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e le tragedie della Storia
LE IDEE

di PIETRO CITATI

 

In La repubblica 26 settembre 2001


COME tutti o quasi tutti sanno, la storia - questa cosa greve, che ci avvolge e ci soffoca - nasce soprattutto dalle nostre immaginazioni e dalle nostre fantasticherie. Durante la Rivoluzione francese, il Terrore scaturì da trent'anni di fantasie sfrenate, che cercavano di violare ogni limite, religioso, politico, erotico; la Rivoluzione russa si nutrì di cinquant'anni di ossessioni nichilistiche; il nazismo sgorgò dal desiderio di morte e di distruzione, che occupò negli anni Trenta le giovani generazioni tedesche.
Sarebbe molto comodo che la storia fosse scritta soltanto dai potenti: la fantasia è molto più terribile; produce temporali di sangue ed esplosioni che squassano l'universo. Anche la catastrofe di New York è figlia dell'immaginazione.

COME i bambini hanno detto, tutto sembrava un film: i terroristi nascosti per anni, i terroristi che salgono sugli aerei con i coltelli inavvertibili ai controlli, le mete scelte con tanta precisione, gli aerei che distruggono i due grattacieli e parte del Pentagono, l'aereo che cerca il Presidente o la Casa Bianca, le speculazioni di Borsa. Sono immagini che conosciamo, da decine di film, che abbiamo visto sbadigliando al cinema o in televisione. Ma c'è, in questa vicenda, qualcosa di assolutamente nuovo, che non avevamo mai incontrato nella storia. Nelle grandi catastrofi, una civiltà (o, come in questo caso, una parte di una civiltà) ne assale e ne colpisce un'altra usando la propria ricchezza fantastica, e ostentandola superbamente. A New York, invece, i terroristi islamici si sono dissimulati: hanno imitato, con uno straordinario dono mimetico, le apparenze più vistose della immaginazione americana ed europea; sono diventati noi, trasformandosi nelle nostre ombre assassine. Il loro nascosto ispiratore ha voluto distruggere l'America e la civiltà occidentale, calcolando gli effetti a catena dell'attentato, il disorientamento, l'incertezza, la paura, la crisi economica. Ma egli ha agito anche per gioco, con ironia, parodiandoci: "Vedete - ha pensato - io vi offro un film vero, come le vostre televisioni (almeno per ora) non sono ancora riuscite ad offrirvi. Tutto è spettacolo, come voi amate: tutto è effetto speciale; ma gli aerei sono veri, le torri vere, il fuoco vero, le rovine vere, il Presidente sfuggito ai nostri colpi è vero, i morti - i nostri e i vostri - sono veri morti. Spero che mi ammirerete. Confessatelo, non vi siete mai divertiti tanto. Non godrete mai più uno spettacolo così grandioso, - a meno che noi, molto presto, non ve ne offriamo un altro". Questo agghiacciante riso nascosto, che nessuno ha ascoltato, è uno degli aspetti che più impressionano nella catastrofe americana. L'enorme spettacolo è stato concepito, guidato ed orchestrato da un genio politico, come il mondo islamico non conosceva da secoli. Non illudiamoci: anche questo genio politico è figlio dell'Occidente moderno, e della sua perversa arte della politica. Lenin, Hitler, Stalin e persino il nostro ridicolo Mussolini possedevano le lucidità della ragione, la ferrea volontà, la capacità di costruire eventi e affascinare le folle che ha dimostrato di avere Osama Bin Laden (o chi si celi dietro il suo nome). Egli è stato un eccellente scolaro, e forse ha superato i maestri. Quale spaventosa audacia intellettuale, quale perfetta scelta degli obiettivi, quale concatenazione negli eventi, quale meticolosa precisione nell'esecuzione, quale muta eloquenza si è manifestata nella catastrofe di New York. I suoi mediocri predecessori arabi, come Nasser o Saddam Hussein, conoscevano soltanto l'arte di arringare le folle, di farle sognare ad occhi aperti e di cullarle con illusioni e speranze. Osama Bin Laden non coltiva il linguaggio dei sogni: sa che, nella storia, soprattutto l'evidenza concreta e