| Www.segnalo.it |
1°Seminario: “Nuovo
quadro di riferimento normativo e programmazione legge 285/97”
Firenze, Istituto degli Innocenti, 1-2 ottobre
Il ruolo programmatorio delle Regioni nelle politiche per l’infanzia e l’adolescenza
alla luce del modello offerto dalla legge n. 328/2000.
Il suo rapporto con la legge 285 e le altre leggi di area sociale relative a i minori
(Prof. Paolo Ferrario)
Le aree formative 1) Area Legislazione e programmazione La L. 285/97 è entrata a far parte della L. 328/2000 inerente la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Non essendo abrogata, come tutte le leggi di settore, possiamo quindi affermare che c’è una sorta di integrazione del quadro riformatore della L. 285/97 nell’ambito del più generale sistema dei servizi sociali. Nel nuovo contesto che si viene a determinare la nuova programmazione della L. 285/97 andrà raccordata con le politiche per l’infanzia e l’adolescenza nella singola Regione o Provincia autonoma. Appare quindi importante prevedere una specifica formazione sulla L. 328/2000, che potrà coinvolgere anche alcuni amministratori locali, e possa essere rivolta in particolare ai diversi interlocutori che si occupano di programmazione regionale. La tematica è interconnessa con l’area amministrativa, dove può essere specificamente trattata, ma appare utile prefigurare interventi formativi che abbiano una forte connessione con le tematiche progettuali per la programmazione del complessivo sistema dei servizi.
1°Seminario: “Nuovo
quadro di riferimento normativo e programmazione legge 285/97”
|
Seminario: “Nuovo quadro di riferimento normativo e programmazione legge 285/97”
Comunicazione su
Il ruolo programmatorio delle Regioni nelle politiche per l’infanzia e l’adolescenza alla luce del modello offerto dalla legge n. 328/2000. Il suo rapporto con la legge 285 e le altre leggi d’area sociale relative ai minori
Paolo Ferrario, professore a contratto di Politica sociale presso il Corso di laurea in Servizio Sociale dell'Università di Venezia. E' autore del volume Politica dei servizi sociali, Carocci Editore, Roma, 2001 e gestisce il sito web www.segnalo.it
Sintesi della comunicazione
Con la fine degli anni ’90 ed in particolare con la Legge 285/1997 è possibile affermare che nella politica sociale dello Stato Italiano si è avviata la costruzione di una specifica “politica per le famiglie”.
Il particolarissimo percorso della sua formazione è stato il seguente:
- rafforzata posizione costituzionale delle Regioni nell’ordinamento dello Stato;
- sviluppo di servizi socio-sanitari di consulenza e informazione;
- estensione dei ruoli e funzioni dei comuni;
- riconoscimento e valorizzazione dei soggetti imprenditoriali e solidaristici del “terzo Settore”;
- leggi regionali per le famiglie;
- rafforzamento dei diritti soggettivi dei minori;
- individuazione di specifici diritti alla crescita, alle opportunità, al sostegno della genitorialità;.
Questo percorso si è intrecciato con la riforma complessiva dei servizi sociali che ha affidato ai comuni la responsabilità istituzionale di sviluppare una rete di offerta complementare a quella delle Aziende sanitarie.
Per quanto riguarda le famiglie e i minori, oggi siamo dunque in presenza di azioni legislative specifiche (consultori; affidi e adozioni; sostegni alle famiglie; interventi contro la violenza sui minori; estensione dei diritti soggettivi) e di azioni legislative generali (regole per lo sviluppo istituzionale ed organizzativo dei servizi sociali; regole sui servizi sanitari e socio-sanitari; amministrazione dei rapporti inter-istituzionali fra settore pubblico e settore privato dei servizi alle persone).
Tutto questo avviene in un contesto di fortissima articolazione e frammentazione delle responsabilità istituzionali.
Tale situazione accentua le responsabilità del ruolo programmatorio delle regioni che sono chiamate a:
- favorire le connessioni programmatorie fra Asl (Piani distrettuali) e Comuni (Piani di zona)
- integrare i contenuti e lo sviluppo dei Livelli essenziali statali coordinandoli con le azioni regionali, per continuare nella prospettiva dell’universalismo delle prestazioni
- conoscere le esperienze locali e favorire la comunicazione sociale sugli effetti dei servizi (documentare; verificare, valutare, informare, mantenere vive le esperienze)
- continuare a dare uno spazio di visibilità alle specifiche politiche per le famiglie e l’infanzia anche nei più complessivi Piani di zona dei servizi sociali
elaborare una cultura ed una pratica della programmazione concertata delle politiche sociali, poiché si affievolisce quella della “programmazione a cascata”
riconoscere l’accresciuto ruolo strategico dei luoghi di comunicazione inter-regionali nonché dei connessi spazi istituzionali (Conferenza Stato – regioni; Conferenza delle autonomie locali)
-
In conclusione la programmazione sociale e socio-sanitaria nel nuovo contesto istituzionale rende ancor più necessario rafforzare i legami nelle reti dei servizi alle persone proprio perché la sempre più complessa articolazione delle istituzioni delle organizzazioni e del lavoro professionale tende a far perdere gli orizzonti di senso del sistema dei servizi.
Paolo Ferrario
professore a contratto di Politica sociale al Corso di laurea in servizio sociale dell’Università di Venezia
IL RUOLO PROGRAMMATORIO DELLE REGIONI NELLE POLITICHE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA ALLA LUCE DEL MODELLO OFFERTO DALLA LEGGE 328/2000. IL SUO RAPPORTO CON LA LEGGE 285 E LE ALTRE LEGGI DI AREA SOCIALE RELATIVE AI MINORI
Relazione tenuta all’Istituto Innocenti in data 2 ottobre 2002
Premessa
Questa relazione svilupperà i seguenti punti::
- fasi delle politiche per la famiglia ed i minori: periodizzazioni, tendenze, situazione attuale
- l’intreccio con i recenti mutamenti istituzionali: l’accresciuto ruolo dei comuni; la riforma dei servizi sociali
- programmazione sociale e programmazione socio-sanitaria nell’attuale assetto dei servizi: le regole della legge 328/2000; i punti di forza delle Legge 285/1987; la cura dei processi amministrativi e professionali nelle nuove forme di concertazione fra i vari livelli operativi
1. Politiche per i minori e le famiglie
Con la fine degli anni ’90 ed in particolare con la Legge 285/1997 è possibile affermare che nella politica sociale dello Stato Italiano si è avviata la costruzione di una specifica “politica per le famiglie”.
