Gli intellettuali non
possono avere altra utile funzione nella società se non quella di
sollevare problemi con serietà di argomentazione. Essi non sono tali di
per sé perché fanno bene il loro mestiere di specialisti di questa o
quella branca del sapere. Sono tali quando, servendosi degli strumenti che
sono loro propri, escono sulla scena contribuendo a mantenere vivo il
dibattito pubblico e ad arricchirne l´ordine del giorno. Essi fanno la
loro parte non già quando pretendono di essere ascoltati perché dicono
le loro verità, ma quando sottopongono i loro argomenti in maniera
efficace a quella verifica di verità che è il confronto aperto, il quale
contribuisce a rendere ciascuno più consapevole di ciò che è in gioco
nelle scelte che i cittadini e coloro che li rappresentano in varia sede
sono chiamati istituzionalmente a compiere.
La legittimazione degli intellettuali sta tutta qui. Essi non solo non
hanno titolo a rappresentare nessuno, ma non devono pretendere di
rappresentare nessuno. La loro sola ambizione in una società democratica
dovrebbe essere quella di mettere sul piatto della bilancia della
competizione dei soggetti politici ragionamenti chiari nelle loro
motivazioni e implicazioni. In quanto cittadini e partecipi della
competizione politica poi, gli intellettuali hanno naturalmente il pieno
diritto di agire come componenti di una delle parti in lotta e di operare
perché un progetto o una linea abbia la meglio sull´altra. Essi
falliscono completamente quando si pongono strumentalmente al servizio di
questo o di quel partito, poiché quando lo fanno finiscono
inevitabilmente per contribuire non già ad arricchire l´ordine del
giorno del dibattito democratico, ma a svilirlo e a deformarlo.
Gli intellettuali che intervengono nel dibattito pubblico con l´intento
pregiudiziale di colpire chi esercita il potere o all´opposto di
erigersene a difensori, rendendo funzionali i loro argomenti a questo
scopo, delegittimano perciò ipso facto se stessi; e si riducono ad essere
una sorta di "assistenti intellettuali" di chi è al potere o di
chi aspira ad esso. Il che non significa ovviamente concludere che l´intellettuale
non debba assumere le proprie responsabilità di fronte ai problemi
attinenti ai modi in cui nella società in cui vive si esercita il potere,
anche prendendo la tessera di un partito. Al contrario, egli è chiamato
ad assumersi le sue piene responsabilità di cittadino se vuole obbedire
al proprio compito. Infatti, l´intellettuale che "si chiama
fuori" potrà anche essere anche un grande specialista del sapere, ma
non sarà propriamente un "intellettuale".
Il tema del rapporto tra intellettuali e politica si è riacceso in Italia
negli ultimi tempi in relazione alle posizioni che uomini di cultura hanno
assunto di fronte alla politica del governo Berlusconi e alla sua
maggioranza soprattutto in campi attinenti alla giustizia, all´informazione
e al conflitto di interessi, sostenendo che questa politica per i suoi
modi e le sue finalità contraddice i principi e le regole proprie di un
sistema liberaldemocratico. Queste prese di posizione hanno provocato la
reazione di personalità del giornalismo e della cultura, tra cui mi
limito a ricordare Pierluigi Battista, Angelo Panebianco e Ernesto Galli
della Loggia, i quali hanno sostenuto che era sorto un "partito dell´Apocalisse",
composto da intellettuali di sinistra inclini all´estremismo incapaci di
rassegnarsi alla vittoria di Berlusconi e di accettare il risultato uscito
democraticamente dalle urne.
