E´ PASSATA la prima onda di queste consultazioni amministrative. Che
tutti gli attori e gli osservatori politici hanno letto prevalentemente in
chiave nazionale. In modo, ovviamente, diverso, a seconda della parte
politica di riferimento. Inutile dire che si tratta di elezioni troppo
caratterizzate, perché si possa dare loro una interpretazione politica
chiara e incontrovertibile. E´ specifica la legge elettorale, ma
soprattutto è specifico il ruolo delle candidature.
Sindaci, presidenti di Provincia, consiglieri. Inoltre, ha grande
significato che uno schieramento o una forza politica abbia governato,
disponga di un sindaco o di un presidente provinciale uscente. E come
trascurare l´importanza dell´organizzazione territoriale? Infine: ogni
anno cambia il quadro di riferimento. Il che rende davvero improbabile il
tentativo di stabilire, con chiarezza, cosa è successo. Perciò, più che
dalla realtà e dai dati, il vizio di tradurre l´esito delle
amministrative in linguaggio nazionale è alimentato dalle aspettative. Le
speranze. Ma soprattutto i timori.
Attendeva con trepidazione questa scadenza, soprattutto, il
centrosinistra. Temeva, comprensibilmente, di cedere ancora, dopo le
sconfitte elettorali degli ultimi anni. Aggravando quella "sindrome
da estinzione" che lo attanaglia. E temevano, in particolare, i Ds.
Di venire superati dalla Margherita. Confermando l´idea di una
irresistibile discesa.
Temeva, la CdL, che il vento di destra che ne gonfiava le vele dal 1999
fosse improvvisamente caduto. Che il suo elettorato cogliesse questa
occasione per lanciare un segnale inequivoco di distacco: dalle politiche
seguite, da quelle inseguite, annunciate. Improduttive. Temeva il
confronto elettorale al di fuori dell´ombrello di Berlusconi. Il Sindaco
d´Italia.
Temeva molto, la Lega, di ridursi a un marchio indistinto, nel vessillo
della CdL. E temeva Fi. Alle prese con elezioni che non le avevano mai
garantito grande soddisfazione, in passato. Per debolezza organizzativa.
Temeva, Berlusconi: che si indebolisse la sua immagine di "leader
vincitore". Che un esito particolarmente critico gli rovinasse il
sorriso delle grandi occasioni, accuratamente preparato in vista del
vertice Nato di ieri. Temevano un po´ tutti. Chi più chi meno. Negli
schieramenti. Tra gli schieramenti. Dentro il governo. Nell´opposizione.
Tutti rischiavano, in questo gioco di simulazione, nel quale il confronto
locale viene osservato al grandangolo e proiettato su scala nazionale.
Tirano tutti un sospiro di sollievo perché è avvenuto, in larga parte,
il prevedibile, se si valutano le elezioni amministrative per quel che
sono. Amministrative. Giocate su scala locale. Senza quei cambiamenti
clamorosi che, soli, avrebbero giustificato una lettura di segno più
generale.
1. In primo luogo, si è assistito alla conferma di gran parte delle
amministrazioni locali uscenti.
2. I sindaci e i presidenti uscenti, dove avevano governato bene o avevano
comunque mantenuto un buon rapporto e una buona immagine di fronte ai
cittadini, hanno migliorato generalmente le loro posizioni. A Genova, in
modo clamoroso. Ma anche a Lecce, Vicenza, Lucca o La Spezia. Com´è
avvenuto in passato. Allo stesso modo si spiega, invece, la sconfitta del
centrosinistra a Reggio Calabria, dove aveva governato per anni. Ma non
disponeva più di una figura come Falcomatà, in grado di personalizzarne
l´identità politica di fronte agli elettori, riducendo le difficoltà
ambientali di un´area tradizionalmente di destra. Lo stesso era avvenuto
l´anno scorso a Trieste. Dove la sconfitta del centrosinistra va
considerata un "ritorno alla normalità", dopo l´onda anomala
prodotta da Illy.
3. Il radicamento, l´organizzazione territoriale, si confermano risorse
importanti, per il buon rendimento delle liste. Così, i Ds nel
centrosinistra hanno allontanato la paura del sorpasso da parte della
Margherita. Che in questa occasione non disponeva del traino offerto dal
candidato premier Rutelli. Ma ha, comunque, mantenuto un buon livello di
consensi. Il radicamento locale, peraltro, ha permesso al centrosinistra e
ai Ds un franco successo nelle regioni "rosse" del centro-Italia.
Forza Italia non ha ripetuto le performances di un anno fa. Mancava il
traino offerto da Berlusconi alle politiche. E altre liste locali e
centriste le hanno fatto concorrenza sul medesimo spazio elettorale.