simbolica dei fatti conquista le fantasie. Noi occidentali abbiamo completamente perduto quest'arte della politica, perché essa non può sopravvivere in una democrazia, coi suoi Bush, Blair, Jospin, Berlusconi, che non posseggono immaginazione storica ma soltanto la tecnica dei piccoli passi e dei compromessi. È perfettamente inutile rimpiangere quel terribile dono. Abbiamo altre qualità: siamo complessi, molteplici, lenti, spesso pazienti. Lenin, Hitler, Stalin, Mao ci disprezzavano profondamente: Osama Bin Laden ci disprezza, perché ci giudica empi, superficiali, sciocchi, corrotti e crede che noi siamo delle "tigri di carta". Questa è la maggiore debolezza dei fanatici del Terrore: sono arroganti, accecati dalla "dismisura", non conoscono i loro avversari. Per questo Hitler è stato sconfitto: anche per questo l'edificio costruito da Lenin e Stalin è crollato in rovine; e per questo, io spero, Osama Bin Laden si perderà come loro, "accecato dalla dismisura" . *** Non so se questa catastrofe ci insegnerà qualcosa. Certo, la insegnerà agli americani, che sono un popolo tragico, vivono le esperienze vent'anni prima di noi europei, pagano sanguinosamente le loro e le nostre colpe, e ci salvano dai disastri che quasi sempre noi combiniamo da soli. Non so se lo insegnerà ad alcuni europei, che non hanno capito niente di quanto è accaduto, e sono sempre lì a dimostrare che loro sono molto, molto più intelligenti degli sciocchi e rozzi americani. Come prima cosa, la catastrofe di New York dovrebbe ricordarci che l'America e l'Europa, da almeno trent'anni, vivono di immaginazione. Tutto, da noi, è fantasia, spettacolo, teatro: gioco con le immagini; la cattiva letteratura, il cattivo cinema, quasi tutta la televisione, la politica, persino la vita economica. In un certo senso, questo è vero, come pensavano Buddha e Shakespeare: l'universo è il gioco dell'illusione, e noi ne siamo le infime spume teatrali. Ma c'è una differenza grandissima. Mentre Buddha e Shakespeare sapevano che tutto è illusione, noi, americani ed europei del 2001 fantastichiamo, deliriamo, giochiamo senza sapere che stiamo giocando, ci vantiamo, esibiamo il nostro mirabile ego, abbiamo fiducia nel progresso, ci crediamo immortali. Poco tempo prima dell'11 settembre, l'American Airlines progettava speciali appartamenti per vip sugli aerei di linea: con sauna, massaggiatrici, film erotici, danze esotiche, narratrici arabe e, forse, piccoli coiti. Se l'avesse saputo, credo che Osama Bin Laden, il quale è certo un vip, si sarebbe divertito moltissimo. Sarebbe opportuno controllare la nostra immaginazione, smettere di vivere a teatro, cessare di essere dei vip, e tornare a pensare, come una volta pensavamo, che la storia è una tragedia. Con pazienza ed attenzione, possiamo fronteggiare questa tragedia e porle dei limiti: una ferrea catena di piccoli limiti; perché, a partire da Omero, la principale virtù degli europei è stata quella di sapere di essere creature limitate e mortali. Ciascuno di noi dovrebbe apprendere un po' di sobrietà e di precisione intellettuale: altrimenti, la nostra civiltà è condannata a sparire, sotto la spinta di qualche migliaio di terroristi e di se stessa, come raccontavano gli scrittori di fantascienza degli anni Cinquanta. Proprio questo ci è mancato negli ultimi tempi: la sobrietà e la precisione intellettuale. Fieri dei nostri libri, delle università, delle scoperte scientifiche, dei notiziari televisivi, dei giornali, crediamo di conoscere il mondo. In realtà, non lo conosciamo affatto. In Italia abbiamo affidato il compito di interpretare il presente a penosi psicologi e curatori di anime. Crediamo che esista una civiltà "globale". Quello che sta accadendo in questi anni in Italia e dovunque è l'opposto. Sotto l'uniformità apparente dei costumi, ogni paese si è suddiviso, frantumato, moltiplicato: tutto è più complicato e incomprensibile di una volta: ogni uomo contiene