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ASSOCIAZIONE
ITALIANA DI PSICOLOGIA
GIURIDICA
CORSO DI FORMAZIONE IN PSICOLOGIA GIURIDICA,
PSICOPATOLOGIA E PSICODIAGNOSTICA FORENSE
REGOLE DEONTOLOGICHE DEI CD.
PROFESSIONISTI – ESPERTI CHE OPERANO
IN AMBITO PENITENZIARIO E
GIUDIZIARIO
Dott.ssa Elisabetta Taverna
Questo lavoro intende analizzare la figura dei
cd.professionisti-esperti, chiamati ad operare in ambito
giudiziario e penitenziario, con un’attenzione particolare
agli aspetti deontologici.
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Un breve excursus storico aiuterà a meglio comprendere
quando e perché si è sentita la necessità di introdurre la
figura di questi operatori, specializzati in materie diverse
da quelle strettamente giuridiche.
· A livello nazionale:
Nel 1934 la legge n.1404 ha istituito il Tribunale per i
Minorenni: in quel periodo, la delinquenza minorile
veniva considerata come un’anomalia bio-psichica; in
quest’ottica, il nostro legislatore ha ritenuto utile e
opportuno che il trattamento di questi detenuti
“particolari” avvenisse anche con l’aiuto ed il supporto di
un cittadino esperto in materie quali la biologia, la
psichiatria, l’antropologia criminale e la pedagogia.
Questo primo passo significativo era destinato a non
rimanere isolato.
In seguito, la legge n.1538/55 ha stabilito che presso i
centri di rieducazione fosse operativa una commissione
consultiva, nella quale dovevano essere obbligatoriamente
presenti un assistente sociale, uno psicologo o uno
psichiatra, oltre ad altri esperti del riadattamento sociale.
L’anno successivo, la legge n. 888 ha istituito presso i
centri di rieducazione, gli istituti di osservazione, i
gabinetti medico-psico-pedagogici e i focolari di
semilibertà: tutte strutture nelle quali operavano
assistenti sociali, psicologi, criminologi, psichiatri ed
educatori, il cui l’intervento veniva, quindi, ritenuto
sempre più fondamentale.
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· A livello internazionale:
La risoluzione ONU del 30 agosto 1955 ha fissato alcune
regole minime per il trattamento dei detenuti, quali
l’assistenza sociale individuale e l’educazione del
carattere morale del condannato, nonché l’analisi del suo
passato, delle sue capacità mentali, delle disposizioni
personali e delle prospettive di risocializzazione.
Il convincimento che viene assunto, anche a livello
internazionale, è che, per poter raggiungere gli obiettivi di
recupero e di reinserimento sociale, è fondamentale il
contributo e il sostegno di esperti come psichiatri,
psicologi, assistenti sociali, educatori e istruttori tecnici
chiamati a integrare il personale degli istituti
penitenziari.
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Il professionista - esperto può essere chiamato ad operare
nel sistema della giustizia penale tanto nella fase del
giudizio tanto in quella dell’esecuzione della pena.
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· Un suo possibile impiego può essere quello di
magistrato onorario, altrimenti detto giudice
non togato, presente nella composizione del
Tribunale di Sorveglianza1 e in quella del
Tribunale per i Minorenni2.
Il compito che il professionista-esperto è chiamato a
svolgere nella veste di giudice non togato è di pura
valutazione; l’aspetto terapeutico che più gli è propria,
qui non è presente.
1 Ai sensi dell’art.70 co.3 L.354/75: “… il Tribunale di Sorveglianza è
composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto
o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di Corte
d’Appello e da esperti scelti tra le categorie indicate nel 4°comma
dell’art.80 O.P. nonché fra docenti di scienze criminalistiche.
2 Ai sensi dell’art.2 L.1404/34: ”… il Tribunale per i Minorenni è
composto da un magistrato di Corte d’Appello che lo presiede, da un
magistrato di Tribunale e da due cittadini, un uomo e una donna,
benemeriti nell’assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia,
psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia che abbiano
compiuto il 30°anno di età.