Il particolarissimo percorso della sua formazione è stato il seguente:
- rafforzata posizione costituzionale delle Regioni nell’ordinamento dello Stato;
- sviluppo di servizi socio-sanitari di consulenza e informazione;
- estensione dei ruoli e funzioni dei comuni;
- riconoscimento e valorizzazione dei soggetti imprenditoriali e solidaristici del “terzo Settore”;
- leggi regionali per le famiglie;
- rafforzamento dei diritti soggettivi dei minori;
- individuazione di specifici diritti alla crescita, alle opportunità, al sostegno della genitorialità;.
Questo percorso si è intrecciato con la riforma complessiva dei servizi sociali che ha affidato ai comuni la responsabilità istituzionale di sviluppare una rete di offerta complementare a quella delle Aziende sanitarie.
Per quanto riguarda le famiglie e i minori, oggi siamo dunque in presenza di azioni legislative specifiche (consultori; affidi e adozioni; sostegni alle famiglie; interventi contro la violenza sui minori; estensione dei diritti soggettivi) e di azioni legislative generali (regole per lo sviluppo istituzionale ed organizzativo dei servizi sociali; regole sui servizi sanitari e socio-sanitari; amministrazione dei rapporti inter-istituzionali fra settore pubblico e settore privato dei servizi alle persone).
Tutto questo avviene in un contesto di fortissima articolazione e frammentazione delle responsabilità istituzionali.
Tale situazione accentua le responsabilità del ruolo programmatorio delle regioni che sono chiamate a:
- favorire le connessioni programmatorie fra Asl (Piani distrettuali) e Comuni (Piani di zona)
- integrare i contenuti e lo sviluppo dei Livelli essenziali statali coordinandoli con le azioni regionali, per continuare nella prospettiva dell’universalismo delle prestazioni
- conoscere le esperienze locali e favorire la comunicazione sociale sugli effetti dei servizi (documentare; verificare, valutare, informare, mantenere vive le esperienze)
- continuare a dare uno spazio di visibilità alle specifiche politiche per le famiglie e l’infanzia anche nei più complessivi Piani di zona dei servizi sociali
elaborare una cultura ed una pratica della programmazione concertata delle politiche sociali, poiché si affievolisce quella della “programmazione a cascata”
riconoscere l’accresciuto ruolo strategico dei luoghi di comunicazione inter-regionali nonché dei connessi spazi istituzionali (Conferenza Stato – regioni; Conferenza delle autonomie locali)
-
Una sintetica documentazione del processo normativo relativo alle politiche dei servizi applicate alle famiglie ed ai minori è contenuto nella seguente tabella.
I tratti caratteristici di questa politica per le famiglie sono i seguenti:
- si tratta di un sistema di interventi fortemente incardinato sui ruoli legislativi delle regioni
- le reti di offerta sono decentrate e si collocano nell’ambito del welfare municipale
- la legislazione statale mira a conciliare l’offerta periferica, e quindi potenzialmente iniqua sul territorio nazionale, con i diritti di cittadinanza fissati con standard nazionali
A partire dal 1989 alcune regioni, nel quadro delle loro competenze nel settore dei servizi, hanno elaborato specifiche leggi di sostegno alle famiglie [1] o hanno inserito tale materia nel quadro delle leggi di riordino dei servizi sociali. Le politiche definite possono essere identificate attorno ai seguenti punti:
- sostegni economici: assistenza economica a chi assiste anziani non autosufficienti o a chi deve sospendere il lavoro per assistere handicappati; prestiti agevolati; incentivi per servizi autogestiti; prestiti per l’acquisto della casa; contributi per l’abbattimento dei canoni di affitto; riserve di alloggi di edilizia agevolata
- servizi sociali: tipi diversi di assistenza domiciliare (in gravidanza; ospedalizzazione domiciliare; assistenza educativa); rafforzamento dei consultori; spazi comuni per le famiglie; nidi famiglia; ricoveri flessibili nelle strutture per anziani; uffici per la tutela dei minori; strutture di accoglienza per le vittime di violenza sessuale; costituzione di centri per le famiglie
- incentivi per la formazione di nuovi nuclei familiari: mutui a tasso agevolato per le giovani coppie
- opportunità a favore delle famiglie: accordi per gli orari; accesso flessibile ai servizi; sperimentazione di nuovi servizi; integrazione e coordinamento fra servizi; programmazione dei servizi concertati.
Nel passato il problema dei minori coinvolti in attività criminose era affrontato quasi esclusivamente sotto il profilo dell’ordine pubblico. Dopo il cambiamento delle procedure del processo penale minorile è stata definita una legge che affronta il problema anche sotto il profilo socio-assistenziale [2]. I punti chiave della normativa sono i seguenti:
- obiettivi: tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione dei minori; affrontare il rischio dei minori coinvolti in attività criminose
- servizi ed interventi da sviluppare: comunità di accoglienza; sostegno alle famiglie; centri di incontro e di iniziativa; tempo pieno scolastico anche nei periodi estivi
- soggetti istituzionali destinatari dei contributi: comuni; province; comunità montane; consorzi di enti locali; soggetti privati senza fini di lucro
- finanziamento: lo stato dà ai richiedenti contributi finanziari, e non finanziamenti totali delle iniziative. Questi flussi finanziari gravano su un apposito “Fondo per lo sviluppo degli interventi sociali”. Per le regioni meridionali sono previsti appositi finanziamenti da parte del Ministero di Grazia e Giustizia
- procedure: sono definite annualmente per mezzo di circolari attuative. Il procedimento per la concessione dei contributi avviene attraverso le fasi della a) domanda, b) istruttoria; c) proposta all’organo di valutazione; d) provvedimento di concessione
Nella seconda metà degli anni ’90 è stato avviato un forte programma di sviluppo dei servizi finalizzati alla promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza [3]. Il successivo grafico rappresenta la configurazione dei soggetti e delle azioni messe in atto da questa legislazione.
