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LE IDEE
Difendo il diritto
di scendere in piazza
di UMBERTO ECO

HA SUSCITATO qualche preoccupazione sui giornali di ieri la dichiarazione del ministro Pisanu a proposito dell'annunciata manifestazione del 14 settembre, che è stata sentita come un allarme, discutibile, per una manifestazione di piazza che si vuole pacifica. Vorrei spezzare una lancia in favore di Pisanu, il quale ha detto sicuramente qualcosa di leggero (nel senso di commettere una leggerezza) ma anche qualcosa di pesante (nel senso che ha peso, e deve essere preso nella dovuta considerazione). Il ministro ha dichiarato di voler difendere, contro ogni movimento della piazza, il libero accesso alle sedi del Parlamento e il diritto degli eletti dal popolo di accedere alle loro sedi deputate. Giusto, e direi che è il suo mestiere. Qualcuno ha osservato che il 14 settembre non sono previsti lavori parlamentari, e che quindi il ministro poteva esimersi dall'esprimere questa preoccupazione. Però, nel dirlo, e nel sostenere "il diritto di essere rappresentati in Parlamento" (diritto certamente sacrosanto), ha citato di converso il "diritto di piazza" ovvero "il diritto di manifestare liberamente e pacificamente le proprie opinioni".

Il riferimento al diritto di piazza sembra così ovvio che non sarebbe il caso di congratularsi col ministro per averlo evocato, ma viviamo in tempi oscuri, e non dobbiamo dimenticare che meno di due settimane fa questo diritto era stato messo in dubbio dal presidente del Senato. Infatti, al Meeting di Rimini, Marcello Pera aveva ammonito che la politica non si fa "in piazza", bensì nelle sedi deputate, vale a dire nelle due Camere. Così ammonendo aveva ridato voce a opinioni già espresse negli ultimi tempi nell'ambito della maggioranza, dove più volte si era manifestata irritazione nei confronti delle manifestazioni di piazza. Ora siccome le opinioni di persone così illustri possono essere ascoltate alla radio o alla televisione anche da giovanissimi, forse ancora all'oscuro di una nozione di democrazia, bisogna riflettere un momento sulla funzione politica della "piazza".

Le manifestazioni di piazza possono essere di vario tipo. Alcune, ancorché spiegabili storicamente, sono passate in giudicato come manifestazioni di disordine che avevano forse valore sintomatico ma che non hanno prodotto risultati apprezzabili. Si pensi allo storico tumulto dei Ciompi, o ai torbidi di cui tanto bene ci racconta Manzoni, e in cui si era trovato coinvolto il povero Renzo. Talora manifestazioni di insofferenza popolare hanno dato origine a repressioni spaventose, come ai tempi di Bava Beccaris, talora ancora la piazza si è dimostrata feroce e incontrollabile, talora è stata manovrata dal potere per i propri fini, e metto dentro lo stesso paniere, dal punto di vista della loro dinamica, sia il rogo dei libri promosso da facinorosi nazisti che tante manifestazioni della rivoluzione culturale cinese, manovrate accortamente dallo stesso Mao.

Non solo, la storia ha pronunciato diversi giudizi su insurrezioni popolari, si vedano le cinque giornate di Milano, che noi devotamente rievochiamo con pubbliche cerimonie e che i nostri ragazzi studiano a scuola come splendido esempio di eroismo, e che tuttavia sotto diversa luce apparivano al buon maresciallo Radetsky e al suo regio e imperial governo. Ma la piazza non si manifesta solo nella violenza, e le democrazie occidentali l'hanno riconosciuta e istituzionalizzata come luogo della libera espressione, non dico romanticamente della volontà popolare, ma almeno di settori non trascurabili della pubblica opinione.

Nelle democrazie esistono, è vero, tre poteri, il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, tutti e tre sovrani nel proprio ambito (e mi permetto di ricordarlo anche al presidente del Consiglio, nell'ambito di un progetto di educazione permanente degli adulti), e la sede per condurre dibattiti politici che poi sfocino in leggi è il Parlamento. Ma le democrazie riconoscono anche al "popolo", che poi è la pubblica opinione nelle sue varie sfaccettature, il diritto di controllare i vari poteri dello Stato, giudicarne l'azione e stimolarla, manifestare eventuali insoddisfazioni circa la conduzione della cosa pubblica. In tal senso la voce dell'elettorato, che non può manifestarsi solo il giorno del voto, è utile anche al Parlamento e al governo stesso, al secondo perché gli trasmette un segnale, una sollecitazione, al primo perché dall'insoddisfazione popolare si possono trarre utili indicazioni sulle elezioni successive (che è poi quello che si tenta di appurare anche mediante sondaggi, un ricorso alla piazza "virtuale" che nessuno considera una forma di pressione illecita).

Come si manifestano le opinioni degli elettori? Attraverso l'azione di vari leader di opinione, giornali, associazioni, partiti, e persino gruppi di interesse particolare, tanto che negli Usa è praticamente istituzionalizzata la funzione delle lobbies, che aprono uffici a Washington per cercare di favorire gli interessi di ogni singolo gruppo, sia quello dei fabbricanti di armi che quelli che difendono qualche minoranza etnica o religiosa. Ma queste opinioni si manifestano anche a opera della piazza.