Ciò pone un problema deontologico dovuto al fatto che
l’esperto deve assumere una prospettiva etica molto
vicina a quella del magistrato; si tratta della cd. posizione
di terzietà propria del Giudice, nello svolgimento della
quale sono richieste obiettività, equità, rigorosa
osservanza della legge e il sapersi porre super partes.
Ciononostante, il professionista – esperto non deve
diventare un giudice, ma deve svolgere il compito
demandatogli, utilizzando le proprie conoscenze
professionali, affinché la decisione finale sia arricchita
dall’esperienza e dalla sensibilità proprie di chi svolge
una professione maggiormente incentrata sulla realtà
individuale.
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· Un secondo possibile ruolo che l’esperto può
essere chiamato a svolgere è quello di perito su
diretto mandato della magistratura.
In ambito penale, la perizia è ammessa sia ex officio sia
su istanza di parte3.
3 In ambito civile è prevista la consulenza tecnica disciplinata dagli
artt. 61-64 c.p.c. e dagli artt.191 e ss. c.p.c.. Anche in ambito
civilistico, l’apporto di un esperto è volto ad integrare le cognizioni
del giudice nei casi in cui, ai fini della decisione, occorrono nozioni
specialistiche, tecniche e scientifiche che il giudice non possiede.
Ai sensi dell’art. 220 c.p.p. la perizia è ammessa quando
occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni
che richiedono specifiche competenze4.
Il perito è tenuto a rispettare una serie di obblighi
oggettivi quali il prestare il proprio ufficio, comparire
davanti al giudice, compiere le operazioni necessarie per
rispondere al quesito peritale e ha l’obbligo di mantenere
il segreto su tutte le operazioni peritali (art. 226 c.p.p.)5.
L’obbligo a mantenere il segreto su tutte le operazioni
peritali comporta un vero e proprio ribaltamento delle
regole deontologiche.
Il segreto professionale, infatti, non è più a favore del
soggetto indagato ed il perito deve riferire al Giudice tutto
quanto viene accertato.
La difficoltà di un tale ruolo consiste, appunto, nel dover
saper conciliare l’atteggiamento empatico proprio
dell’esperto, necessario al rapporto clinico di conoscenza
della personalità, con i precetti normativi che il mandato
pubblico impone.
L’esperto ha, quindi, un rapporto più diretto con il
soggetto che deve esaminare, nei confronti del quale deve,
4 E’ opportuno ricordare il limite oggettivo di cui all’art.220 c.p.p.,
che fa espresso divieto della cd. perizia criminologica, ovvero della
perizia volta ad accertare l’abitualità o la professionalità nel reato, la
tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato,
oltre alle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
5 Il perito è tenuto a rispettare anche gli obblighi soggettivi previsti
nell’art.222 c.p.p.
comunque, mantenere un atteggiamento neutrale nel
rispetto dell’oggettività che il mandato gli richiede.
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· Il professionista – esperto può, altresì , svolgere il
ruolo di operatore carcerario.
L’articolo 80 comma 4 della legge n. 354/75 prevede che
“… per lo svolgimento delle attività di osservazione e
trattamento, l’amministrazione penitenziaria possa
avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio
sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica6”.
Il professionista esperto nella veste di operatore
carcerario deve svolgere un ruolo di controllo e di cura.
La duplicità del mandato è resa ancor più delicata dalla
6 La scelta avviene ai sensi dell’art. 132 della legge n.195/00: “Il
provveditorato regionale compila, per ogni distretto di Corte d’Appello,
un elenco degli esperti dei quali le direzioni degli istituti e dei centri di
servizio sociale possano avvalersi per lo svolgimento delle attività di
osservazione e trattamento ai sensi del 4°comma dell’art.80 O.P.