L’interesse per questo programma legislativo nasce dal fatto che esso ha promosso un processo operativo e sociale di elaborazione ed attuazione di progetti in varie aree problematiche: sostegno alle relazioni genitori-figli; contrasto delle povertà e della violenza; sviluppo di servizi innovativi nell’ambito dell’educazione e del tempo libero; azioni per la promozione dei diritti dei minori e dei giovani. Amministratori locali e operatori dei servizi sono stati impegnati ad utilizzare i nuovi strumenti della cooperazione interistituzionale (accordi di programma in ambiti territoriali sovracomunali; accordi fra enti pubblici e soggetti del privato sociale) o per rafforzare l’azione di servizi già esistenti o per creare nuove iniziative che hanno arricchito di risorse le comunità locali.
Un altro importante programma legislativo elaborato negli anni ’90 è contenuto nella legge sui tempi della famiglia [4], che ha modificato e adeguato alle nuove situazioni socio-economiche e culturali la precedente normativa sulle lavoratrici madri [5]. Questa legge si colloca nel contesto delle politiche di altri paesi: in Scandinavia, ad esempio, la regolazione dei congedi parentali è affrontata da tempo [6]. La normativa italiana interviene nella gestione dei tempi di lavoro da utilizzare per la cura dei figli e prevede la possibilità di congedi da dedicare alla formazione e allo studio. Si aprono, cioè, nuove opportunità per l’apprendimento e l’educazione in tutto l’arco della vita.
I contenuti principali sono indicati nei seguenti punti chiave:
- obiettivi: promuovere un equilibrio fra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione
- congedi parentali:
- astensione obbligatoria per maternità: al divieto di adibire al lavoro le donne nei due mesi precedenti e nei tre mesi seguenti il parto, si aggiunge un elemento di flessibilità nella fruizione di tale aspettativa. La madre potrà posticipare l’astensione, iniziandola un solo mese prima della data presunta del parto e, di conseguenza, facendola proseguire fino a tutto il quarto mese successivo al parto.
- parto prematuro: in precedenza l’astensione obbligatoria per maternità consisteva in due mesi dalla data presunta del parto e in tre mesi dopo il parto. Con la nuova legge, nel caso il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto
- astensione dal lavoro del padre: il diritto di astensione dal lavoro spetta anche al padre, nei primi tre mesi della nascita del figlio, nel caso di morte della madre, grave infermità della madre, abbandono, affidamento esclusivo del bambino al padre
- astensione facoltativa: sia la madre sia il padre possono assentarsi dal lavoro, anche contemporaneamente, per un periodo che complessivamente non può eccedere i dieci mesi, nei primi otto anni di vita del bambino. Ciascuno dei due, però, non potrà fruire di più di sei mesi di congedo. Per la madre tale congedo si aggiunge all’astensione obbligatoria. I genitori potranno scegliere di fruire di tali congedi sia in via continuativa sia frazionata. Nel caso in cui vi sia un solo genitore non varrà la limitazione dei sei mesi e pertanto potrà utilizzare tutti i dieci mesi concessi
- congedi di cura:
- riposi giornalieri: consistono nell’assenza dal lavoro durante il primo anno di vita dei figli per una o due ore giornaliere, a seconda che l’orario di lavoro sia inferiore o almeno pari a sei ore
- parti plurimi: in questo caso i periodi di riposo giornaliero sono raddoppiati e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre, in modo che possa dare un aiuto alla madre
- malattia dei figli: entrambi i genitori possono fruire su base paritaria della possibilità di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino in età inferiore ai tre anni, dietro presentazione del certificato medico. Nel caso il bambino abbia meno di tre anni non vengono fissati limiti ai congedi. Se l’età è compresa fra i tre e gli otto anni, viene fissato il limite massimo di cinque giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore. Non è possibile che entrambi i genitori godano contemporaneamente di tale tipo di congedo. Inoltre la malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso delle ferie da parte del genitore
- gravi motivi familiari: la lavoratrice e il lavoratore subordinati hanno diritto a tre giorni complessivi all’anno di permessi retribuiti in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge anche legalmente separato, del convivente, del parente (entro il secondo grado) anche non convivente
- genitori adottivi o affidatari: i congedi per cura, educazione, assistenza, malattia e allattamento si estendono ad essi. Il limite di età del bambino è, in questo caso, più elastico: se il minore ha un’età compresa tra sei e dodici anni, il diritto di fruire dei congedi spetta nei primi tre anni di ingresso del minore nel nucleo familiare. Tale possibilità consente ai genitori di far fronte ai problemi e alle difficoltà che potrebbero verificarsi per l’inserimento del minore nella nuova famiglia
- permessi per disabili: congedi e riduzione di orario per i genitori di minori disabili; permessi per la cura di minori disabili; tutele e permessi per la cura di familiari disabili; tutele, permessi e/o riduzione di orario per le lavoratrici e i lavoratori disabili
- congedi formativi:
- per la formazione. Tale congedo è finalizzato a: completamento della scuola dell’obbligo; conseguimento del titolo di studio di secondo grado; conseguimento del diploma universitario; conseguimento della laurea; partecipazione ad attività formative diverse da quelle organizzate dal datore di lavoro. Hanno diritto a fruire dei congedi i lavoratori dipendenti da enti pubblici e privati con almeno cinque anni di anzianità presso la stessa azienda o amministrazione. Il lavoratore conserva il diritto al posto di lavoro e la durata della sospensione del rapporto di lavoro non può eccedere gli undici mesi continuativi o frazionati, nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il datore di lavoro, per comprovate esigenze organizzative, può non accogliere la richiesta oppure può differirla nel tempo. Tali congedi si sommano a quelli previsti in materia di diritto allo studio, non sono retribuiti e il periodo di lavoro non è computabile nell’anzianità di servizio e non è cumulabile con le ferie, con la malattia e con gli altri congedi. Il lavoratore può procedere al riscatto del periodo relativo al congedo, oppure può provvedere al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria
- per la formazione continua. Si tratta dei periodi di tempo finalizzati ad accrescere conoscenze e competenze professionali. Tale formazione può corrispondere ad un’autonoma scelta del lavoratore o essere predisposta dall’azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali. I contratti collettivi definiscono i criteri, modalità e monte ore, nonché quote di riduzione dell’orario di lavoro per progetti finanziati dalle regioni.
