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Il kantiano Habermas di fronte alla guerra
La
Repubblica-14 OTTOBRE 2001
Il filosofo tedesco premiato alla fiera di Francoforte
È l'ultimo degli impegnati, l'ultimo degli intellettuali socialdemocratici di sinistra che goda di un credito internazionale indiscutibile. In fondo sono queste le due principali ragioni che hanno fatto vincere a Jürgen Habermas il prestigioso Friedenspries, che ogni anno, alla Buchmesse di Francoforte, viene consegnato a una autorità del mondo della cultura. In poco più di mezzo secolo il riconoscimento non è mai andato a un italiano, salvo al teologo Romano Guardini che per il lungo tempo in cui ha lavorato in Germania (anche accanto ad Heidegger) si può considerare un autore di lingua tedesca. Recentemente sono stati insigniti del premio Oz, Semprún, Vargas Llosa, Kemal e negli ultimissimi anni Martin Walser, Fritz Stern e Assia Djebar.
Habermas, nell'incontro consueto che il vincitore ha con la stampa, ha parlato, come era prevedibile, dei tragici eventi che hanno colpito gli Stati Uniti l'11 settembre e del successivo conflitto in terra afghana. Non c'è dubbio che l'eccezionalità degli avvenimenti, legati al blitz condotto da un manipolo di terroristi, ci obbliga secondo Habermas, a rileggere la storia anche più recente con occhi meno indulgenti. A ripensare l'efficacia e la pericolosità del fondamentalismo.
Le sollevazioni di minoranze in Pakistan che minacciose inneggiano a Bin Laden, danno l'idea del modo in cui il fondamentalismo oscilli tra una ricerca di religione intransigente e la rivendicazione degli aspetti più tradizionali e chiusi della società.
L'Europa nel Seicento ha dovuto fare i conti con le guerre di religione. Da quelle sfide, spesso terribili, sono nati lo Stato secolarizzato, la separazione del diritto dalla morale, la tutela dei diritti individuali. Ma che cosa potrà nascere oggi da un conflitto in cui l'emergere di un nemico così insidioso e sfuggente non era stato preso in seria considerazione? È chiaro che una risposta va cercata e in fretta poiché, secondo Habermas, il bisogno di sicurezza, il desiderio di protezione da parte dei cittadini è enormemente aumentato. La guerra non può essere la risposta esclusiva, anche se si presenta come una necessità. In linea di principio Habermas sul tema della guerra rimane un kantiano pragmatico che fa appello soprattutto allo scritto per la pace perpetua. La guerra se proprio si deve fare deve essere l'occasione per creare uno scenario internazionale in cui mettere al centro la questione dei diritti umani. Tutto quello che sta accadendo non può essere dunque ridotto a un confronto tra il bene e il male, ma va visto come un'occasione per sconfiggere il fanatismo.
E' come se il filosofo, ultimo erede prestigioso della scuola di Francoforte, abbia con ciò ribadito la sua idea di "etica della discussione". Si tratta come è noto di una importante teoria argomentativa che intende rifiutare il relativismo, difendere una certa idea di valori universali e fondare in maniera abbastanza inedita un nuovo approccio alla democrazia.
Le teorie di Habermas, volte in
questo momento a ridefinire lo scenario postnazionale, hanno trovato larga
udienza in Italia dove è ampiamente tradotto. Si annunciano due libri in
uscita, uno da Laterza l'altro da Einaudi. Feltrinelli invece ha da poco
pubblicato una sua raccolta di saggi sul tema della globalizzazione