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IL MERCATO
CoSTITUZIONALE
MASSIMO GIANNINI
Povera Costituzione. L´Ulivo l´aveva "sporcata", con una riforma del titolo V
che ha creato il primo cortocircuito tra Stato e regioni. In queste ore il Polo
sta facendo molto di peggio. La sta riducendo a un meschino baratto. La sta
svilendo a un truce commercio di ricatti incrociati e di vendette trasversali.
Il segno tangibile di questa miseria politica e giuridica, che richiede il
milionesimo «vertice notturno» a Palazzo Grazioli, è il no con il quale An, ieri
pomeriggio, ha respinto l´articolo 24 del pacchetto sulle riforme istituzionali,
quello che riscrive i poteri di firma e controfirma del presidente della
Repubblica. Secondo la nuova formulazione dell´articolo 89 della nostra Carta
del 1948, tutti gli atti del Capo dello Stato devono essere controfirmati dai
ministri proponenti.
Il mercato costituzionale
Ma il nuovo testo
prescrive alcune eccezioni. Tra queste, c´è anche il provvedimento di
concessione della grazia, che il presidente può concedere indipendentemente
dalla proposta e dalla controfirma del Guardasigilli.
Il motivo per cui Alleanza nazionale ha votato contro la sua stessa maggioranza,
rompendone il già precario equilibrio e facendo infuriare il leghista Calderoli
che ora ripete «o si chiude entro la settimana o mi dimetto», l´ha spiegato con
brutale candore il ministro delle Comunicazioni Gasparri: «Fa molto male la Lega
ad essere irritata: quell´articolo, bocciato, avrebbe consentito a un Capo dello
Stato qualunque di concedere la grazia a Sofri senza il parere del governo.
Votando contro quest´articolo, lasciamo nelle mani di Castelli il potere di fare
rimanere Sofri in carcere».
Il disegno di legge sulle riforme impastrocchiato dal Polo è dannoso per mille
aspetti. Tra una devolution disgregativa e niente affatto federativa, e un
premierato assoluto che non esiste in nessun Paese del mondo, prefigura quella
che Giovanni Sartori ha chiamato la «Costituzione incostituzionale». Ma al di là
dei già allarmanti risvolti generali, a risultare agghiacciante è proprio questa
disinvolta strumentalizzazione di ogni singolo aspetto delle riforme. È una
norma-cardine, quella sulle prerogative del Capo dello Stato, che il progetto
dei sedicenti «saggi di Lorenzago» ha già azzerato a tutto vantaggio del potere
cesarista del "primo ministro" e ridotto a un livello intollerabile per una
repubblica parlamentare. Questa norma, ora, viene usata da un partito della
coalizione per due bassi motivi «congiunturali» che, con la dialettica
«strutturale» del pluralismo istituzionale e del bilanciamento dei poteri, non
c´entrano assolutamente nulla.
Il primo motivo è bieco, ma è nascosto: forse An ha voluto restituire, sulle
riforme tanto care al Carroccio, lo stesso sgambetto che la Lega gli aveva
fatto, una settimana fa, sulla Finanziaria. È un bel modo per regolare i conti
interni a un´alleanza: scaricarne i «costi» sulle istituzioni. Il secondo motivo
è forse ancora più bieco, ed è palese: An non vuole che una singola persona esca
dal carcere, quindi ritiene normale modificare per questo un sistema di precetti
generali che riguardano e devono riguardare tutte le persone. Si può essere o no
d´accordo nel merito (se sia giusto o meno che Adriano Sofri torni libero,
questione sulla quale nei mesi scorsi il partito di Fini si è esercitato
comunque con improprio livore). Quello che stupisce, e francamente preoccupa, è
il metodo. Lo stesso già collaudato per le Cirami, e per le leggi sulle
rogatorie o sul falso in bilancio.
La Costituzione è la casa di tutti gli italiani. È la Bibbia laica dei diritti
individuali e collettivi, dell´uomo e del cives. È il libro delle regole che
sovrintendono la democrazia, delle istituzioni che la incarnano, dei poteri che
la applicano. È un edificio etico-normativo nel quale devono poter convivere
leggi, costumi, culture e identità di un popolo. Questo non significa che una
Costituzione sia immutabile. Non lo è neanche la nostra Carta del ?48, che non
va difesa a priori, in nome di un conservatorismo istituzionale anacronistico e
insensato. Ma una Costituzione deve essere coerente, e deve poter durare nel
tempo. Deve poter riflettere i cambiamenti, emendandosi ma non snaturandosi.
Il centrodestra al potere, invece, sta facendo esattamente questo. Sta
snaturando il regime costituzionale. Sta trasformando la casa di tutti gli
italiani nel «mercato rionale» dei partiti della maggioranza. Forza Italia,
partito personale di Silvio Berlusconi, vuole la repubblica presidenziale
ritagliata a misura del Cavaliere? Va al mercato delle riforme, e se ne prende
un pezzo. La Lega, partito di secessione e di governo, esige la devolution? Va
al mercato delle riforme e se ne prende un altro pezzo. An, partito dell´ordine
e della disciplina, pretende il premierato e rifiuta la grazia a Sofri? Va al
mercato delle riforme, e se ne prende altri due pezzi. L´Udc prova a contenere i
danni del mercanteggiamento costituzionale, fa bene dopo la bocciatura
dell´articolo 245 a dire «adesso va rivisto anche il premierato», ma non può
fare molto di fronte ad appetiti politici così famelici degli alleati.
Dov´è, in tutto questo, l´interesse generale? Dove sono i principi supremi, ai
quali i governi di qualunque colore o i Parlamenti di qualunque maggioranza,
alternandosi nel corso lungo degli anni, dovrebbero fare riferimento? Dove sono
quelle che i padri del grande diritto germanico chiamerebbero le «grund-norm»
del sistema, destinate a sopravvivere al continuo avvicendarsi delle
legislature? Nel «pacchetto» della Cdl non c´è niente di tutto questo. C´è solo
la voglia, insieme bonapartista e peronista, di prendersi le istituzioni come se
fossero una merce. Insieme a quei 50 articoli stravolti e riscritti, c´è la
convinzione di «comprare» interi scampoli di potere. E l´illusione di
«acquistare» una garanzia sulla durata della propria avventura politica.
Berlusconi ha ragione quando confessa di non avere «il senso dello Stato». Ma
mente quando afferma di avere «il senso dei cittadini». Non ha neanche quello.
Ha solo il senso di se stesso. E come conferma la sua gestione al tempo stesso
dittatoriale e paternalistica dei dissidi interni al Polo sulle riforme, è
ancora convinto che il destino della nazione coincida con il suo. L´unico
precedente di una formula costituzionale di «governo del primo ministro» risale
al Ventennio di Benito Mussolini. Sicuramente è solo un caso. Ma non è un bel
caso.