- diritti nel rapporto di lavoro:
- divieto di licenziamento: è da considerare nullo ogni licenziamento del lavoratore causato dalla domanda o dalla fruizione dei congedi parentali, di paternità, di cura e formativi. Le lavoratrici e i lavoratori subordinati hanno diritto alla conservazione del posto in tutte le tipologie di congedo
- diritti al rientro dal congedo. Per tutti i congedi considerati dalla nuova legge, è previsto che la lavoratrice e il lavoratore, a meno che non vi rinuncino, abbiano diritto a rientrare nella stessa unità produttiva dove erano occupati al momento della richiesta di congedo. Inoltre hanno diritto ad essere adibiti alle mansioni precedentemente svolte: l’esercizio di tale diritto si considera soddisfatto se vengono adibiti almeno a mansioni equivalenti. Ai contratti collettivi è affidata la competenza di disciplinare le modalità per la partecipazione a corsi formativi al rientro dai congedi per gravi motivi familiari
- anticipazione del trattamento di fine rapporto: il TFR può essere anticipato per poter sostenere i costi connessi all’utilizzo dei congedi parentali e dei congedi formativi
- sostituzione di assenti in congedo. In sostituzione dei lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro è normalmente prevista l’assunzione di lavoratori a tempo determinato. La legge consente che tale assunzione avvenga con un anticipo fino a un mese rispetto all’inizio dell’astensione. La contrattazione collettiva potrà comunque prevedere anche periodi di anticipo superiori a un mese. Nelle aziende con meno di venti lavoratori, al datore di lavoro è concesso uno sgravio contributivo del 50% sui contributi da pagare per i lavoratori assunti a tempo determinato, fino al compimento di un anno di età del bambino o per un anno dalla data dell’adozione o dell’affidamento
- flessibilità dell’orario di lavoro. Allo scopo di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa, tesa a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro per le singole persone, una quota annua di 40 miliardi è destinata al Fondo per l’occupazione per sostenere progetti e programmi di flessibilità di orario
- coordinamento dei tempi di funzionamento delle città:
- regioni: definiscono le norme per il coordinamento da parte dei comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche; indicano i criteri per l’adozione dei piani territoriali degli orari e per la concessione di finanziamenti
- comuni: quelli con popolazione superiore ai 30.000 abitanti attuano il coordinamento degli orari; quelli con meno di 30.000 abitanti possono attuare queste azioni in forma associata
- orari della pubblica amministrazione: le articolazioni e le scansioni degli orari di apertura al pubblico degli enti pubblici devono tenere conto delle esigenze dei cittadini residenti e di quelli che lavorano ed utilizzano il territorio
- banche del tempo: gli enti locali promuovono la costituzione di associazioni che favoriscono lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per incentivare le iniziative finalizzate a scambiare parte del proprio tempo per impieghi di solidarietà e interesse [7]
- finanziamenti specifici: è costituito un “fondo per l’armonizzazione dei tempi delle città” che, assieme ai contributi regionali, finanzia progetti intercomunali per l’attivazione di piani degli orari dei servizi con vasti bacini d’utenza
La programmazione sociale e socio-sanitaria nel nuovo contesto istituzionale rende ancor più necessario rafforzare i legami nelle reti dei servizi alle persone proprio perché la sempre più complessa articolazione delle istituzioni delle organizzazioni e del lavoro professionale tende a far perdere gli orizzonti di senso del sistema dei servizi.
Il successivo grafico mette in rilievo le connessioni fra lo sviluppo di una specifica politica per i minori e le famiglie e il più generale sviluppo dei servizi socio-sanitari.
2. La legge di riforma dei servizi sociali e il ruolo programmatorio delle Regioni
Con la legge statale di riforma dei servizi sociali ci sono oggi alcune condizioni per aprire una nuova fase nello sviluppo delle pratiche operative che riguardano il settore.
Ora un forte ruolo spetta alle regioni, che hanno il compito di riprendere, nel nuovo quadro, quella importante capacità d’iniziativa che hanno saputo dispiegare negli anni ’80, in occasione delle “leggi di riordino dei servizi sociali”, quando hanno saputo orientare e creare una estesa rete di offerta.
C’è da augurarsi che venga imboccata questa strada. Ed occorre che tutti i soggetti interessati allo sviluppo delle politiche dei servizi premano in questa direzione.
Questa riforma va collocata nel quadro dei cambiamenti del rapporto fra stato, regioni, autonomie locali, soggetti della società civile che gli attori della politica italiana hanno introdotto negli anni ’90.
I momenti fondamentali di questo processo istituzionale sono stati i seguenti:
- il percorso di decentramento autonomistico a favore di Comuni, Province e Regioni
- il testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali, che contiene vari strumenti amministrativi per la gestione dei servizi
- la legge sulla elezione diretta dei presidenti delle Regioni, diventata operativa con le elezioni regionali svoltesi nelle quindici Regioni a statuto ordinario nella primavera del 2000
- il primo referendum costituzionale della nostra storia repubblicana (7 ottobre 2001) attraverso il quale è stata modificata la posizione costituzionale ed il ruolo delle Regioni nello stato italiano, determinando anche nuove responsabilità per i Comuni, le province e le città metropolitane
La fase attuativa della nostra riforma dei servizi sociali si colloca dunque in un contesto assolutamente nuovo della storia politica italiana. Il cambiamento che si è avviato può essere riassunto attorno ai seguenti punti chiave:
- Comuni, Province, città metropolitane e Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni
- lo Stato ha legislazione esclusiva nelle materie che richiedono una necessaria unitarietà nazionale (politica estera; politiche migratorie; difesa; forze armate; sicurezza; moneta; cittadinanza; previdenza sociale; norme generali sull’istruzione; ecc.)
