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Carta, in pericolo l’unità italiana
LA PATRIA PERDUTA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
È impossibile nascondersi la gravità di quanto è accaduto ieri al Senato. Dopo
la Camera, infatti, l’assemblea di Palazzo Madama ha approvato definitivamente
in prima lettura una riforma della Costituzione italiana che distrugge alcuni
aspetti caratterizzanti dell’organizzazione dello Stato repubblicano e modifica
in profondità il funzionamento dei massimi organi del suo potere politico nonché
lo schema dei loro rapporti. Il panorama delle rovine è presto descritto. Viene
estesa a dismisura, anche a campi delicatissimi come quello dell’istruzione e
della sicurezza pubblica, la capacità legiferatrice delle Regioni: lo Stato
centrale mantiene sì formalmente l’esercizio di un potere d’interdizione, ma in
misura attenuata e così ambigua che l’unico risultato prevedibile è una crescita
esponenziale del contenzioso Stato-Regioni, già oggi ben oltre il limite di
guardia. Nell’ambito del potere centrale, poi, la fine dell’attuale
bicameralismo perfetto serve ad installare un Senato di nuovo tipo - presentato
come «federale» ma in realtà non eletto in rappresentanza delle Regioni in
quanto tali, e con competenze ridotte rispetto ad una vera camera politica - e
una Camera dei deputati sovrastata da un primo ministro eletto dal popolo ma
che, in barba ad ogni logica costituzionale, potrà a certe condizioni essere
sfiduciato dalla stessa ed avrà, insieme, il potere di scioglierla quando gli
piacerà. Ciò che in conclusione la riforma costituzionale realizza - per giunta
non subito ma, tanto per accrescere la confusione, in varie tappe scaglionate
nel tempo - sarà un incrocio contraddittorio e micidiale di accentramento e
decentramento, all’insegna dell’istituzionalizzazione della paralisi e
dell’apoteosi del ricatto.
Del resto è solo per il ricatto continuo e minaccioso della Lega che l’onorevole
Berlusconi e la destra hanno dato il via a un progetto simile. È esclusivamente,
cioè, per il proprio immediato tornaconto politico che il presidente del
Consiglio e altre forze della sua maggioranza, che al pari di lui non hanno mai
manifestato alcun interesse per il federalismo, e anzi sono ideologicamente ai
suoi antipodi come Alleanza nazionale, lo hanno improvvisamente abbracciato,
accettando così cinicamente di mettere mano al disfacimento del Paese.
Perché di questo si tratta: la riforma della Costituzione voluta dal governo e
dalla sua maggioranza costituisce forse il più grave pericolo che l’unità
italiana si trova a correre dopo quello terribile corso sessant’anni orsono nel
periodo seguito all’armistizio dell’8 settembre. Mentre in misura altrettanto
forte sono in pericolo la funzionalità e l’efficienza della direzione politica
dello Stato da un lato, e dall’altro alcuni valori di fondo della nostra
convivenza, non più garantiti da una tutela pubblica affidabile.
Di fronte a questa prospettiva inquietante, non ci sembra che abbia molto senso
unire la nostra voce al coro di quelli che, sia pure con qualche ragione,
mettono sotto accusa le responsabilità anche della sinistra per aver aperto la
porta al disastro attuale approvando, con una ristrettissima maggioranza, le
modifiche del Titolo V della Costituzione nella scorsa legislatura. Anche nelle
responsabilità c’è una gerarchia, e oggi quello che appare in modo indiscutibile
è il primo posto guadagnato dalla destra e dal suo capo nella corsa a fare il
male del Paese. Per realizzare il misfatto hanno bisogno però del consenso dei
cittadini nel referendum confermativo da qui ad un anno o quando sarà: vedremo
allora se gli italiani sono davvero stanchi di avere una Costituzione e una
patria.