L´INCUBO italiano del terrorismo ritorna davanti agli occhi del Paese,
come se non dovesse finire mai. C´è un altro morto, tre anni dopo,
ammazzato per strada a Bologna da due sicari scappati nel buio, mentre
tornava a casa in bicicletta. Nel maggio del '99, le Brigate Rosse avevano
ucciso Massimo D´Antona. Torna la stessa immagine di un uomo inerme a
terra, freddato dalla viltà assassina del terrorismo. La stessa borsa
abbandonata accanto, piena di documenti con cifre e proposte sul tema del
lavoro. Marco Biagi lavorava per il governo, come consulente del ministro
del Welfare Maroni, lo stesso incarico di D´Antona. Le analogie sono
impressionanti, così come la scelta scientifica dei bersagli da parte del
terrorismo, sempre attento nella sua cupa potenza evocativa a trasformare
la morte in simbolo.
Allora, il bersaglio era il riformismo italiano, con la sinistra al
governo. Oggi, è la politica della destra, la battaglia sui
licenziamenti, l´articolo 18 su cui si è aperto uno scontro sociale e
politico senza precedenti. Tre anni fa, le forze politiche furono capaci
di dare una risposta unitaria alla sfida eversiva, senza dividersi. Oggi
è necessaria la stessa reazione, per difendere non solo la democrazia, ma
anche la possibilità di un confronto aperto tra maggioranza e
opposizione. Gli spazi si stanno pericolosamente restringendo, e il
terrorismo vuole il peggio.
In passato, quando la sfida era al cuore stesso dello Stato, l´eversione
è stata sconfitta non solo per la forza delle istituzioni, ma per la
coesione del sistema. Bisogna saper tornare a quell´assunzione comune di
responsabilità, pur nella distinzione dei ruoli, nella diversità dei
progetti e dei programmi, nello scontro delle idee.
Tre fatti gravi sono davanti a tutti noi. Prima di tutto la morte inutile
e tuttavia irrimediabile di un uomo, qualcosa di irreparabile per la sua
famiglia, i suoi amici, per tutta la comunità civile.
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Poi il riemergere del terrorismo, una bestia italiana che si nutre dei
momenti di tensione e che si rigenera dalla sua stessa sconfitta, dopo che
la geometrica potenza del suo progetto eversivo negli Anni Settanta era
stata fronteggiata, battuta e dispersa: con la doppia ripulsa delle
istituzioni da un lato (mai piegate a tentazioni autoritarie o a
scorciatoie trattativiste) e del movimento operaio dall´altro, che seppe
isolare i brigatisti nelle fabbriche, senza credere e cedere alla
tentazione eversiva. Il terzo fatto è l´esplosione del terrorismo nel
mezzo di un conflitto sociale pienamente dispiegato, alla vigilia della
grande manifestazione della Cgil contro la modifica dell´articolo 18, con
il rischio di strumentalizzazioni, forzature, usi demagogici dell´assassinio
di Marco Biagi.
Quando il terrorismo si manifesta, l´attacco è sempre alla democrazia e
alle sue istituzioni. Questo dovrebbe portare tutti, maggioranza e
opposizione, ad uno sforzo comune, ognuno per la sua parte, nella coerenza
di un compito condiviso: la difesa dello Stato. Le prime reazioni, ieri
sera, sono state invece reazioni di parte. Il presidente di Confindustria
D´Amato, e il presidente del Consiglio Berlusconi, all´unisono, hanno
per prima cosa denunciato "il clima d´odio" che c´è nel
Paese, quasi a criminalizzare il dissenso politico e sociale, e l´azione
legittima di contrasto alla politica del governo e di Confindustra sul
tema del lavoro da parte di Cofferati e della Cgil.
Vogliamo dire, con chiarezza, che strumentalizzare la morte di Marco Biagi
sarebbe gravissimo. Un conto è sostenere che davanti alla gravità della
sfida eversiva (che ancora una volta si è insinuata in quello spazio
delicatissimo che sta tra i lavoratori e il sistema politico) tutti gli
interlocutori devono riflettere, per trovare la strada di un confronto
costruttivo, pragmatico, fuori dagli schemi ideologici e dalla volontà di
piegare l´avversario: tutti, dal governo alla Confindustria, al
sindacato, ai partiti dell´opposizione di sinistra, ritrovando quel
sentiero della concertazione che ha garantito la pace sociale nel Paese
per anni, realizzando risultati importanti.
Un altro conto è usare il ritorno del terrorismo per criminalizzare il
dissenso, per chiudere la bocca all´opposizione, per tacitare le ragioni
del sindacato e la sua legittima funzione di rappresentante degli
interessi dei lavoratori. Non si può vedere nel dissenso, nei movimenti,
nell´opposizione organizzata la manifestazione dell´odio, quasi a
suggerire che questo è il terreno di incubazione del terrorismo. Questa
operazione non fu nemmeno tentata, nei giorni del delitto D´Antona. E se
oggi la logica folle dei terroristi cerca nel martirio di Marco Biagi la
traccia emblematica dell´articolo 18 da criminalizzare, allora, tre anni
fa, con D´Antona i brigatisti rossi dichiararono di colpire un bersaglio
simmetrico e opposto, "il Patto Sociale come strumento corporativo e
antiproletario". I loro simboli non devono diventare i nostri.
Berlusconi e il suo governo, inchinandosi al loro collaboratore ucciso,
dovrebbero sentire in questo momento il dovere di cercare il consenso
possibile, e non la divisione o lo sfondamento ideologico. Questo non
significa rinunciare al loro legittimo progetto politico, che hanno il
diritto-dovere di dispiegare e tentare di realizzare, avendo ottenuto il
consenso degli elettori. Significa rinunciare alle inutili radicalità del
linguaggio (a cominciare dal premier), alle tentazioni muscolari, alle
minacce come quella sfuggita al Cavaliere a Barcellona sulle pensioni, ad
un approccio ideologico alle riforme.
Il sindacato, dall´altra parte, deve semplicemente ricordare la sua
stessa storia negli anni della sfida eversiva. Deve sapere di essere una
forza che ha difeso le istituzioni e la democrazia, una forza riformista
che ha saputo privilegiare nei suoi anni migliori l´interesse generale,
armonizzandolo con la difesa degli interessi legittimi che deve difendere.
Deve essere parte e anima di una sinistra di governo: pienamente
alternativa a questa destra, nei programmi e nei progetti, e insieme parte
attiva della difesa dello Stato e della costruzione di uno Stato più
moderno e più efficiente.
Questi sono gli elementi di distinzione e di dialogo che vanno
valorizzati, entrambi. Cofferati faccia il primo passo, trasformando la
marcia di sabato in una grande manifestazione contro il terrorismo e per
il lavoro. Berlusconi risponda cercando il dialogo, per fare le riforme
nella concertazione. D´Amato, se può, abbassi i toni del suo
ideologismo. Tutto il resto, davanti alla sfida del terrorismo è
irresponsabile, soprattutto dopo la morte di un uomo, nella notte italiana
del marzo 2002.
EZIO MAURO
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