Le democrazie conoscono infinite dimostrazioni di piazza, che non sono tali in virtù delle persone che vi partecipano, perché può essere manifestazione di piazza anche quella di una ristretta minoranza, persino di due o tre persone, che riunendosi vogliono comunicare in pubblico quello che pensano o vogliono. In tal senso basta andare davanti al Parlamento inglese, o in ogni città americana, per vedere schiere di cittadini che inalberano cartelli e scandiscono slogan, cercando di coinvolgere i passanti. Basta andare sul celebre Hyde Park Corner, per vedere signori che su un podio improvvisato arringano gli astanti - ma non è necessario andare a Londra, anche nelle città italiane si trovano luoghi in cui la gente si riunisce spontaneamente a discutere dei fatti politici del giorno. Talora queste manifestazioni di piazza possono essere imponenti, come il Moratorium di Washington del 1969, contro la guerra in Vietnam, che ha scosso il paese.

Possono essere di destra o di sinistra, e si ricorderà la marcia dei quarantamila a Torino, che esprimeva nel pieno della lotta sindacale la posizione dei quadri aziendali, i cosiddetti colletti bianchi, o le manifestazioni di piazza delle "maggioranze silenziose", le sfilate dei sostenitori del Polo e le celebrazioni celtiche della Lega. Con tutto il rispetto, sono manifestazioni di piazza anche quelle che vedono addensarsi folle multicolori in piazza San Pietro, eventi così legittimi che la televisione li pubblicizza ed esalta.

La piazza si manifesta in vari modi e la legge delle democrazie è che possa farlo, se la manifestazione non degenera in violenza e qualcuno non arriva a sfasciare le vetrine o a incendiare le automobili. Ero presente al Moratorium del 1969, e l'ho visto svolgersi in modo pacifico dalla mattina alle 4 del pomeriggio, sino a che un gruppo di attivisti, che all'epoca si chiamavano Weathermen, non ha creato disordini, e allora la polizia è intervenuta con i gas lacrimogeni. Ma, regolati i conti coi Weathermen, nessuno in America ha giudicato il Moratorium violento e illegittimo, visto che vi parlava persino il dottor Spock, celebre autore di un manuale su cui le mamme americane hanno educato almeno due generazioni di bambini, il quale si è rivolto all'immensa folla giovanile iniziando con "Voi, tutti figli miei!" scatenando un irrefrenabile applauso di complicità e riconoscenza.

Ho citato le manifestazioni delle maggioranze silenziose e quelle della Lega. Non capisco perché le si debba considerare (e giustamente) legittime, quando poi si grida all'untore se la manifestazione è organizzata dai sindacati, e solo per il fatto giuridicamente trascurabile che raccoglie non migliaia bensì milioni di persone, o se si esprime attraverso un girotondo. È legittimo inneggiare alla Razza Piave e non alla Bella Lavanderina?

Certo, nelle manifestazioni di piazza fa aggio la quantità. Ma "quantità" non è una brutta parola, poiché è sulla quantità (in mancanza di criteri più sicuri) che si regge la democrazia, dove alle elezioni vincono coloro che sono in maggior numero. La piazza, quando si comporta in modo non violento, è espressione di civile libertà, e consideriamo dittatoriali quei paesi dove le manifestazioni di piazza non sono consentite, oppure se ne costruiscono dei simulacri organizzati dall'alto, come le adunate oceaniche a Piazza Venezia. Ma queste erano discutibili non perché fossero oceaniche, bensì perché non presupponevano contro-adunate di segno opposto. Chiediamoci ora che cosa fosse il Meeting di Rimini dove Pera ha condannato la piazza. Non era una seduta parlamentare, e nemmeno un seminario umbratile per addetti ai lavori. Come le feste dell'Unità, e ancor più, perché si svolgeva anche nel centro stesso della città, era una manifestazione della "piazza", e di sicuro impatto politico, dove gli organizzatori erano fieri di sottintendere "vedete quanti siamo?", con la stessa soddisfazione che in pari occasioni manifestano sia il Papa che Cofferati.

E dove ha pronunciato il presidente del Senato la sua arringa contro la piazza? In piazza, in una manifestazione che si svolgeva al di fuori delle aule parlamentari e intendeva esprimere le opinioni di una parte dei cittadini. Per cui la condanna della piazza avvenuta in piazza sembrava quasi l'azione di un severo moralista che, volendo condannare le pratiche di esibizionismo, si presenti sul sagrato del duomo, apra di colpo l'impermeabile esibendo quello che non si deve mostrare e gridi "Non fate mai così, intesi?"

Il ministro Pisanu è stato più accorto e ha ammesso che si ha il diritto di mostrarsi in piazza, purché non si mostri quello che non si deve mostrare. Pena, avrebbe dovuto dire, l'intervento della Buoncostume. Ma, nel clima in cui viviamo, si è avvertito, a torto o a ragione, ancora una volta un clima di diffidenza verso la piazza. Però verso la piazza degli altri, non verso la propria. Ma in democrazia non deve esserci differenza tra piazza del Popolo, piazza Risorgimento e piazza San Pietro. Le piazze sono tutte uguali, sono di tutti, aperte a tutti e quando rimangono vuote, presidiate dai carri armati, allora si parla di Repubblica delle banane.

(29 agosto 2002)