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La fuga dalla solidarietà
Le ragioni di fondo di un principio che la politica deve recuperare, in un articolo di Stefano Rodotà su Repubblica del 30 ottobre 2002. “Spogliata d´ogni orpello ideologico, la solidarietà continua ad incarnare un dato elementare, la necessità ; di non perdere mai di vista l´importanza dei legami sociali. In sostanza: la solidarietà deve rimanere un affare soltanto privato o dev´essere anche considerato, come si è ripetuto ancora di recente in Francia, un "sentiment républicain", un principio ispiratore delle politiche pubbliche?” Edoardo Salzano
OGNI tanto qualcuno decide che è venuto il momento di relegare la solidarietà tra i ferrivecchi dell´ideologia. Poi, in un qualsiasi giorno, basta un´occhiata ai giornali o alle trasmissioni televisive per scoprire quanto grondino di un bisogno diffuso, ineludibile, proprio di solidarietà. Giovedì scorso, tanto per fare l´ultimo tra gli infiniti esempi, sulla prima pagina di questo giornale si parlava degli sforzi di salvare una bambina di cinque anni, bisognosa d´un cuore da trapiantare.
Spesso la tecnologia considerata onnipotente
si arrende di fronte al fattore umano. Come nel caso della bambina in attesa di
trapianto Si riportavano le parole del cardiochirurgo che la cura: «La
tecnologia ha fatto il possibile, ora manca l´ultimo passaggio: la solidarietà».
Ecco, dunque, a confronto l´icona del nostro tempo, la tecnologia, e l´inutile,
ingombrante ferrovecchio ideologico, la solidarietà. Alla prima guardiamo come
se fosse onnipotente, e l´accettiamo o la rifiutiamo come tale. Poi, alla prova
dei fatti, ci accorgiamo che così non è, e siamo obbligati ad immergerla nella
realtà concreta, che ne disvela i rischi e le opportunità, ma pure i limiti.
Nel suo incontro con l´umano la tecnologia si mostra terribile e misera, non
autosufficiente, destinata a successi o sconfitte anche a seconda del modo in
cui si articolano i legami sociali. Persino l´onnipotente tecnologia talvolta
non ce la fa senza l´"aiutino" che le forniscono i concreti rapporti
tra le persone.
Spogliata d´ogni orpello ideologico, la solidarietà è proprio questo,
continua ad incarnare un dato elementare, la necessità di non perdere mai di
vista l´importanza dei legami sociali. Ma questo non vuol dire che essa debba
essere confinata nel regno dei buoni sentimenti, della pura spontaneità dei
comportamenti. La rilevanza attribuita alla solidarietà contribuisce a definire
le modalità istituzionali dei legami sociali e politici. In sostanza: la
solidarietà deve rimanere un affare soltanto privato o dev´essere anche
considerato, come si è ripetuto ancora di recente in Francia, un
"sentiment ré publicain", un principio ispiratore delle politiche
pubbliche?
Torniamo al caso ricordato all´inizio. E´ evidente che non si può obbligare
nessuno a mettere a disposizione un cuore da trapiantare. Ma è ben possibile
che, ispirandosi proprio al principio di solidarietà, si fissino regole che,
quando la morte avviene in particolari circostanze, favoriscano l´espianto
degli organi e la loro messa a disposizione di chi ne ha bisogno. Vi sono,
dunque, azioni pubbliche e collettive necessarie perché le esigenze
sintetizzate dalla parola "solidarietà " possano essere soddisfatte.
Sembrerebbero considerazioni ovvie. Perché allora, e non da oggi, il
riferimento alla solidarietà continua ad essere considerato fastidioso ed
ingombrante? Perché, periodicamente, si propone una fuga dalla solidarietà?
LE ragioni sono molte, anche assai diverse tra loro, affondano le loro radici in
una storia che ci porta alla "triade rivoluzionaria" della
Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino del 1789 – libertà,
eguaglianza, fraternità.
