torna a Legislazioni e politiche/saggi e documenti


09-07-2002
Quando il Patto per l'Italia cancella il Reddito Minimo di Inserimento
Tito Boeri e Roberto Perotti
C'è un passo del Patto per l'Italia che sembra esser passato inosservato. Recita il de profundis al Reddito Minimo di Inserimento (RMI), il primo tentativo di introdurre un istituto universale di protezione sociale di ultima istanza in Italia. Il RMI è stato introdotto sperimentalmente in 300 Comuni nella passata legislatura (prima con il decreto legislativo n.237 del 18 giugno 1998 e poi con la Legge Finanziaria del 2001). Ma il rapporto sulla sperimentazione di questo istituto non è mai stato reso pubblico da questo governo, nonostante le pressanti richieste ripetutamente avanzate in tal senso da quotidiani come il Sole24ore.

Nel Patto per l'Italia si sostiene (punto 2.7) che "la sperimentazione del reddito minimo di inserimento ha consentito di verificare l'impraticabilità di individuare attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale." In altre parole, non sarebbe possibile, alla luce della sperimentazione, determinare condizioni di accesso uniformi su tutto il territorio nazionale. "Appare perciò preferibile" continua il Patto " realizzare il co-finanziamento, con una quota delle risorse del Fondo per le politiche sociali, di programmi regionali, approvati dall'amministrazione centrale, finalizzati a garantire un reddito essenziale ai cittadini non assistiti da altre misure di integrazione del reddito." Come dire, l'iniziativa spetta alle Regioni mentre "l'amministrazione centrale avrà un ruolo di coordinamento e di controllo sull'andamento e sui risultati dei programmi medesimi."

Tradotto in linguaggio più comprensibile, il Reddito Minimo di Inserimento potrà sopravvivere solo come programma regionale co-finanziato in misura minore dal Fondo per le Politiche Sociali. In misura minore perché questo Fondo non ha risorse sufficienti per contribuire all'espansione del RMI. Nel 2002, ad esempio, per l'RMI nel Fondo sono stati stanziati appena 222 milioni di euro. (si veda la Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2002, n.107)

La vera conseguenza di questa parte del Patto è che solo le regioni più ricche potranno, se lo vorranno, introdurre un loro RMI. Quelle del Sud, dove risiedono due italiani poveri su tre, dovranno presumibilmente stare a guardare, date le loro basse capacità impositive. Programmi con finalità redistributive, come il RMI, non possono che essere finanziati in larga misura a livello centrale, prevedendo al più un cofinanziamento molto contenuto delle amministrazioni locali, e fissando condizioni d'accesso uguali su tutto il territorio nazionale.