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Luciano
Gallino, L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti a
cura di Paolo Ceri, Edizioni di Comunità, pag. 92-94
L'imponente
«stato sociale» olivettiano che esisteva a Ivrea negli anni Cinquanta (e che
pure io ho conosciuto e sfruttato) aveva radici lontane nella storia della
società. La prima mutua aziendale della Olivetti, alla quale contribuivano in
ugual misura i dipendenti e la direzione, risale addirittura al 1909, appena un
anno dopo la costituzione della società. La Fondazione Domenico Burzio,
creata per garantire all'operaio - sono parole dello statuto - «una sicurezza
sociale al di là del limite delle assicurazioni», vide la luce nel 1932, insieme
con le prime colonie estive per i figli dei dipendenti. Il servizio di autobus
per trasportare i dipendenti dai paesi circostanti a Ivrea, inteso sia ad
alleggerire i costi del pendolarismo, sia a evitare il loro inurbamento, e
l'ufficio assistenti sociali, furono istituiti addirittura nel 1937. Su tutte
queste attività sovrintendeva, già negli anni Trenta, Adriano Olivetti, prima
come direttore generale, poi - dal 1938 - come presidente. Ma le relative
date, i tipi di servizio, e i loro statuti e regolamenti, dicono chiaramente
quanto tali attività recassero l'impronta primigenia di Camillo Olivetti.
Pare
superfluo ricordare nuovamente che negli anni Cinquanta esistevano anche in
altre aziende italiane grandi e meno grandi varie forme di mutue aziendali, con
le loro colonie, l'assistenza medica e altri tipi di servizio sociale. Ma
nell'insieme ciò che la Olivetti offriva - in vari casi, come s'è visto, da
decenni - era incomparabile per l'ampiezza della copertura che offriva alle
famiglie, la sicurezza della protezione, la qualità dei servizi, l'indipendenza
dalla fabbrica con cui questi servizi erano gestiti - una volta stabilita
l'entità del budget - tramite un Consiglio di gestione in cui erano rappresentate
tutte le categorie di dipendenti.
Penso
che nel portare avanti questo eccezionale impegno a favore dei lavoratori e
delle loro famiglie convergessero nel pensiero e nell'azione di Adriano
Olivetti varie componenti. La prima, su cui ci siamo soffermati all'inizio, era
la persuasione che un'impresa deve sentirsi responsabile per ciò che può
accadere ai propri dipendenti e operare di conseguenza. Peraltro ritengo che
intervenissero anche altre motivazioni, che in varie forme emergono nei
discorsi dell'ingegner Adriano ai dipendenti. Tra queste rientrava il
convincimento che fosse importante per l'azienda avere una forza lavoro, un
insieme di lavoratori che, in quanto sapevano che il loro personale destino
era assicurato, le loro famiglie non correvano rischi senza protezione, e i
figli erano ben assistiti sin dall'infanzia, potevano dare alla fabbrica più
intelligenza e impegno che non nel caso in cui invece avessero sentito attorno a
sé il vuoto. E, con esso, l'addensarsi di vari tipi di incognite.
Un'altra
componente era l'idea che attraverso questa fitta trama di servizi sociali
distribuiti sul territorio si favoriva il radicamento della manodopera nella comunità,
nei paesi, nelle valli del Canavese, contribuendo cosi a rafforzare sia
l'attaccamento di essa all'azienda, sia lo sviluppo ordinato dell'intero
territorio. Al tempo stesso il sistema assistenziale e previdenziale messo in
opera dall'azienda era un fattore di coesione, di crescita civile, che in
diversi modi concorreva alla evoluzione di tutta la vita sociale, non solo a
Ivrea, ma nell'insieme del Canavese.
Non
mi parrebbe corretto dire sic et simplicìter che Adriano Olivetti teorizzasse
lo stato sociale come un contributo erogato per avere in cambio una
manodope-ra soddisfatta e priva di preoccupazioni, quindi più produttiva. In
altre parole non vi sono riscontri documentali che permettano di affermare che
nel pensiero di Adriano fosse in qualche modo teorizzata l'idea che lo stato
sociale va considerato alla stregua di un fattore di produzione.
Rimane vero che in ogni caso, foss'anche non cercato, il risultato che veniva raggiunto aveva pure questi caratteri. Lo si riconosca o no, il primo fattore di produzione è la forza lavoro, perché solo essa genera valore. Se questa è più soddisfatta, meno preoccupata, al riparo dei principali rischi dell'esistenza grazie alla rete di protezione che la fabbrica ha contribuito a costruire, probabilmente partecipa all'attività della fabbrica con maggior intelligenza, impegno, assiduita. Una forza lavoro più motivata, più presente ai problemi della produzione, finiva in effetti per essere un fattore di produzione più efficiente. Così come una migliore tecnologia o una migliore organizzazione sono fattori di produzione più efficienti che non il loro contrario.