Hitler. Più
recentemente, queste tesi sono state adottate da un gruppo di autori
vicini alla rivista americana Commentary. E i think tank di Washington
hanno contribuito a trasformarle in un potente arsenale intellettuale a
uso dei neoconservatori, che prosperano all´ombra dell´amministrazione
Bush (anche se a titolo personale, il presidente non fa parte di questo
gruppo).
Ancora una volta, emergono alla ribalta idee nate tempo fa, ai margini di
un´epoca caratterizzata da un´ortodossia assai più liberale. E
raccolte, quando i tempi erano maturi, da politici che avevano trovato in
esse un utile principio organizzativo. Idee che forniscono a un tempo le
massime per l´azione e il linguaggio adatto a "vendere" quest´azione
al più vasto pubblico. E dominano la scena intellettuale, tanto che tutte
le alternative sembrano ormai prive di qualsiasi opportunità. E che
persino i liberali appaiono un po´ sfocati. O c´è forse un altro Keynes
pronto a spiccare il volo?
L´autore, sociologo, ex rettore
della London School of Economics, guida il St. Anthony´s College di
Oxford
Copyright Project
Syndicate/Institute for Human Sciences, febbraio 2003
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