- in alcune materie, fra cui la tutela della salute, si viene a determinare un doppio potere: alle Regioni spetta la potestà legislativa, mentre la determinazione dei principi fondamentali è riservata allo Stato
Da oggi su sanità e servizi sociali le Regioni hanno una potestà legislativa fortemente accresciuta rispetto al quadro degli anni ‘70. In questo complesso processo istituzionale spetta allo Stato:
la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”
Il successivo grafico presenta in forma visiva il nuovo quadro inter-istituzionale:
L’insieme di questi programmi legislativi conferiscono forti poteri politici e legislativi alle Regioni e, conseguentemente, pongono il problema della responsabilità dello stato nel determinare i principi e gli obiettivi della politica sociale di cittadinanza. E’ questo livello devono essere elaborati gli strumenti generali di regolazione del sistema, con particolare riferimento a:
- Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, di durata triennale
- elaborazione da parte del Ministro per la solidarietà sociale di una Relazione annuale al Parlamento sui risultati conseguiti
- livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni
- requisiti minimi strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale
- specifici requisiti per le comunità di tipo familiare
- indirizzi sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona
- profili professionali in materia di professioni sociali e requisiti di accesso e durata degli studi
- ripartizione delle risorse del Fondo nazionale delle politiche sociali.
Il punto critico è l’interdipendenza fra stato e regioni. Infatti, mentre la storia politica degli altri paesi ha portato ad un federalismo orientato ad unire e rafforzare le politiche statali, l’Italia rischia di avventurarsi verso un federalismo che divide le già fragili identità culturali nazionali.
Si può affermare con sicurezza che la regionalizzazione del sistema dei servizi socio-sanitari ha ormai tutti i suoi strumenti. Nella legge di riforma dei servizi sociali le Regioni hanno ruoli di regolazione, di coordinamento e di indirizzo oltre a quello programmatorio. Per quanto riguarda le funzioni che hanno rilievo per gli effetti sulla gestione a livello locale vanno richiamate le seguenti:
- sviluppo di strumenti per il raccordo, la concertazione e la cooperazione fra enti locali ed i soggetti del terzo settore
- determinazione, in accordo con gli enti locali interessati, degli “ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete”
- incentivazioni a favore dell’esercizio associato delle “funzioni sociali in ambiti di norma coincidenti con i distretti sanitari
- assistenza tecnica per l’istituzione e gestione dei servizi
- promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie
- definizione dei criteri per la concessione di “titoli validi per l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati […] nell’ambito di un percorso assistenziale attivo per l’integrazione o reintegrazione sociale
- definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni
- determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni devono corrispondere ai soggetti accreditati
Per quanto riguarda le funzioni programmatorie e di controllo del sistema si richiamano le seguenti:
- riparto dei trasferimenti statali del Fondo nazionale per le politiche sociali
- adozione, con riferimento al Piano nazionale ed alle risorse disponibili, dei Piani regionali degli interventi e dei servizi sociali
- definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, sanità, scuola, formazione professionale, tempo libero, trasporti, comunicazioni
- definizione, sulla base dei requisiti minimi dello Stato, dei criteri di autorizzazione, accreditamento e vigilanza delle strutture e dei servizi pubblici, del terzo settore e dei soggetti privati
- istituzione di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività
- definizione dei requisiti di qualità per la gestione ed erogazione delle prestazioni
- promozione di metodi e strumenti per il controllo di gestione e per la valutazione dell’efficacia ed efficienza di servizi e dei loro risultati
Come si vede si tratta di funzioni importanti e assolutamente necessarie per favorire lo sviluppo di connessioni cooperative fra gli enti ed i soggetti impegnati sul fronte della costruzione delle reti dei servizi a livello locale
3. I Piani di zona come azione amministrativa e strumento di comunicazione
La legge di riforma dei servizi sociali del 2000 propone un impegnativo lavoro sociale in cui sono coinvolti moltissimi soggetti, ognuno dei quali è fortemente caratterizzato con riferimento alle proprie funzioni, ruoli, appartenenze.
Il quadro programmatorio ai diversi livelli è rappresentato nella seguente grafico:
Agli enti pubblici (enti locali, con particolare riferimento ai comuni; regioni; stato) spettano compiti di sviluppo dell’offerta, programmazione ed organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, da svolgere nell’ambito delle proprie competenze e con un orientamento culturale teso a “riconoscere ed agevolare” [8] il ruolo dei vari soggetti appartenenti al Terzo settore. A questi ultimi spettano compiti di gestione ed offerta dei servizi “in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi” [9].
Evidentemente fare tutto questo non è facile. Sia nella lettura dei bisogni e della domanda, sia nella produzione dei servizi si confrontano identità forti. In queste situazioni ciascuno tende a valorizzare e ad affermare il proprio punto di vista e la comunicazione interpersonale, interistituzionale ed interorganizzativa può diventare molto complessa, conflittuale e può interrompersi. In rapporto a queste problematiche vale la pena di richiamare le tre “forme di scambio sociale” proposte negli studi di Karl Polanyi: 1) reciprocità, basata su scambi intersoggettivi fra gruppi, tipica delle varie forme con cui si esprime anche il volontariato; 2) politica, basata sulla tassazione e la redistribuzione del reddito, che investe le responsabilità pubbliche; 3) mercato, basata su scambi mediati dal prezzo dei beni [10].
L’esperienza di lavoro insegna che queste diverse modalità di scambio si presentano costantemente nell’attività di produzione dei servizi. Le politiche non sono solo azioni in rapporto ad obiettivi, risultati attesi e risorse, ma sono anche linguaggi e modi di ordinare e scambiarsi le informazioni.
Lo strumento identificato dalla legge per elaborare obiettivi comuni, nonostante le varie differenze che si presentano nei territori, è il “Piano di zona” che individua: obiettivi strategici; priorità di intervento; modalità organizzative dei servizi; risorse finanziarie; impegni professionali; requisiti di qualità; attività di rilevazione dei dati; forme di collaborazione ed integrazione fra enti diversi, con particolare riferimento alla strategica relazione fra i comuni e l’ASL [11].
