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Standard
nazionali per il reddito minimo di inserimento |
Segnalazione: Standard nazionali per il RMI |
Sul reddito minimo di inserimento
(RMI) il Governo continua a inviare segnali contraddittori, senza aprire
un dibattito serio nelle sedi istituzionali, in primis in
Parlamento. L’ultima notizia è che la sperimentazione, che
ormai si trascina da oltre quattro anni, verrà rifinanziata con 220
milioni di euro, e il nome dell’istituto verrà cambiato in "reddito
di ultima istanza". In precedenza, nel Patto per l’Italia,
era stato scritto che la sperimentazione aveva dimostrato
l’impossibilità di generalizzare a livello nazionale l’esperienza
del RMI, usando criteri e standard omogenei per tutto il territorio e
grazie a finanziamenti in parte garantiti dal bilancio dello Stato (si
veda segnalazione "Quando
il Patto per l'Italia cancella il Reddito Minimo di Inserimento").
Viceversa nel Patto si anticipava che il reddito minimo di inserimento
sarebbe stato lasciato alla totale competenza e finanziamento delle
Regioni, che potevano usare a questo scopo il Fondo Sociale (che
peraltro non ha destinazioni di scopo vincolate). Il proseguimento della
sperimentazione, i cui obiettivi "sperimentali" appaiono
sempre più dubbi da un rinnovo all’altro, accentua le riserve di
coloro che criticarono il primo rinnovo ed estensione operati durante
il Governo di centro-sinistra. Infatti erano stati ignorati i
risultati emersi dal Rapporto di valutazione ed erano stati dati per
assodate disparità di condizioni tra Comuni e Regioni, in ultima
istanza non era chiaro l’obiettivo finale di tale politica. Le due indicazioni di Maroni In compenso, nella sua lettera di
trasmissione il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maroni
fornisce indicazioni di lettura interessanti. Nell’esprimere un
giudizio critico nei confronti del RMI, parla tuttavia di un possibile
percorso di messa a regime, purché vengano tenuti presenti due
aspetti. Il primo riguarda il fatto "…che è certamente
insostenibile una linea di intervento che tende a scaricare su questo
istituto di ultima istanza un insieme di interventi per chi perde il
lavoro, per chi è alla ricerca della prima occupazione e per quelle
figure più problematiche dell’emarginazione sociale che necessitano
di una rete di sostegni per non finire totalmente e irreversibilmente
esclusi". Il secondo riguarda il fatto che questo istituto
per "…non trasformarsi in un improprio trasferimento a favore di
individui e gruppi sociali che se ne avvalgono come un surrogato di seri
percorsi di inserimento socio-lavorativo, deve trovare una gestione più
attenta e rigorosa da parte dei poteri locali preposti
all’individuazione dei soggetti eventualmente titolati a beneficiarne,
oltre che un’azione più determinata di governo del sistema…". Si tratta di due indicazioni
condivisibili, anche se la prima nasce da un malinteso. Il RMI
non è mai stato concepito come un sostituto della indennità di
disoccupazione. E non basta essere disoccupati o in cerca di occupazione
per avervi diritto. Occorre essere poveri e vivere in una famiglia
povera. Di più, la soglia è molto bassa: una persona che vive sola e
ha un reddito di 275 euro mensili ne è esclusa. Per altro, in tutti i
paesi che hanno una misura di questo genere (salvo che in Inghilterra),
si distingue tra indennità di disoccupazione e reddito minimo,
pur richiedendo in entrambi i casi una disponibilità ad accettare una
occupazione. E non necessariamente chi ha una più o meno temporanea
necessità di accedere al RMI (ad esempio perché ha esaurito
l’indennità di disoccupazione e non è ancora riuscito a trovare una
occupazione, o perché, è una donna in cerca di occupazione dopo un
periodo dedicato alla famiglia) è una figura "problematica della
emarginazione sociale". La seconda indicazione del Ministro
ricalca quella del Rapporto di valutazione, là dove questo
segnala il modo spesso idiosincrasico in cui i vari comuni coinvolti
nella sperimentazione hanno applicato la normativa. Ma per ovviare a
questo inconveniente occorre un rafforzamento dei criteri e degli
standard, prima ancora che una intensificazione dei controlli da parte
di Stato e Regioni. Il contrario, quindi, della totale delega alle
regioni sia della istituzione che della implementazione di questa
misura. Altrimenti non si riuscirà ad uscire dalla attuale situazione,
cristallizzata in decenni di assenza di una legge quadro sulla
assistenza e di regole e istituti condivisi: una situazione in cui nel
campo delle politiche assistenziali e di contrasto alla povertà vige il
categorialismo più spinto e la regola del cuius regio eius et
religio. |
Nota: Il Reddito Minimo di Inserimento di Daniele Checchi |
Il reddito minimo di inserimento L’obiettivo originario
del RMI era quello di andare a sostituirsi alla moltitudine di
prestazioni sociali che caratterizzano il sistema italiano di protezione
sociale, ed, eventualmente, di diventare il programma fondamentale nella
costruzione di quella rete effettiva di sicurezza sociale attualmente
mancante nel panorama delle politiche italiane in materia di assistenza.
Al di là dei propositi, non è comunque mai stato chiaro quali
programmi avrebbe dovuto sostituire, sia nella fase transitoria, sia
dopo la sua effettiva introduzione. Le misure redistributive introdotte
con le Leggi Finanziarie del 2000 e del 2001 (in particolare, le
prestazioni a favore dei minori e gli incrementi delle pensioni minime)
sono state infatti disegnate a beneficio dei soggetti in situazioni di
disagio economico, senza tuttavia tener conto dell’esistenza del RMI. Per saperne di più |
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