Tuttavia, va aggiunto che non si è verificato lo sfaldamento subito da Fi
sino al 1998 ad ogni consultazione amministrativa. Sta mettendo radici, Fi.
Attaccandosi, magari, a quelle di chi c´era prima. La Dc, il Psi, da cui
ha tratto molti candidati. Semmai, proprio per questo, al suo interno
emergono le divisioni tipiche di ogni fase di lotta per la conquista della
leadership locale. Com´è avvenuto a Verona, dove la lista promossa dal
sindaco uscente, in concorrenza con quella della CdL, ha intercettato una
quota di consensi ridotta: il 5%. Ma sufficiente a impedire al
centrodestra di vincere al primo turno.
Altre indicazioni emerse dal voto possono assumere, queste sì,
significato più generale.
a. Sul piano della struttura della competizione: il maggioritario
"personalizzato" che caratterizza le elezioni amministrative (ma
"riprodotto" artificialmente alle politiche del 2001) spinge al
bipolarismo e premia le aggregazioni larghe. Il centrosinistra, unito,
diventa difficile da battere nelle sue aree tradizionali e più
competitivo nelle altre. Lo stesso discorso vale per il centrodestra, con
la complicazione, in questo caso, della forza che assume la Lega nella
periferia produttiva del Nord e soprattutto nel Nordest. Dove, correndo da
sola, è in grado di trasformare in senso tripolare la meccanica del
confronto. Con l´esito, già emerso nel 1996, di abbassare sensibilmente
la capacità competitiva del Polo. Come è avvenuto a Treviso.
b. Parallelamente, sul piano delle alleanze. Perché è evidente che senza
la Lega e senza Rc (oppure, nel mezzogiorno, senza l´Udeur) le due
coalizioni diventano più vulnerabili. Soprattutto in caso di competizione
asimmetrica: quando una sola delle due realizza un´intesa larga. Ed è
chiaro alle forze politiche estreme che fuori dalla coalizione non sono in
grado di garantirsi rappresentanza adeguata (e senza sindaci, assessori,
consiglieri, non è possibile mantenere radicamento). Ma è altrettanto
chiaro, soprattutto alla Lega, che integrata nelle coalizioni perdono
visibilità e consensi. Mentre, da sola, riesce a canalizzare le ampie
zone di dissenso che persistono, in una fase politicamente instabile come
questa. Un´evidenza che potrebbe indurla ad accentuare la propria
autonomia di azione.
c. Sul piano del rapporto fra politica e territorio: si sta ridisegnando
un quadro analogo a quello degli anni 80. Il Mezzogiorno appare un´area
tendenzialmente governativa, nelle regioni del centro il centrosinistra è
ben insediato, mentre nel Nord, dietro l´apparente continuità del
risultato, l´andamento elettorale resta fluttuante. Riflesso, in parte,
della struttura sociale. In grande cambiamento. Difficile pensare che il
localismo socioeconomico, nelle zone periferiche; il ridimensionamento dei
grandi insediamenti industriali; il diffondersi di nuove economie e di
modelli di lavoro flessibile, permettano assetti stabili - peggio:
immobili - della rappresentanza politica; e, ancor più, amministrativa.
Non è avvenuto nulla di davvero "nuovo", in queste elezioni. E´
questa la "novità" per chi si attendeva (e temeva) invece
"grandi novità". Il centrodestra non vola più. Non sale più.
Ma stava - e resta - abbastanza in alto. Il centrosinistra tiene le sue
posizioni e in molti contesti locali le migliora. Dopo anni di sconfitte.
Dopo la grande paura, alimentata dal vento di destra che spira in tutta
Europa. Ha allontanato la sindrome dell´estinzione.
Non può sorprendere, questo esito. Ma serve a ricordare, a ribadire ciò
che lo stesso voto politico di un anno fa aveva detto. Ma si tende spesso
a dimenticare. Che l´Italia non ha un colore politico dominante. Che il
centrodestra è maggioranza. Ma le distanze fra schieramenti non sono
incolmabili. Che il futuro è aperto. E il vizio di riassumere tutto e
sempre in chiave nazionale non funziona e non fa bene. La politica non è
solo tivù. Non si fa solo nei palazzi romani. E´ -anche- rapporto con i
problemi del territorio, con le domande della società. E´ fatta di
persone. Da persone. Magari poco note, fuori dal loro contesto. Per
fortuna. Vi immaginate una politica disseminata ovunque da tanti piccoli
Berlusconi? O da tanti piccoli Rutelli?
|