I figli di Togliatti si intitola questo
libro di Nunzia Manicardi, modenese, che suscita un immediato
interrogativo: ma ce ne sono, in giro, di figli del Migliore? Al
congresso Ds di Torino, Veltroni proclamò di essersi iscritto
giovanissimo al Pci "perché ero antisovietico"; più o meno lo
stesso ha dichiarato in un'intervista, alla vigilia del congresso di
Pescara, Piero Fassino. D'Alema, riconosciuto come miglior erede della
scuola togliattiana, non ha mai detto controsensi di questo genere, e
infatti si sa che da leader del partito si teneva una foto di Togliatti
nel suo ufficio.
Ma i figli di Togliatti, in questo libro, non sono quelli in senso
politico o metaforico. C'è invece, in carne e ossa, il figlio di
Togliatti, Aldo, nato nel 1925, da tempo "sepolto" in una casa
di cura privata per malattie mentali a Modena, Villa Igea. Vi è stato
ricoverato nel 1981, nel pieno trionfo di psichiatria democratica, quando
i manicomi venivano svuotati, la malattia mentale abolita per legge. E
lui, sventurato figlio dello storico leader del Pci, vi veniva invece
fatto entrare, con circospette attenzioni del partito comunista di Modena.
Storia non nuova, rivelata nel 1993 dalla Nuova Gazzetta di Modena,
rilanciata a approfondita dal settimanale Epoca nel gennaio 1994,
sul quale Andrea Marcenaro arriva a scrivere, rivolto ai dirigenti del PDS
di Modena, di avere "contribuito all'internamento e alla
cancellazione pratica del corpo e della persona di Aldo Togliatti".
Vicenda poi giunta alla conclusione inevitabile. Qualche tempo dopo la
"scoperta" del malato dal nome troppo ingombrante rinchiuso in
casa di cura per malattie mentali, nel 1995 Aldo Togliatti ha perso tutti
i diritti civili e politici: nell'ottobre 1995 la magistratura modenese ha
infatti pronunciato nei suoi confronti una sentenza di interdizione. Ma
come persona era già stato "cancellato" dalla stessa direzione
di Villa Igea, per motivi che non è difficile intuire: nell'elenco dei
ricoverati, mentre gli altri figuravano con nome e cognome, lui era
soltanto "Aldo".
Quest'uomo finito nel nulla, oggi di 76 anni, è il risvolto crudele del
privato di Palmiro Togliatti, di una vita per il comunismo: che ha
bruciato, anche, la vita non vissuta di un giovane cresciuto da solo
nell'infelicità e nel chiuso dei suoi dolori, per finire chiuso da adulto
in una clinica per malattie mentali, estraniato e rassegnato nella sua
solitudine, scheletro nell'armadio privato del "Migliore" e
dell'apparato modenese del partito, suo custode e guardiano.
Massimo Caprara, che di Togliatti fu segretario per vent'anni fino alla
sua morte nel '64, è uno dei pochi ad aver conosciuto bene Aldo prima che
venisse rinchiuso in clinica. Uscito dal Pci nel '68, Caprara, negli anni
più recenti ha scritto vari libri (i più recenti L'inchiostro verde
di Togliatti, Paesaggi con figure, Gramsci e i suoi
carcerieri), sulla sua esperienza, come per cercare di capire egli
stesso per primo l'automutilazione intellettuale e lo spirito totalizzante
dell'essere comunista: una ricerca del tempo perduto senza duchesse,
salotti e carinerie sullo sfondo parigino, ma densa delle asprezze e
ambiguità della politica, della spietatezza ideologica, di personalità
dal "tutto politico", di menti prigioniere sullo sfondo
dell'universo comunista.
Parlando di Aldo Togliatti, quasi suo coetaneo e che il padre ogni tanto
affidava alle sue attenzioni, Caprara lo ricorda come un giovane timido e
appartato, ma non malato, tanto che rientrato in Italia dopo essere
cresciuto in Unione Sovietica, si era iscritto a Ingegneria
all'Università di Roma. "C'era un muro di silenzio tra lui e suo
padre - dice Caprara - e c'era in lui un'inquietudine repressa. Era
desideroso di affetto, e incapace di procurarselo. A Mosca aveva passato
lunghi anni nelle scuole per figli di dirigenti, da solo, mentre la madre
Maria Montagnana e il padre erano impegnati nell'attività politica. Un
giorno, mentre eravamo insieme a Praga, mi disse sconsolato: 'Non sono mai
stato bambino'. Ho l'impressione che non fosse comunista. Non ha mai
mostrato di esserlo". E nei suoi problemi psicologici fu circondato
da quelle che Caprara definisce "barriere imponenti": partito
totalizzante, autocrazia dei genitori, "incapacità di noi stessi
comunisti a gettare una cima liberatoria".
La vicenda di quest'uomo, e il muro di silenzio che lo ha
circondato, è ripercorsa dalla Manicardi con accortezza e con pietas,
ricostruendo il ruolo dell'apparato comunista modenese: gli altri
"figli di Togliatti", appunto. Come alcuni, irrimediabilmente e
pateticamente orfani, che lei intervista per rievocare gli anni del
dopoguerra, le lotte operaie a Modena e gli scontri con la polizia, con
feriti e morti: di uno dei quali Togliatti e la Iotti adottarono una
figlia, Maria Malagoli, mentre Aldo entrava nel buio ritirandosi a Torino
con sua madre, la Montagnana, della cui famiglia viene dato un efficace
ritratto.
Per la prima volta, si parla di questa famiglia di ebrei piemontesi di
modeste condizioni, convinto antifascismo e comunismo militante, che
avrebbe meritato ben di più dal partito, se non fosse stata quella della
moglie abbandonata e cancellata dalla storia del partito stesso. Mentre un
giovane incolpevole, che non mostrava di essere comunista e forse non lo
era, veniva accantonato per finire poi privato di identità. Un'esistenza,
a dirla con Caprara, che è quasi una metafora dell'identità
comunista.
Nunzia Manicardi: "I figli di Togliatti" - Koiné, Nuove
Edizioni- pagg. 224- € 13,40
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