Il Piano di zona è dunque il più importante strumento per la programmazione locale dei servizi alla persona. Esso ha vari obiettivi che tendono a sovrapporsi e ad interferire l’uno con l’altro: deve essere molto curato sotto il profilo amministrativo poiché non è solo un “rapporto di ricerca sociale”, ma è anche un atto amministrativo da adottarsi tramite “accordo di programma” [12]; inoltre diventa necessariamente un mezzo di comunicazione fra operatori, amministratori, cittadini utenti e cittadinanza organizzata.
La condizione necessaria (ma non sufficiente) per l’elaborazione dei Piani è di curare gli snodi metodologici e tecnici dei gruppi di lavoro: composizione, distinzione fra livello politico e livello tecnico, interazioni fra questi ultimi, orientamenti culturali, strategie, individuazione dei “ruoli integrativi”, ossia di chi si assume il compito di tenere insieme il processo, rimettendo continuamente in gioco le informazioni e le decisioni intermedie che sono state prese durante il percorso. Quest’ultimo aspetto è spesso poco curato: eppure senza le persone che si assumono il doppio onere di far valere le ragioni del proprio ente e quelle del gruppo inter-istituzionale è difficile far procedere queste attività.
Il doppio aspetto dei Piani (atti amministrativi e contemporaneamente comunicativi), e il pluralismo degli attori che sono coinvolti nella loro formazione, rendono indispensabile trovare accordi continui anche sulle parole che si utilizzano nei rapporti intersoggettivi. Si vuole dire che occorre accordarsi anche sulle definizioni che si danno durante i vari processi operativi.
Nei paragrafi successivi se ne propongono alcune.
4. Sistemi di finanziamento
La spesa socio-sanitaria grava sul bilancio pubblico ed è alimentata dalla tassazione. In questa fase storica è in atto un processo di redistribuzione dei carichi fiscali fra Stato e Regioni [13] .
I flussi di spesa sono distinti in [14]:
- prestazioni sanitarie a rilevanza sociale (a carico della spesa sanitaria e quindi delle regioni e delle ASL): attività finalizzate alla promozione della salute; alla prevenzione; all’ individuazione, rimozione e contenimento degli esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite
- prestazioni sociali a rilevanza sanitaria (a carico degli enti locali ed in particolare dei comuni): attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità e di emarginazione condizionanti lo stato di salute
- prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria (a carico delle ASL): caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria. Attengono prevalentemente alle aree: materno-infantile; anziani; handicap; patologie psichiatriche; dipendenze da droga, alcool, farmaci; patologie per infezione da HIV; patologie in fase terminale; inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
Quello dei finanziamenti è uno dei principali nodi critici. Le risorse, anche a causa delle promesse di riduzione della tassazione fatte dal governo in carica, tendono a essere stabili o addirittura a diminuire. Inoltre i flussi di spesa sopra identificati non vanno a definire enti ed organizzazioni specifiche. Molto più spesso uno stesso servizio è alimentato da tutti i flussi di cui sopra.
Nei Piani occorre quindi ragionare a fondo sulle tipologie di offerta e responsabilizzare gli enti nelle loro specifiche attribuzioni e competenze.
5. Integrazione socio-sanitaria
Alla radice della parola “integrazione” troviamo l’aggettivo “integer” (lat.), vale a dire “intero”. In questi processi si tenta di dare unitarietà nelle risposte a bisogni sempre più complessi e diversificati. L’idea è che a bisogni unitari della persona devono corrispondere risposte altrettanto unitarie. Chi opera nei servizi sa benissimo che la progressiva differenziazione delle persone e dei gruppi sociali, unita agli altrettanti meccanismi di specializzazione professionale, rendono molto problematico il lavoro sociale tendente alla integrazione.
Il pluralismo dei soggetti implicati nella riforma dei servizi sociali, e di cui si è parlato all’inizio, conduce alla necessaria ricerca di “strategie di convergenza su obiettivi comuni”, nonostante le differenze di ruolo, funzioni, competenze degli enti pubblici e privati.
In questi anni il legislatore ha opportunamente distinto tre livelli di integrazione [15]:
- integrazione istituzionale: necessità di promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse ( aziende sanitarie, amministrazioni comunali, ecc.) che si organizzano per conseguire obiettivi di salute
- integrazione gestionale: avviene a livello di struttura operativa con particolare riferimento ai distretti socio-sanitari, attivando i servizi presenti nelle zone
- integrazione professionale: dipendente dagli orientamenti del lavoro professionale
La sempre più crescente articolazione dell’offerta (che rischia di diventare frammentazione) attribuisce ancora maggiore responsabilità ai professionisti dei servizi, sia pubblici sia privati, e ai cittadini organizzati nelle loro forme associative.
Occorre ridurre le conflittualità basate esclusivamente su principi valoriali, trovare accordi (anche provvisori) tenendo fermi gli obiettivi comuni, ricercare punti di connessione e di collaborazione nell’interesse dei bisogni socio-sanitari delle persone che vivono su uno specifico territorio (ribattezzato “ambito” dal legislatore).
Sotto il profilo delle regole legislative diventa strategico poter connettere i processi programmatori dei comuni con quelli delle Asl:
6. Accreditamento sanitario, socio-sanitario e sociale
Nel sistema dei servizi si sta manifestando con grande forza la tendenza ad allargare l’area dell’offerta coinvolgendo soggetti del terzo settore ed anche soggetti privati “for profit”. Le regole del mercato tendono ad invadere anche il campo pubblico. Si parla espressamente di creazione di un “mercato sociale di servizi alla persona”.
Lo strumento principe di questa azione è l’accreditamento, ossia il processo attraverso il quale l’ente pubblico consente ad un soggetto privato, in possesso di requisiti predeterminati, di entrare a far parte della propria rete di fornitori di servizi.
L’accreditamento è ampiamente utilizzato in sanità (laboratori diagnostici, medicina specialistica, cliniche private, ecc.) e recentemente anche per le residenze sanitarie assistenziali per anziani. In futuro potrà essere impiegato anche nell’ambito dei servizi sociali. Già fin d’ora è possibile individuare le seguenti aree di offerta: servizi sociali gestiti direttamente dai comuni; servizi sociali gestiti mediante le regole dell’affidamento esterno con procedure di appalto [16]; servizi sociali gestiti tramite le procedure di accreditamento.
