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21 Dicembre 2004, 17:03
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Di Italiasalute.it Più longevi, in buona salute, con
servizi sanitari di qualità Gli Italiani delle Regioni secondo il Rapporto
Osservasalute 2004. Il Rapporto Osservasalute è pubblicato da Vita & Pensiero, l’editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’Italia sta vivendo nel campo della salute una situazione di continuo movimento ed evoluzione: si evince chiaramente dalla lettura dei dati raccolti, analizzati e commentati da oltre 110 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere ed Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero della Salute, Istat. Il rapporto è stato suddiviso in due parti principali, la prima dedicata alla salute e ai bisogni della popolazione, la seconda ai sistemi sanitari regionali nonché alla qualità dei servizi. Per quanto riguarda la popolazione italiana il rapporto si propone di cogliere i trend in atto grazie a un approccio dinamico, basato sul confronto dei dati tra il 1991 e il 2002. Saldo delle nascite negativo, invecchiamento della struttura demografica della popolazione, con un aumento delle persone della fascia di età over 65 del 3,4% (in totale sono circa 10,7 milioni) e un aumento ancor più marcato dei cosiddetti grandi vecchi (di età superiore a 75 anni) pari all’8,4 della popolazione totale, aumento delle famiglie monopersonali (+34,2%), e crescita del numero degli immigrati (+27,5% con un incidenza sulla popolazione italiana del 2.3%): questi i risultati salienti che si rilevano dal confronto tra il ‘91 e il 2001. La crescita della popolazione anziana, che coincide in larga parte con l’aumento dell’aspettativa di vita, fa facilmente intuire che il sistema sanitario nazionale è chiamato a dare risposte a nuovi bisogni di salute. Enormi miglioramenti sono stati compiuti negli ultimi decenni: per gli uomini sono 12,9 e per le donne 15,4 gli anni di vita guadagnati tra il 1951 e il 2002, con una progressiva omogeneizzazione su tutto il territorio nazionale. Esistono picchi notevolissimi, come in Puglia (rispettivamente un aumento di 14,8 e 17,7), ma il dato nazionale conferma il guadagno di vita complessivo per tutta la popolazione italiana. Marcata la riduzione della mortalità per i maggiori big killer dei paesi industrializzati: dal 1991 al 2002 il tasso di mortalità per malattie del sistema circolatorio è scesa dal 42,96 al 29,57 e per i tumori dal 26,84 al 23,86. E si conferma il dato dell’anno precedente dell’azzeramento della mortalità per malattie infettive. Per quanto riguarda i tumori, a fronte di un aumento dell’incidenza media del 1,1% nei maschi e del 1,5% nelle femmine si registra una diminuzione della mortalità rispettivamente del 2,4% e del 1,2%, pur rimanendo i tumori la prima causa di morte negli adulti in Italia. Ma come per i tumori allo stesso modo per i fattori di rischio cardiovascolari (ipertensione, obesità, fumo) le campagne informative, i programmi di screening combinati con un migliorato utilizzo dell’armamentario terapeutico già mostrano la loro efficacia e pongono le basi per un’ulteriore riduzione della mortalità in questi settori. Le regioni che più di altre hanno ottenuto risultati notevoli sono il Veneto e la Lombardia per quanto riguarda la riduzione della mortalità per tumori, soprattutto nei maschi. Inoltre Lombardia, Umbria, Abruzzo e Basilicata hanno registrato la più importante riduzione di mortalità per tumore della mammella, grazie soprattutto all’aumento della diagnosi precoce e alle campagne di sensibilizzazione. Per quanto concerne i tumori di trachea-bronchi e polmone, più direttamente collegati al fumo, dal 1991 al 2001 si nota una sostanziale riduzione della mortalità nei maschi in tutte le regioni (anche se inferiore al sud) e un aumento della mortalità nelle donne in tutte le regioni, ad eccezione del Friuli Venezia Giulia. Passando ad esaminare la salute della donna e del bambino, la maglia rosa, considerando i tassi triennali, va a Friuli Venezia Giulia, dove la mortalità infantile è la più bassa, insieme a Veneto, Trento e Bolzano, e dove sono più virtuosi – insieme a Bolzano – per quanto riguarda i numeri dei cesarei. Sempre in Friuli si ha oltre ad una bassa proporzione di cesarei, un tasso basso di interruzioni volontarie di gravidanza ed una diminuzione delle interruzioni spontanee (anche se è la più elevata in Italia). Le principali cause di morte nel nostro paese, descritte con un tabella per fasce di età di cinque anni in cinque anni, vedono al primo posto nei giovani dai 10 ai 34 anni gli incidenti stradali, per la donna dai 35 ai 69 il tumore della mammella, mentre per l’uomo oltre i 40 anni le malattie cardiovascolari e il tumore al polmone. “Viviamo in un paese – commenta il prof. Ricciardi – che, anche nelle regioni più svantaggiate, presenta dati che indicano un’aspettativa di vita maggiore a quella di molti Paesi sviluppati, inclusi gli Stati Uniti. I progressi che sono stati compiuti negli ultimi dieci anni e i profondi cambiamenti in procinto di verificarsi per le modifiche al nostro sistema costituzionale rappresentano un importante sfida per il sistema”. Il Servizio Sanitario attraverso le sue attività (prevenzione, cura e riabilitazione) ha dato un contributo determinante agli elevati standard di salute del nostro paese, ma “nonostante questi risultati - evidenzia il prof. Ricciardi - non esiste nell’opinione pubblica piena consapevolezza dell’impatto positivo esercitato dal Servizio Sanitario sulla salute dei cittadini. Eppure dal Rapporto Osservasalute 2004 emerge che la qualità dell’assistenza ospedaliera, valutata sulla base di alcuni degli indicatori americani di qualità dell’Agency for Healthcare Research and Quality, si pone su un livello che è paragonabile, se non superiore, a quello degli ospedali americani”. Sul piano dei servizi sanitari regionali –che di fatto sono il banco di prova della devolution - emergono però differenze nei criteri adottati, ponendo un campanello d’allarme circa la possibilità che le regioni si muovano verso politiche programmatorie non coerenti e profondamente scollegate tra loro. Differenze che emergono dalla decisione di alcune regioni di utilizzare il ticket farmaceutico o di stabilire di avvalersi di un’addizionale IRPEF particolarmente elevata se confrontata con il livello di qualità dei servizi forniti. Anche alcune scelte programmatorie sono estremamente divergenti: ad esempio il tasso di ospedalizzazione in ricovero ordinario considerato appropriato per alcuni DRG fissato a 0,66% del totale dalla Regione Calabria e a 50% dalla Regione Piemonte. |