Nella metropolitana di Milano, "baby gang" assaltano increduli
coetanei per derubarli di giubbotto, scarpe da ginnastica, telefonino cellulare
e qualche spicciolo. Il fenomeno si ripete a distanza di pochi giorni e culmina
con l'arresto di due minorenni. Nel piemontese, undici ragazzi giocano a tirare
sassi da un cavalcavia contro le automobili di passaggio: una pietra colpisce la
Mercedes su cui viaggiano ignari marito e moglie. La donna colpita muore sul
colpo. Nella periferia di Bologna automobili in gara nella notte si schiantano
ed uccidono innocenti passanti.
Sembra il bollettino di una guerra in corso. E forse lo è. Una guerra non
dichiarata ed inconsapevole, che non sventola ideologie o bandiere, ma affonda
le sue radici nell'angoscia e nel profondo disagio
dei giovani di oggi: "cinici arrabbiati e soli", come li definiscono i
sociologi, i ragazzi del comitato
Luther Blisset, quelli che ascoltano solo musica techno
a 200 battute al minuto e si sballano di ecstasy
e di incidenti
stradali, trapper di emozioni estreme, ma solo il sabato sera.
I salti generazionali sono in progressiva accelerazione tanto da indurre gli
antropologi a consegnare alla storia il modello "yuppies" per
sostituirlo con lo stereotipo ancor più crudo e deprecabile di ragazzo dalla
"testa vuota".
Ed in effetti la società tradita dal modello edonistico e rampante degli anni
Ottanta ci consegna, da una parte, una pletora di adulti, genitori ed educatori,
delusi ed immaturi, ritratti su se stessi ed intenti a piangersi addosso, e
dall'altra i loro figli, i disillusi dell'essere, gli adepti dell'apparire.
Figli di una società antropofagica, morta, capace solo di prevaricare sui più
deboli e sui più fragili, di insegnare il valore del non valore, di premiare il
tradimento e non l'onore; figli di genitori non più autorevoli che a sei anni
li hanno piazzati davanti alla "tv" senza dar loro altra meta da
raggiungere che il guadagno ed il successo. Salvo poi farsi prendere da
rigurgiti di moralismo acuto con il risultato di creare barriere insuperabili e
fratture non più componibili. Questi giovani sono così annichiliti e poveri,
idealmente, psichicamente, moralmente, affettivamente, da non poter far nulla se
non, quando riescono a trovare la forza, gettare un sasso dal cavalcavia.
Plagiati dalla pubblicità degli imbonitori, inseguono gli "status simbol"
che neppure più subliminalmente vengono loro continuamene proposti: telefonino,
automobili sempre più veloci e necessarie per far colpo sulla più avvenente ed
insignificante della comitiva. Potenziali consumatori, protagonisti della catena
dei bisogni, i giovani subiscono inconsapevolmente i processi
di identificazione indotti dalla moda e dal costume.
In una società "usa e getta", sempre più virtuale,
deresponsabilizzata e legata supinamente a canoni estetici, preconcetti e
stantii, è facile che i più fragili smarriscano entusiasmo e convinzione nei
propri mezzi; xenofobi di se stessi, finiscono per rinunciare all'originalità,
alla fantasia ed all'esigenza di distinguersi per indole, gusti e scopi.
Lì dove si è "felici" solo se "vincenti"
dove il "brutto" è necessariamente "cattivo", dove tutto è
anabolizzato e portato volutamente all'esasperazione, è difficile pensare di
poter operare una scelta in contro tendenza.
Diventa inevitabile adeguarsi per non soccombere.
Ne consegue una diversa interpretazione del vivere quotidiano e dei rapporti
interpersonali. Così ammassati in questa realtà che aliena, annoia e mortifica
"gregari" e perdenti premiando, sempre e comunque, soltanto i primi,
si avverte l'esigenza insopprimibile di primeggiare, di essere protagonisti
oltremodo ed oltremisura, di "fare tendenza".
E la risposta virtuale al bisogno reale di chi è fragile e disposto a tutto, la
"medicina" che cura l'ansia,
il disagio ed il vuoto è lo stupefacente.
Non più l'eroina
che aliena
ed uccide, ma pillole colorate e taumaturgiche di MDMA, nella erronea
convinzione che questa droga, dilatando illimitatamente le potenzialità
dell'individuo, gli consenta d'acquisire attitudini, disinibizione ed uno
standard di capacità diversamente non raggiungibile.
Non una fuga in un mondo autarchico e rassicurante, ma il ricorso
ad un integratore di vitalità e di felicità. A chi interessa se indotte e
preconfezionate? Un'illusione, un rave,
(delirio), che considerano valere qualsiasi
prezzo.
Una "Generazione in ecstasy" intenta a cercare, non importa se in
discoteca o allo stadio, ore di sballo collettivo e di abbandono; a cercare di
agguantare, grazie agli effetti di una droga come l'ecstasy, un'alternativa
all'emarginazione ed alla marginalità
della vita quotidiana vissuta nelle periferie e nelle province, sociali ed
etiche più ancora che geografiche; a compensare il bisogno estremo di socialità
nel rimbombo della musica
techno, senza parole e senza discorso; a vivere una esperienza di
"trance" mistica,
ma senza Dio.
Una generazione che tra una pasticca e l'altra s'ingoia l'oggi ed il domani,
continuamente alla ricerca di un palcoscenico dove poter ostentare, mettere in
mostra se stessa, in shorts, giacca di vinile, "piercing" e tatuaggi,
per diventare per un attimo protagonista. Una disperata competizione nel cercare
di attrarre su di sé l'attenzione, per essere, comunque, il punto di
riferimento di tutti gli altri, perché ciò significa successo, considerazione,
significa maggior presa nei confronti dell'altro sesso.
Soprattutto nei giovani meno abbienti, l'occasione per uscire dall'anonimato,
per ottenere una rivincita, un istante di notorietà in un mondo che si alimenta
d'immagine.
La lotta alla droga, lo abbiamo detto, non si vince con la sola repressione
dell'offerta, che sembra inesauribile, ma col comprimere ed inibire
la domanda. Si deve quindi agire sui consumatori. Ma per arrivare a loro
efficacemente è necessario effettuare una drastica inversione di rotta. Bisogna
trasformare e riequilibrare la società, eliminare l'anomia
riaffermando la validità di alcuni valori che consentano di colmare il vuoto
cosmico e la banalità che la pervade; è necessaria una rivoluzione delle
coscienze, del costume e dei suoi canoni.