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Se sei ricco ti calano le tasse, L’Espresso
25.5.2002
di Luca Piana
Quanto risparmiano, dopo un anno di governo Berlusconi,
gli italiani che stanno compilando la dichiarazione dei redditi? Niente, anzi in
molte Regioni pagheranno di più a causa dell'aumento delle imposte locali.
Quanto risparmieranno allora nei prossimi anni, quando il presidente del
Consiglio avrà onorato il "contratto con gli italiani" firmato dodici
mesi fa di fronte alle telecamere della Rai? Molto, potrebbe rispondere Giulio
Tremonti, forte del fatto che, in concomitanza con l'anniversario elettorale, la
Camera dei deputati ha approvato la sua riforma delle imposte sui redditi.
Grazie alla quale, sostiene il ministro dell'Economia, presto pagheremo tutti
meno tasse. Molto poco, obietterebbe invece il centrosinistra, convinto che la
rivoluzione annunciata favorisca solo i più ricchi. Eppure, vista da lontano,
la riforma dell'Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) appare
invitante come un cono gelato in piena estate: taglio netto alle aliquote per i
più ricchi, deduzioni per i più poveri, soglia esentasse di reddito. La
lettera di questo rinnovamento è transitata pari pari dal contratto
berlusconiano alla legge: le cinque aliquote dell'Irpef, ora ridenominata Ire
(imposta sui redditi), saranno ridotte a due, il 23 per cento per i redditi fino
a centomila euro, il 33 per cento per quelli superiori. Al di là delle parole,
tuttavia, lo spirito del messaggio era quello che gli italiani avrebbero pagato
tutti meno tasse. Per vedere se davvero sarà così, "L'Espresso" ha
fatto alcuni conti.
«La riforma inizierà dai redditi più bassi», continua a ripetere Tremonti,
quasi a esorcizzare la verità dei numeri che, in teoria, assegna i maggiori
benefici ai redditi più alti. Il problema è capire quanto grandi saranno tali
benefici: la riforma fissa principi molto generali, che toccherà al governo
rendere operativi man mano che le finanze pubbliche lo permetteranno. In linea
di massima, infatti, non è sufficiente una riduzione delle aliquote per pagare
meno tasse: la perdita di progressività rispetto alle aliquote attuali (che
vanno dal 18 al 45 per cento) farebbe pagare di più una larga fascia di
popolazione, identificabile con chi guadagna meno di 25 mila euro all'anno (50
milioni delle vecchie lire).
Come intende allora regolarsi il governo per rispettare il principio
costituzionale della progressività dell'imposta? Una possibile via d'uscita
l'ha anticipata Vittorio Emanuele Falsitta (Forza Italia), relatore del disegno
di legge alla Camera. Primo, fissando fra 6 e 9 mila euro all'anno la soglia di
reddito esentasse. Secondo, stabilendo un meccanismo di deduzioni che
diminuiscono man mano che aumenta il reddito, fino a scomparire sopra i 57 mila
euro all'anno. Sulla base di queste ipotesi, il Centro di analisi delle
politiche pubbliche dell'università di Modena (Capp) ha calcolato il vantaggio
fiscale per ogni fascia di reddito: i risultati completi della simulazione sono
riportati nella tabella a pagina 170. Come si può notare, anche con le
correzioni allo studio i maggiori benefici della riforma vanno ai più ricchi:
chi guadagna fra 6 e 15 mila euro all'anno risparmierebbe in media 241 euro di
imposte, pari al 2,4 per cento del reddito imponibile, mentre chi guadagna oltre
i 100 mila euro sarebbe sgravato (facendo una media di contribuenti con redditi
assai diversi) di 27.137 euro d'imposta, pari al 14,1 per cento del reddito. «Attenzione
però: si tratta di dati medi che non rendono conto di tutte le situazioni
individuali», avverte Massimo Baldini del centro studi modenese: «In certi
casi, soprattutto nelle fasce basse, qualcuno potrebbe non guadagnarci quasi
nulla. Al contrario, fra i redditi più alti, il vantaggio fiscale può salire
anche fino al 30 per cento dell'imponibile».