Anche queste modalità organizzative contribuiranno ad articolare ed ulteriormente frammentare l’offerta. Per questi motivi è assolutamente strategico identificare, organizzare e sviluppare negli “ambiti territoriali” [17] le funzioni di “servizio sociale professionale” e di “segretariato sociale” per l’informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari [18] . Si vuole affermare che in presenza di una progressiva diversificazione del sistema d’offerta (servizi pubblici, servizi appaltati, servizi accreditati, servizi gestiti in convenzione, ecc.) è indispensabile elaborare una cultura dell’accompagnamento delle persone che si trovano in difficoltà.
Nel processo programmatorio ed organizzativo sarà fondamentale è pensare, elaborare e sviluppare nuovi orientamenti riguardanti le regole di accesso alle reti di servizio locali. Non solo l’offerta (o meglio le offerte) ma soprattutto “quali” e “come” utilizzarle. E’ qui che il “servizio” esprime il suo più profondo significato.
7. Qualità e valutazione dei servizi
Nel mondo dei servizi socio-sanitari probabilmente la parola più inflazionata di questi ultimi anni è “qualità”. Talmente usata da essere consumata: tutti la nominano e ciascuno la intende a suo modo.
In generale per qualità si intende “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio, che gli conferiscono la capacità di soddisfare i bisogni espliciti ed impliciti degli utenti (o dei “clienti” mutuando un tipico linguaggio del mondo della produzione delle merci)”. L’orientamento alla qualità nel settore dei servizi alla persona può essere visto in due modi: dal lato della domanda dipende dal fatto che i cittadini sono più “esigenti” ed hanno sempre più crescenti aspettative; dal lato dell’offerta dipende dal fatto che i soggetti erogatori sono sempre di più ed in concorrenza fra loro.
Bisognerebbe almeno distinguere questi aspetti: qualità tecnica (cosa fornisce l’ente ed il servizio?); qualità relazionale (come fornisce il servizio?); qualità ambientale (in quali ambienti è erogato il servizio?); qualità dell’immagine (percezione del servizio da parte dell’utente); qualità organizzativa (come si organizza l’ente per erogare il servizio?); qualità economica (quanto spende l’ente per ottenere il servizio?).
Il legislatore è intervenuto a regolare anche questi aspetti. La strada intrapresa per ora sembra essere la seguente:
- lo Stato deve definire, tramite le regole di autorizzazione i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” [19]
- le regioni devono elaborare e definire “ulteriori” criteri per l’accreditamento dei servizi e per l’affidamento al Terzo settore “avvalendosi di analisi e verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale” [20]
- gli enti locali sono tenuti a dotarsi di una “Carta dei servizi sociali di ambito” (documentazione orientata alla cittadinanza che descrive la rete dei servizi e le modalità di accesso); gli enti accreditati sono tenuti a dotarsi di una “Carta dei servizi” (documentazione che descrive gli obiettivi dell’ente, le prestazioni che è impegnato ad erogare e i risultati attesi rispetto alla soddisfazione degli utenti) [21]
Si può affermare che diventa sempre più necessario per i vari enti erogatori dotarsi di “sistemi di qualità”, intesi come raccolta sistematica di informazioni su uno o più servizi in merito a: risorse utilizzate; processi di funzionamento e di produzione del servizio; attività e prestazioni fornite; risultati conseguiti [22].
La parola qualità è spesso associata a quella di valutazione. Anche rispetto a questa azione occorre mettersi d’accordo sulla definizione. In chiave puramente descrittiva per valutazione si intende ”un insieme di azioni tecniche ed organizzative che implicano: raccolta di informazioni; analisi e riflessioni; formulazioni di giudizi di valore su un servizio o su un’attività di servizio”.
Si tratta di processi complessi che mettono direttamente al centro dell’attenzione gli obiettivi del servizio. Senza una preliminare e condivisa rappresentazione dei risultati attesi (ossia il passaggio dagli obiettivi generali a quelli specifici), è sostanzialmente impossibile effettuare una valutazione. In questi processi è comunque necessario distinguere:
- la verifica: intesa come lavoro professionale, amministrativo e sociale orientato ad analizzare i risultati sulla base di indicatori preliminarmente individuati e successivamente applicati
- la valutazione intesa come attribuzione di significati socio-culturali alla verifica con riferimento agli obiettivi ed ai risultati attesi
I processi di riconoscimento della qualità e quelli di valutazione includono dunque schemi di riferimento soggettivi e socio-culturali.
Le regole legislative sono importanti e necessarie perché danno segnali e generalizzano le idee ed i comportamenti che si sono determinati nel sistema sociale. Tuttavia, nella operatività occorre tradurre questi strumenti formali in linguaggi appropriati, in metodi, in tecniche, in comunicazione fra persone.
Riferimenti legislativi
Legge 10 aprile 1991 n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro
Legge 27 maggio 1991 n. 176, Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York 20.11.1989
Legge 19 luglio 1991 n. 216, Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose
Legge 15 gennaio 1994 n. 64, Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20.5.1980 e della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori
Legge 15 febbraio 1996 n. 66, Norme contro la violenza sessuale
Decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1997, Approvazione del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000
Legge 27 agosto 1997 n. 285 , Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza
Legge 23 dicembre 1997 n. 451, Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza
Legge 3 agosto 1998 n. 269, Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di schiavitù
Decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 1998, Regolamento recante norme per l’organizzazione dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia e l’adolescenza, a norma dell’art. 4 comma 1 della Legge 23.12.1997 n. 451
Legge 23 dicembre 1998 n. 448, Misure per la stabilizzazione e lo sviluppo, modificata con Legge 17.5.1999 n. 144 (art. 65: Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori; art. 66: Assegno di maternità)
Legge 31 dicembre 1998 n. 476, Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29.5.1993. Modifiche alla Legge 4.5.1983 n. 184, in tema di adozione di minori stranieri
Decreto Presidente Consiglio dei ministri 7 maggio 1999 n. 221, Regolamento concernente le modalità attuative e gli ambiti di applicazione dei criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni agevolate
Decreto Presidente Consiglio dei ministri 15 luglio 1999, Regolamento recante disposizioni per gli assegni per il nucleo familiare e di maternità, a norma degli art. 65 e 66 della Legge n. 448/1998
Legge 8 marzo 2000 n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città
Decreto Ministero della sanità 24 aprile 2000, Adozione del progetto obiettivo materno-infantile relativo al Piano sanitario nazionale 1998-2000
Legge, 18/11/2000 n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Decreto Presidente Consiglio dei ministri, 15/12/2000 n. -
Riparto tra le Regioni dei fondi destinati al potenziamento dei servizi a favore delle persone che versano in stato di
povertà estrema e senza fissa dimora
Decreto Presidente Consiglio dei ministri, 14/02/2001 n. -
Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie
Decreto Presidente Consiglio dei ministri, 21/02/2001 n. -
Atto costitutivo della commissione di indagine sulla esclusione sociale, in attuazione dell'art. 27, comma 4 della Legge 328/2000
Conferenza Stato-Regioni - Provvedimento 22 febbraio 2001, 22/02/2001 n.