in sé molti uomini, molti tempi e molti spazi, che sovente non hanno nessun rapporto tra loro; ogni volto è una maschera, che cela altre maschere. Se vogliamo comprendere i nostri tempi, dobbiamo possedere l'arte degli infinitesimi particolari: non la scienza dei grandi numeri. Forse più grave è l'incomprensione che abbiamo dell'Islam, con il quale conviveremo, io spero, sino alla fine dei tempi. Pensiamo che, nel Medio Evo, civiltà cristiana, islamica ed ebraica si ignorassero e si combattessero. Certo, ci furono guerre, sangue e persecuzioni. Ma gli scrittori e gli uomini di religione islamici conoscevano la Bibbia, Gesù e Maria: i mistici cristiani la mistica islamica: l'arte occidentale amava gli animali e gli arabeschi venuti da Oriente: i filosofi, gli alchimisti, gli scienziati del nostro Medio Evo leggevano gli arabi; mentre sistemi teologici in parte affini sorgevano ai margini della Bibbia, nelle tre religioni monoteiste. C'era, dunque, una profonda comprensione delle differenze. Ora questa comprensione è stata sostituita da un'ignoranza reciproca. Salvo pochi specialisti, gli occidentali ignorano quasi tutto dell'Islam classico - il Corano e le sue moltissime interpretazioni, il volto oscuro e luminoso di Allah, le meravigliose calligrafie e miniature, gli uccelli fantastici, il profumo del principio femminile, la grande mistica, il regno di Salomone -; e ignorano l'Islam dei nostri giorni. Il grande dono dell'Europa è sempre stato quello di capire. Lo abbiamo posseduto da quando Erodoto raccontò ai Greci le storie degli Egiziani, dei Persiani e degli Sciiti, - e persino quando le truppe a cavallo di Cortés risalivano le alte strade del Messico, e cogli occhi avidi e rapaci cercavano di comprendere le differenze e le bellezze di una civiltà, che con l'altra parte di sé cercavano furiosamente di distruggere. Così anche oggi, dobbiamo in primo luogo capire. Dobbiamo leggere i testi della letteratura araba e persiana: trarre i codici dalle biblioteche, tradurre i libri nelle lingue europee, renderli noti a noi stessi e ai musulmani, che ignorano la maggior parte delle loro ricchezze. Forse questo scrupolo non ci salverà dagli attentati di Osama Bin Laden. Ma sino alla fine dei tempi, la civiltà occidentale ha l'obbligo di comprendere gli altri. Cosa hanno sentito, pensato, scritto, dipinto, e come continuano a sentire, pensare, scrivere, agire. Gli attentati di New York non nascono, come alcuni hanno detto, dal dolore degli umili, dei poveri, dei diseredati. Certo, chiunque abbia viaggiato nei paesi islamici conosce la commovente umiltà delle persone e delle cose: il ragazzo cieco che, a mezzanotte, con la mano tesa verso l'alto, canta le lodi di Alì (a cui si richiamano gli Sciiti), "mia sola guida, mio solo conforto": la piccola moschea bianca austerissima, senza un solo tappeto, in un'oasi del Sahara: i cimiteri senza lapidi e nomi, dove vasi spezzati ricordano i morti; il miracolo di una fede pura nel Misericordioso, che nessun evento può estinguere. Molti tra questi diseredati applaudono oggi i sinistri eroi del terrore. Ma se i terroristi dovessero vincere, essi saranno le prime vittime: offesi, torturati, calpestati, rinchiusi da chi pretende di agire in nome di Allah; come gli adoratori di Stalin sono stati sacrificati a milioni da Stalin. Poco tempo fa, i probabili complici dei terroristi hanno distrutto le grandi sculture del Buddha in Afghanistan: l'immagine dell'uomo che ha predicato la quiete, la liberazione dell'anima, la tolleranza, la compassione, il balzo fuori dal ritmo diabolico della storia, il nirvana. Distruggere le immagini di chi ha creato gli dei, o le grandi intuizioni morali, è persino più grave che massacrare migliaia di innocenti. Non per altro viviamo: per venerare quelle figure, ricordare le loro parole, sperare di raggiungere la quiete e la liberazione dell'anima. Come noi, gli umili della terra hanno bisogno di questo.