Nell’elenco sono iscritti professionisti che siano di condotta
incensurata e di età non inferiore agli anni 25. Per ottenere
l’iscrizione nell’elenco i professionisti, oltre ad essere in possesso del
titolo professionale richiesto, devono risultare idonei a svolgere la loro
attività nello specifico settore penitenziario. L’idoneità è accertata dal
provveditorato regionale attraverso un colloquio e la valutazione dei
titoli preferenziali presentati dall’aspirante. A tal fine, il
provveditorato regionale può avvalersi del parere di consulenti
docenti universitari nelle discipline previste dal 4°comma dell’art.80
O.P. Le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale
conferiscono agli esperti indicati nel comma 2 i singoli incarichi, su
autorizzazione del provveditorato regionale.
particolarità del setting: l’osservazione, infatti, avviene in
ambiente intramurario, in continuità di rapporto con i
detenuti con tutte le complicazioni che ne possono
derivare, quali, ad esempio, l’esposizione a minacce e a
pressioni.
Tuttavia, l’obiettivo primario resta sempre quello di difesa
sociale; pertanto, la neutralità e l’oggettività richiesta
all’operatore nell’adempiere al proprio ruolo devono
prevalere sull’impossibilità di solidarizzare con il
condannato e lo svincolo nei suoi confronti del segreto
professionale.
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· L’esperto può, altresì , intervenire come
operatore del trattamento. In questo caso, è il
soggetto che chiede ed accetta l’intervento
dell’esperto.
Quest’ultimo svolge un ruolo in cui prevale l’aspetto
clinico; l’esperto viene, infatti, chiamato a sostenere la
persona, alleviandone le sofferenze ed aiutandola di
fronte alle difficoltà che questa può incontrare al
momento della condanna, durante la carcerazione ed in
vista del reinserimento sociale.
Prevale, pertanto, l’aspetto di cura: tuttavia, anche in
questa sede, l’alleanza terapeutica, la disponibilità e
l’empatia devono essere conciliate con il fatto che
l’esperto ha la responsabilità di effettuare un trattamento
volto a fini correzionali.
Il soggetto in cura è, comunque, un soggetto che deve
essere risocializzato; pertanto, l’aiuto morale del
professionista – esperto non può essere rivolto soltanto
ad alleviare la sofferenza psicologica, ma deve cercare di
attivare nel soggetto quel processo di autocritica,
fondamentale ai fini della risocializzazione.
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· Infine, l’esperto può intervenire come consulente
di parte a favore della parte o per conto del
P.M. nelle varie fasi del procedimento civile o
penale.
Le norme civilistiche e penalistiche si differenziano
relativamente allo svolgimento dell’indagine, alla nomina
dell’esperto e alle attività che vengono svolte; quello che
non cambia è il dover rispettare la correttezza delle
procedure, la coerenza di metodo e la deontologia.
Il professionista è chiamato ad accertare una verità che è
tanto soggettiva, quanto oggettiva, almeno da un punto di
vista giuridico.
L’operatore deve, quindi, possedere le conoscenze
indispensabili per essere un buon tecnico.
L’elaborato peritale deve essere il risultato di un
contenuto corretto non solo sotto il profilo tecnicoformale,
ma anche sotto il profilo metodologicodeontologico.
In ambito penale, l’esperto viene incaricato dal giudice,
assume la qualifica di perito e la sua attività sarà
descritta in una perizia.
In sede civile, l’esperto incaricato dal giudice, prende il
nome di consulente tecnico d’ufficio o C.T.U. ed il suo
elaborato viene indicato con il termine di consulenza
tecnica d’ufficio o C.T.U..
La consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma un
mezzo istruttorio di cui il giudice può avvalersi per
integrare le proprie conoscenze.
Sia in ambito civile che in ambito penale, il giudice può
richiedere l’intervento di un esperto che lo aiuti ad
acquisire elementi idonei a raggiungere la verità.
L’attività peritale è uno strumento per ricercare la verità;
tale ricerca non viene svolta direttamente dal giudice, il
quale non possiede le specifiche conoscenze scientifiche
richieste, ma si avvale di professionisti esperti che lo
aiutano a raggiungere quella verità che garantisca la
giusta sentenza.
Il professionista esperto è chiamato alla ricerca della
verità non solo soggettiva, ma anche della verità
giuridica, ovvero della verità in senso oggettivo.
Il perito d’ufficio deve rispondere ai limiti propri della
legge e ai limiti sanciti dal codice deontologico, ovvero alle
sue esigenze etico-morali.