Accordo tra il ministro della solidarietà sociale e le regioni e le prov. Aut. di Trento e Bolzano per la individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio-sanitario e per la definizione dell'ordinamento didattico
Legge, 30/03/2001 n. 152
Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale
Decreto Presidente Consiglio dei ministri, 30/03/2001 n. -
Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art. 5 della legge 8
novembre 2000 n. 328
Conferenza Stato-Regioni - Accordo 19 aprile 2001 tra il ministero per la solidarietà sociale, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano, 19/04/2001 n. -
Realizzazione dei servizi di informazione sulle attività e sulla rete dei servizi attivati nel territorio in favore delle famiglie
Decreto Ministeriale, 20/04/2001 n. -
Istituzione della commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi sociali
Bibliografia
- Ferrario Paolo, Politiche e servizi per la famiglia e i minori, in Politica dei servizi sociali, Carocci editore, Roma 2001, p. 217-277
- Paolo Ferrario, “Condizioni per un efficace processo programmatorio dei piani di zona”, in Movi – fogli di informazione e di coordinamento n. 2 /3 Marzo-Giugno 2002, p. 21-23
- Paolo Ferrario, “Dalla Legge 328/00 a oggi: riforma costituzionale e Piano nazionale dei servizi sociali” (primo saggio), in Prospettive sociali e sanitarie n. 3 2002, pag. 1-5
- Regione Veneto – Assessorato alle Politiche sociali, Nuove politiche regionali oltre la 285: il percorso verso le famiglie, l’infanzia e l’adolescenza, 2002
- Regione Lombardia – Famiglie e solidarietà sociale, L. 28 agosto 1997 n. 285: Terzo anno di attuazione in Lombardia, 2002
- Baraldi Claudio (cur.), I diritti dei bambini e degli adolescenti: una ricerca sui progetti legati alla legge 285, Donzelli editore, Roma 2001
- Cotturri Giuseppe, Potere sussidiario, Carocci, Roma 2001 (in particolare pagg. 105-129
- Santamaria Franco, Dalla 285 alle nuove politiche per l'infanzia e l'adolescenza, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, istituto degli innocenti n. 23 2002, p. 31-38
- Per più sistematiche basi bibliografiche di monitoraggio delle politiche sociali per le famiglie e l’infanzia si rinvia al sito: www.segnalo.it
[1] Emilia Romagna (Legge regionale 27/1989); Marche (Legge regionale 22/1992 e 30/1998); Friuli Venezia Giulia (Legge regionale 49/1993); Liguria (Legge regionale 11/1994); Abruzzo (Legge regionale 95/1995); Valle d’Aosta (Legge regionale 44/1998); Lombardia (Legge regionale 23/1999)
[2] Legge n. 216/1991
[3] Legge n. 285/1997. Gli orientamenti tecnici e metodologici per la elaborazione dei progetti sono contenuti in: CENTRO NAZIONALE DI DOCUMENTAZIONE E DI ANALISI SULL’INFANZIA E L’ADOLESCENZA (1998), Infanzia e adolescenza: diritti e opportunità, Firenze. Una documentazione sul tema è reperibile sul sito Internet www.minori.it.
[4] Legge n. 53/2000
[5] Legge n. 1204/1971
[6] La sociologa Laura Balbo è stata anticipatrice sul significato di queste politiche: BALBO L. (1987), Time to care: politiche del tempo e diritti quotidiani, FrancoAngeli, Milano. Per una successiva elaborazione: CAMERA DEI DEPUTATI-GRUPPO PARLAMENTARE PROGRESSISTI (1996), Tempi di lavoro e tempi di vita: per il diritto al tempo scelto
[7] Sulle banche dei tempi si rimanda a: AMOREVOLE R., COLOMBO G., GRISENDI A. (1998), La banca del tempo, FrancoAngeli, Milano
[8] Legge n. 328/2000, art. 1, c. 4
[9] Legge 328/2000, art. 1, c. 5
[10] Sul tema si veda in particolare: Gianprimo Cella, Le tre forme di scambio: reciprocità, politica, mercato a partire da Karl Polanyi, Il Mulino, Bologna, 1997
[11] Legge n. 328/2000, art. 19
[12] Legge n. 328/2000, art. 19, c. 2
[13] D. Lgs. n. 56/2000 sul “federalismo fiscale”
[14] D. Lgs. n. 502/1992 e successive modifiche, art. 3-septies; DPCM 14..2.2001
[15] Piano sanitario nazionale 1998/2000
[16] DPCM 30.3.2001 sui “sistemi di affidamento dei servizi alla persona”
[17] Legge n. 328/2000 art. 8, c. 3.a; art. 6, c. 2.d
[18] Legge n. 328/2000 art. 22, c. 4
[19] Costituzione della Repubblica italiana, con le modifiche della legge costituzionale n. 3/2001, art. 117; Decreto Dipartimento solidarietà sociale 21.5.2001 n. 308 sui “requisiti minimi strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione dei servizi”
[20] Legge n. 328/2000 art. 5, c. 2
[21] Legge n. 328/2000 art. 13
[22] Dipartimento Affari sociali-Gruppo qualità sociale 1998