Per i meno abbienti, il danno di una riforma che favorisce soprattutto i più
ricchi rischia di trasformarsi in una beffa. Il motivo riguarda l'annoso
problema del deficit pubblico, che mette a rischio la fattibilità di tagli
fiscali così diffusi. Di fronte a una riforma tanto ardita, occorre infatti
chiedersi quanto costi. Secondo il governo, circa 20 miliardi di euro in minori
entrate per le casse dello Stato. Ma le stime degli esperti sono più alte. Per
il Capp, ad esempio, il gettito perso può salire a 30 miliardi di euro. Questo
si aggiunge ad altri provvedimenti annunciati, come l'abolizione dell'Imposta
regionale sulle attività produttive (Irap) o la riduzione delle imposte sulle
rendite finanziarie, che farebbero salire il costo totale della riforma Tremonti
ad almeno 50 miliardi di euro. Un buco teorico così profondo che l'economista
Salvatore Biasco definisce il piano annunciato dal governo un atto voluto di «dissociazione
dalla realtà fiscale di oggi». Lo scopo sarebbe quello, spiega Biasco, di
distogliere i contribuenti dal presente, fatto di imposte locali in aumento, in
attesa del Fisco che un giorno arriverà.
Proprio le tasse applicate da Regioni, Province e Comuni rischiano di vanificare
i tagli all'Irpef. Il governo Berlusconi ha già mostrato la scorsa estate di
maneggiare agevolmente la materia, quando ha deciso che d'ora in poi le Regioni
dovranno colmare da sole il proprio disa-vanzo nel campo della Sanità,
attraverso tasse locali, ticket e così via. «I benefici fiscali che gli
italiani avranno dalla mia riforma saranno maggiori degli eventuali aggravi
derivanti dalle imposizioni locali», ha detto Tremonti a "Famiglia
cristiana". È davvero così? I dati che arrivano dagli enti locali
inducono a dubitarne.
Per coprire il deficit sanitario, stimato inizialmente in 4 miliardi di euro,
alcune Regioni hanno deciso quest'anno di introdurre un'addizionale Irpef: i
cittadini di Lombardia, Veneto, Piemonte e Puglia pagheranno fino allo 0,5 per
cento in più rispetto allo scorso anno; quelli dell'Umbria fino al 3,6 per
cento in più. E poi ci sono anche i Comuni che, per far fronte alla riduzione
dei trasferimenti dello Stato, stanno premendo sull'acceleratore delle tasse.
Per limitarsi all'aumento dell'Irpef, secondo le stime dell'Associazione
nazionale dei comuni italiani (Anci), per il 2002 sarà applicato da circa 5
mila municipalità, contro le 4.644 del 2001. Per fare qualche esempio, da
quest'anno pagheranno un'addizionale dello 0,2 per cento anche i cittadini di
Roma, Palermo, Reggio Calabria e Trieste, mentre a Bari, Bergamo, Cagliari,
Lucca, Novara, Rovigo, Treviso e in tante altre città è stato raggiunto ormai
lo 0,5 per cento.
Piccole percentuali? È vero, ma sufficienti per ridurre a quasi niente il
risparmio fiscale della riforma Tremonti per i redditi più esigui. Per i quali
lo Stato sembra regalare con una mano per riprendere con l'altra. C'è poi
un'ulteriore prevedibile conseguenza, dato che, con ogni probabilità, l'aumento
delle imposte locali non sarà sufficiente per colmare la voragine aperta nel
bilancio statale. «Se l'idea è quella di ridurre le imposte, occorre far
uscire dal comparto pubblico una serie di prestazioni, come ad esempio quelle
mediche e di assistenza, che dovranno essere erogate da privati e pagate dai
cittadini», sostiene l'economista Roberto Artoni.
Le promesse di Tremonti dovranno dunque confrontarsi non solo con i vincoli di
bilancio, ma anche con la conseguente rinuncia alle protezioni sociali. E questo
nel contratto Berlusconi non l'aveva davvero scritto.
23.05.2002