Il perito d’ufficio, nello svolgimento del suo incarico, deve
indicare il luogo e la data di inizio delle operazioni
peritali, comunicare la successiva data e il luogo in cui le
operazioni proseguiranno.
Il consulente di parte ha la facoltà di assistere al
conferimento dell’incarico e a partecipare alle attività
peritali; può avanzare richieste e proporre delle indagini,
oltre alla possibilità di poter formulare osservazioni e
riserve.
L’elaborato peritale assume forma scritta7 e deve essere il
più chiaro possibile, in quanto è rivolto a persone che
non possiedono le specifiche conoscenze tecniche, ma che
devono utilizzare l’elaborato al fine di addivenire alla
sentenza8.
Ai sensi dell’art.230 c.p.p., i consulenti tecnici di parte
possono assistere all’affidamento dell’incarico al perito,
7 Il perito può fornire anche una risposta orale nel caso in cui sia
stato incaricato nel corso del dibattimento.
8 Un valido strumento per lo psicologo forense è rappresentato dalle
“Linee Guida Deontologiche per lo Psicologo Forense” che
consistono in una serie di disposizioni volte a guidare l’attività
psicologica in ambito forense, con importanti indicazioni circa
l’attività dello psicologo in ogni ambito penale, civile,
amministrativo, minorile ed ecclesiastico.
Le Linee Guida sono state approvate dal Consiglio Direttivo
dell’Associazione Italiana Psicologia Giuridica a Roma il 17 gennaio
1999 e, successivamente, il 15 ottobre 1999 dall’Associazione
Italiana Psicologia Giuridica a Torino.
nonché a tutte le operazioni peritali e possono presentare
al giudice le loro osservazioni.
Il consulente di parte è vincolato al giuramento di verità9;
pertanto, pur agendo in favore della parte, non può
prescindere dall’interesse pubblico.
9 Ai sensi degli artt.501 e 497 c.p.p.
La rassegna dei possibili ruoli che il professionista
esperto può rivestire in ambito giudiziario ha posto in
evidenza le problematiche deontologiche che possono
emergere.
Uno dei problemi deontologici che il professionista
esperto si trova a dover affrontare quando opera in
ambito giudiziario e penitenziario è quello della duplicità
del mandato professionale.
Infatti, l’aspetto eminentemente terapeutico che più gli è
proprio, va conciliato con quello di difesa sociale
demandatogli dal legislatore.
Il rapporto medico-paziente deve essere considerato
secondo una prospettiva differente, che non può
prescindere dal fatto che il paziente viene esaminato non
solo in una prospettiva di cura e di intervento, ma anche
per rispondere alle richieste e alle necessità della
giustizia.
L’esperto è, quindi, investito di un mandato pubblico di
difesa sociale che deve prevalere rispetto alle aspirazioni
proprie del singolo soggetto.
Compito etico dell’esperto è quello di conciliare la
situazione di ambiguità e di conflitto dovuta alla duplicità
del mandato, all’impossibilità di un’effettiva alleanza
terapeutica ed al dover esaminare il soggetto in modo
neutrale.
Tale duplicità di ruolo rappresenta la regola quando
l’esperto opera nel contesto di istituzioni giudiziarie e
penitenziarie; pertanto, l’atteggiamento non deve essere
di diffidenza aprioristica, ma nemmeno di acritica
accettazione di tutto quanto gli viene riferito.
Non deve nemmeno verificarsi il cd. distanziamento
moralistico; occorre distinguere tra morale e moralismo,
raggiungendo un giusto equilibrio fra i compiti valutativi,
la consapevolezza del ruolo pubblico e le conseguenze che
esso comporta.
La particolarità del setting, del soggetto da esaminare e la
duplicità del mandato, possono causare all’esperto una
situazione di disagio che lo può indurre a atteggiamenti
riduttivi e ipersemplificanti che, anziché consentire una
elaborazione del conflitto, lo negano o lo minimizzano.
Queste problematiche sono di iena attualità, tanto che di
recente sono stati elaborati dei documenti che cercano di
fornire risposte ai quesiti deontologici, quali ad esempio
la Carta di Noto10, le Conclusioni e raccomandazioni in
tema di consulenza tecnica e le Linee Guida per lo
psicologo forense redatte dalla AIPG.