L´ultima "lezione" in materia agli intellettuali estremisti di
sinistra l´ha impartita recentemente dalle colonne del Corriere della
Sera Galli della Loggia. Il quale parla, appunto, di intellettuali
radicali di sinistra che, partendo da una «pregiudizievole condanna della
coalizione governativa», si oppongono agli intellettuali che questa
pregiudiziale condanna non fanno propria e «divengono per ciò stesso rei
di berlusconismo di fatto, colpevoli di una dissimulazione che prelude al
tradimento, che anzi è già tradimento». Gli intellettuali estremisti di
sinistra, erigendosi a custodi e rappresentanti «della verità e del bene»,
- continua Della Loggia - accuserebbero addirittura lui e chi come lui di
non poter essere «persone per bene» perché «non di sinistra», di
essere «come minimo un venduto reale o potenziale al potere». Una
lezione tanto dura e pesante che chi la impartisce deve essere davvero
sicuro dell´alta cattedra, non solo intellettuale e soprattutto morale,
da cui la impartisce. Vorrei dire a Della Loggia, che accuse di questo
genere, infamanti per chi le riceve, non si fanno sparando nel mucchio ma
rivolgendosi eventualmente ai singoli, citandoli nome e cognome e
adducendo le pezze di appoggio. In ogni caso sparare nel mucchio (non mi
riferisco, naturalmente, agli aspetti politici ma a quelli morali)
costituisce un bell´esempio di una inaccettabile esasperazione polemica.
Ma vengo agli aspetti politici, quelli che più interessano.
A proposito di intellettuali estremisti di sinistra. Qui già l´argomento
dei teorici dell´esistenza di un partito dell´Apocalisse che sarebbe da
essi composto mostra pienamente la corda. Infatti, ad opporsi in prima
fila alla politica di Berlusconi, e a sottolineare la pericolosità dei
suoi programmi in relazione a una serie di punti cruciali per il corretto
funzionamento di un sistema democratico, prima e dopo le elezioni, sono
state personalità come Bobbio, Galante Garrone, Sylos Labini (sui quali
certo pesa il vizio di origine "azionista"), Sartori (un noto
estremista di sinistra!) e, tra gli altri, anche il sottoscritto, che di
sinistra è ma non propriamente estrema. Fatto è che l´oggetto della
loro polemica - questo è il punto - non è mai stata la legittimità
della vittoria elettorale dello schieramento guidato da Berlusconi, ma
determinati elementi della sua politica. L´ispirazione di fondo delle
posizioni assunte dal cosiddetto "partito dell´Apocalisse" è
stata unicamente la difesa di alcuni dei presupposti basilari su cui
reggono i sistemi politici e istituzionali liberali e democratici.
Questi presupposti sono che i giudici possano esercitare il loro mestiere
nel rispetto della divisione dei poteri e dell´ottemperanza della legge;
che, secondo il principio osservato in tutte le democrazie, salvo che nell´Italia
berlusconiana, chi detiene il potere politico non deve possedere una parte
cospicua dell´economia nazionale; che, come avviene in tutti gli altri
paesi occidentali, chi guida il potere esecutivo ed è il capo della
maggioranza parlamentare non può essere al tempo stesso il maggior
detentore di quel quarto potere che è l´informazione, con il godimento
di concessioni governative a suo profitto. Ecco la materia del contendere,
di fronte a cui gli "intellettuali estremisti di sinistra"
conducono una battaglia di carattere eminentemente liberale in nome delle
regole della democrazia moderna e gli intellettuali "liberali"
sembrano dormire sonni tranquilli. Ebbene noi dinanzi a tutto questo non
ci sentiamo affatto tranquilli. Non ci sentiamo tali perché la politica
di Berlusconi va nella direzione di una concentrazione dei poteri che
contraddice l´essenza stessa della democrazia liberale. Domando: stiamo
proponendo all´ordine del giorno del dibattito pubblico problemi irreali,
che ci siamo inventati? Se ce li siamo inventati o quanto meno li agitiamo
in maniera irresponsabile (e personalmente mi spiace che tra chi inclina a
crederlo vi siano anche Macaluso e Cafagna), allora siamo sicuramente
degli "estremisti". Altrimenti il silenzio di chi tace su di
essi o minimizza, ma leva la sua voce contro chi li solleva, parla da sé.
Per il 22 febbraio i Ds hanno indetto un raduno di intellettuali, non dei
loro militanti. Mi auguro che l´oggetto della discussione non sarà come
vincere alle prossime elezioni, poiché un simile scopo richiede diversi
strumenti e soggetti, ma come una forza politica e intellettuali aderenti
e non aderenti ad essa, possano contribuire al funzionamento di una
democrazia più sana in grado di meglio garantire la libertà e le libertà
di tutti i cittadini di sinistra, di centro e di destra.
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