Come accade dopo ogni
elezione, è scoppiata la contesa sulle cifre. Conta il numero di province
e comuni conquistati? O i voti ottenuti? E con quale elezione è corretto
confrontarli? La verità è che un turno parziale di amministrative
difficilmente può indicare, se non in maniera approssimativa e
potenzialmente distorta (in molti casi assai più di un sondaggio di
opinione effettuato con criteri scientifici) gli orientamenti politici dei
cittadini e meno ancora le loro intenzioni nel caso di votazioni per il
Parlamento. Anche i raffronti sono ardui. Quello con le politiche è in
parte falsato dal fatto che i sistemi elettorali sono differenti (il voto
di lista per la Provincia, in presenza dell'elezione diretta del
presidente, è da tutti i punti di vista, cosa diversa dalla scelta di
partito per la Camera) e che in occasione delle amministrative si
presentano molte liste locali che non hanno spazio alle politiche. Il
raffronto con le provinciali precedenti sconta, com'è ovvio, il grande
lasso di tempo intercorrente e le conseguenti modificazioni occorse nel
sistema politico.
Per questo occorre considerare con grande cautela i dati sui voti
complessivamente ottenuti nelle 10 consultazioni provinciali, riportati
nella tabella. E' vero, ad esempio, che essa mostra un calo di Forza
Italia rispetto alle politiche e, al tempo stesso, un forte incremento
rispetto alle provinciali. Riguardo a queste ultime bisogna ricordare che
allora Forza Italia subiva una molto maggiore «concorrenza» della Lega
che il partito di Berlusconi è riuscito negli anni a contenere sempre più.
E rispetto alle politiche, Forza Italia sconta l'assenza di quel
candidato-simbolo che è stato capace di attrarre verso di sé un quantità
molto rilevante di voti: Silvio Berlusconi. Anche se va detto che i
sondaggi - quelli veri - sembrano mostrare comunque sul piano nazionale
una certa erosione del consenso per il partito del Cavaliere.
La Lega vede diminuita drasticamente la propria forza rispetto alle
amministrative precedenti - le ultime prima della debacle del partito di
Bossi -, ma fa registrare una crescita rispetto alle politiche. Ancora una
volta, il dato è di ardua interpretazione: da un verso può essere segno
di una ripresa del movimento padano negli ultimi mesi, dall'altro sconta
il fatto della persistente «territorialità» dei leghisti.
Anche la crescita dei Ds rispetto al pessimo risultato dello scorso anno
può essere riferita alle speciali circostanze locali, ma è anche
l'indicatore di una possibile ripresa di consensi. Che, per la verità,
sarebbe in una qualche misura confermata dai dati di sondaggio rilevati su
scala nazionale.
In definitiva, queste elezioni sembrano riconfermare nelle sue linee
generali il quadro politico esistente. Che vede la permanenza di una netta
supremazia del centrodestra. Con, al tempo stesso, una crescita dei Ds
rispetto all'anno scorso. Anche se la fragilità dei dati a disposizione
potrebbe suggerire a Fassino di considerarli più un buon auspicio e un
incoraggiamento che la prova di una vera tendenza in atto.
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