Tutti questi documenti vogliono richiamare l’operatore,
nello specifico lo psicologo forense, alla responsabilità del
10 Tale documento raccoglie le linee guida per l’indagine e l’esame
psicologico del minore. E’ stato redatto a Noto il 6-9.06.1999
durante il convegno “Su abuso sessuale di minore: ruoli e
responsabilità”. La Carta di Noto è stata, successivamente, oggetto
di un aggiornamento nel luglio del 2002.
suo mandato, con l’invito a non venir meno all’ attenzione
e alla integrità psicologica di tutti i soggetti interessati dal
suo interevento.
L’esperto deve operare come professionista che deve, in
ogni caso, curare la sofferenza psicologica del soggetto in
esame e deve rispettare tutti i soggetti coinvolti.
Infine, la duplicità del mandato coinvolge anche il
problema del segreto professionale, che non può essere
invocato quando il professionista deve riferire le
informazioni che gli sono richieste dall’amministrazione
giudiziaria.
La costruzione e il mantenimento del rapporto fiduciario
con il cliente rappresenta un fattore di correttezza
deontologica; con il segreto professionale l’esperto
garantisce la riservatezza al proprio paziente e se ne
assicura la fiducia.
In ambito giudiziario il segreto professionale viene meno
in nome dell’interesse pubblico e della difesa sociale.
L’art. 200 del Codice di Procedura Penale disciplina i
limiti alla testimonianza relativi al segreto professionale
per determinate professioni. Viene in questo modo creato
un delicato equilibrio tra le esigenze di salvaguardia
dell’attività professionale e quelle di accertamento della
verità.
Tale norma ritiene prevalente l’interesse alla
conservazione del segreto rispetto all’obbligo di deporre.
L’art.622 del Codice Penale prevede, invece, che il segreto
professionale venga meno ove ricorra una giusta causa di
rivelazione. Tale norma fa prevalere l’obbligo di
testimoniare e l’interesse di giustizia rispetto
all’inviolabilità del segreto.
La norma processuale vuole tutelare l’esercizio di talune
attività professionali che svolgono un ruolo sociale che
richiede un clima di ampio affidamento e di adeguata
riservatezza nei confronti della persona assistita.
L’art.12 del Codice Deontologico consente allo psicologo
di non rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a
conoscenza in ragione del suo rapporto professionale, a
meno che non vi sia un valido e dimostrabile consenso da
parte del destinatario. Viene, dunque, privilegiata la
necessità terapeutica rispetto a quella giudiziaria, tanto
che lo psicologo anche in presenza di consenso può
decidere di non testimoniare nell’interesse psicologico del
paziente.
Tuttavia, se il giudice ha motivo di dubitare del segreto
professionale allegato dal testimone, opera i dovuti
accertamenti volti a verificare se sia realmente sussistito
il rapporto professionale (che costituisce il presupposto
della facoltà di astenersi dal deporre) e, laddove tale
rapporto sussiste, verifica che l’oggetto delle deposizione
sia tale da richiamare la tutela del segreto professionale.
Pertanto, il professionista - esperto non può nascondere
nulla di cui è venuto a conoscenza per le finalità insite
nell’incarico giudiziale e non può opporre il segreto
professionale all’autorità giudiziaria dalla quale ha
ottenuto l’incarico.
Bibliografia
· Ponti, G., Merzagora, I. (2000) Psichiatria e
Giustizia, Raffaello Cortina Editore.
· Pisani, M., Molari, A., Perchinunno V., Corso,
P. (2000) Manuale di procedura penale,
Monduzzi editore.
· Fiandaca, G., Musco, E., Diritto penale, parte
generale, Zanichelli editore, terza edizione;
· Corso, P. Manuale dell’esecuzione
penitenziaria, Monduzzi Editore;
· Ponti, G., Compendio di criminologia, Raffaello
Cortina Editore, 4^ edizione;
· Marinucci, G., Dolcini, E. (1991) Studi di
diritto penale, Giuffrè editore