Proprio quest´ultima è apparsa meno forte e visibile, una semplice indicazione
programmatica, mentre libertà ed eguaglianza erano considerate come veri e
propri diritti. Ma, se guardiamo alla storia politica e costituzionale, ci
accorgiamo che proprio alla fraternità -solidarietà si debbono alcune delle
maggiori innovazioni del secolo passato, di cui oggi ci si vuole liberare. Al
costituzionalismo europeo del Novecento si deve la congiunzione tra l´idea
individuale e l´idea sociale dei diritti.
Questa ispirazione si ritrova nell´articolo 2 della nostra Costituzione, dove
si parla dell´«adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale». Si stabilisce così un criterio ordinatore dell´insieme
delle relazioni tra i cittadini. Letto in un contesto che attribuisce un ruolo
essenziale all´ azione delle istituzioni della Repubblica, l´accento posto
sulla solidarietà non individua soltanto un valore fondamentale, ma mette pure
in rilievo come gli interventi istituzionali non esauriscano l´insieme delle
azioni socialmente necessarie, chiamando anche ogni cittadino alla realizzazione
del programma costituzionale.
Questa versione forte della solidarietà è sempre stata accompagnata da una sua
versione debole, che la sfuma nell´ assistenzialismo, la mortifica nella carità,
la riduce al " conservatorismo compassionevole". Qui si manifesta una
scelta di radicale abbandono d´ogni conquista dello Stato sociale, anzi si
fornisce l´ alibi per una completa ritirata dello Stato, negando ai più deboli
la qualità di titolari di specifici diritti e istituzionalizzando una loro
dipendenza sociale.
Siamo tornando ad una situazione simile a quella che suscitava la critica
socialista alle stesse politiche pubbliche di beneficenza, alle quali venivano
contrapposte le forme create da contadini e operai - cooperative, unioni, leghe
- che esprimevano la capacità di autoorganizzazione e la liberazione dei
lavoratori da ogni dipendenza? Emblematico può essere considerato il canto «La
lega», a noi giunto attraverso la voce emozionante di una ex-mondina, Giovanna
Daffini, che si apre con le parole «Sebben che siamo donne, paura non abbiamo/abbiam
delle belle buone lingue e in Lega ci mettiamo».
DOBBIAMO di nuovo confidare soltanto nella solidarietà che scaturisce dalla
capacità sociale di costruire reti di rapporti collettivi?
Ma, tra quei tempi ed oggi, si è svolta una storia lunga e ricca, che ha visto
le rivendicazio ni divenire diritti, contribuendo alla nascita di quello che,
giustamente, continua ad essere chiamato "modello sociale europeo", e
che non può essere considerato soltanto come un retaggio del passato. In una
recente risoluzione del Parlamento europeo, rivolta alla Convenzione che sta
lavorando al progetto di una costituzione europea, si è fatto riferimento
esplicito alla necessità di salvaguardare quel modello.
E, soprattutto, nella Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea del
2000 si è considerata la solidarietà come uno dei principi essenziali, che dà
il titolo ad una delle sue parti, ponendo così un limite esplicito alla logica
individualistica e ribadendo le premesse giuridiche per la costruzione di un
articolato sistema di legami sociali.
I ripetuti tentativi di liberarsi dello scomodo riferimento al principio di
solidarietà rivelano sempre più nettamente il loro obiettivo vero, che è
appunto quello di ridurre e mortificare non solo l´ insieme dei diritti
sociali, ma la possibilità stessa di collocare tutti i diritti in un ambiente
costituzionale che dia rilevanza ai legami sociali. Che è progetto miope e
pericoloso, che non porta all´esaltazione dell´individuo unico portatore di
diritti, ma al suo isolamento, alla sua contrapposizione a tutti gli altri,
estranei se non nemici.
Davanti a noi è una drammatica frammentazione sociale, non ultima ragione di
tante tragiche, e altrimenti inspiegabili, vicende di cronaca. La ricostruzione
di una rete solida di rapporti tra le persone, e tra queste e le istituzioni
pubbliche, esige una rinnovata attenzione per la solidarietà e per i diritti
che da questa traggono ispirazione.