|
TORNA A: SOCIETA', POLITICA, CULTURA: saggi ed articoli
Conflitto
d'interessi, un effetto valanga
EZIO MAURO
da Repubblica - 10 maggio 2002
IL conflitto d´interessi viene trattato in Italia da uomini politici e da
uomini di scienza come un tema delicato ed astratto, che abita la sfera dei
principi e dei valori, dove entra palesemente in rotta di collisione con i
criteri fondamentali di una democrazia liberale: nella quale non è accettabile
che uno dei due competitori per la guida politica del Paese sia anche il
proprietario-plenipotenzario di tre reti televisive nazionali, cioè la metà
del mercato televisivo generale, un´antenna su due.
Basterebbe questa impostazione di carattere generale ed astratto per richiamare
l´attenzione di tutta la società politica, del legislatore e delle istituzioni
di garanzia sulla gravità dell´anomalia italiana e sulla necessità di
risolverla al più presto con misure efficaci e trasparenti. E per richiamare,
nello stesso tempo, la responsabilità del presidente del Consiglio e delle
forze politiche che lo sostengono, perché evitino di perpetuare questa
violazione ai principi liberali di base rinunciando alle false soluzioni che si
preparano a varare in parlamento.
Ma nessuno ha ancora detto che il conflitto d´interessi, in realtà, è tutto
questo, ma è anche un´altra cosa: un cumulo di abusi concreti e di interventi
anomali sul piano dell´informazione, che si sommano l´uno all´altro
producendo un vero e proprio sistema conflittuale in termini di equilibrio e di
comando, un ingorgo di eccessi di potere. Il conflitto, cioè, non è solo la
violazione astratta di un principio liberale. Ma è, in concreto e nell´uso di
ogni giorno, una sommatoria di abusi e di prevaricazioni, che formano una vera e
propria valanga illiberale. Questo dev´essere giudicato, quando parliamo di
conflitto d´interessi, non soltanto il valore astratto della separazione –
sacrosanta – tra la guida della cosa pubblica e gli interessi privati.
Proviamo a capire.
SEGUE
A PAGINA 16
Silvio Berlusconi è un caso da manuale di conflitto "naturale",
intrinseco, i teologi direbbero consustanziale. È nato alla politica con il
peccato originale del conflitto, perché è sceso in campo con la proprietà
privata, personale e diretta delle tre reti televisive di cui è fondatore,
dunque con la piena ed arbitraria disponibilità – già in partenza – di metà
della moderna agorà, della piazza telematica su cui si svolge oggi il moderno
mercato politico del consenso.
Non la condiscendenza della sinistra, negli anni del governo dell´Ulivo, ma la
sua debolezza culturale (che è anche peggio) ha impedito di mettere mano nella
scorsa legislatura ad una normativa serena e trasparente che ponesse fine a
questa sproporzione abusiva. Solo una sinistra succube e gregaria dell´egemonia
culturale della nuova destra, infatti, ha potuto lasciarsi imprigionare nel
falso schema illiberale di comodo secondo il quale una normativa su questa
materia equivaleva ad un esproprio; mentre la disciplina legislativa del
conflitto non faceva parte del sistema di regole di base, che viene prima del
confronto-conflitto tra gli schieramenti, ma faceva invece parte del mercato
politico di scambio, come un optional, da minacciare e far scomparire secondo le
convenienze, il clima, i rapporti di forza, addirittura le furbizie del momento.
Solo che ridurre una regola a optional, significa stravolgere tutto il sistema
dei canoni liberali che deve disciplinare le nostre istituzioni.
Col conflitto perfettamente innestato – e santificato dai cinque anni dell´Ulivo
– Berlusconi ha dunque nuovamente condotto una campagna elettorale, l´ha
combattuta anche attraverso le sue televisioni, l´ha legittimamente vinta: al
lordo del conflitto, naturalmente. Tutta la stampa internazionale ha
sottolineato lo scandalo liberale di un presidente del Consiglio che controlla
da proprietario la metà dell´etere. Il Capo dello Stato ha richiamato più
volte l´attenzione del premier su questa anomalia, e sulla necessità di
scioglierla. Gli uomini del premier hanno preparato una legge scandalosa, e
tentano ora di imporla sul mercato politico a colpi di maggioranza, come se
fosse una soluzione.
Ma intanto – ecco il punto - il conflitto cammina. Da principio si fa cosa,
mentre l´astratta violazione s´incarna in gesti, propositi, atti, e nasce l´effetto
valanga. Una valanga di illiberalità. Perché la legislatura nasce con il
peccato originale. E a quel peccato, partendo da quel peccato, vanno commisurati
tutti gli atti del presidente del Consiglio in materia di informazione, e tutte
le decisioni che riguardano la Rai, cioè la metà dell´etere che non possiede
in virtù di proprietà privata: ma che può adesso comandare in virtù di
controllo politico.
Incapace – perché non vuole – di risolvere il nodo che tiene il premier
impigliato nei suoi interessi privati, Berlusconi aveva una strada di decenza
istituzionale davanti a sé. Poteva scegliere per la televisione pubblica un
presidente apertamente di garanzia, super partes, che segnalasse la
consapevolezza democratica dell´opportunità di rinunciare all´annessione
esplicita della Rai al sistema berlusconiano, accanto a Mediaset.
Il Cavaliere ha invece deciso di lasciarsi dominare dal suo vizio di origine,
ingigantendo ad ogni sua mossa il conflitto d´interessi. Prima ha scelto un
presidente di parte, imprigionando Pera e Casini in una ragnatela di veti e di
controcandidature provocatorie che gli garantisse, alla fine, una sicura
maggioranza nel controllo della televisione pubblica. Poi ha dato il via,
personalmente, a un sistema di nomine per le poltrone di comando delle reti, dei
telegiornali, dei servizi di rilievo politico e della radio che assicura il
pieno comando della destra su ogni spazio radio-televisivo, con l´eccezione
della riserva indiana della terza rete. Naturalmente è vero che l´Ulivo aveva
duramente lottizzato a suo vantaggio la Rai da capo a piedi, nella scorsa
legislatura. Ma questa volta, c´è il peccato di partenza: Berlusconi possiede
tre reti private nazionali. Con il controllo politico pieno della televisione
pubblica realizza un totale comando televisivo senza precedenti e senza
spiragli, che è un´offesa patente ai principi di base di ogni democrazia
occidentale.
Ma con il governo del Cavaliere i principi violati diventano abusi concreti,
prepotenze visibili. E il conflitto si ingigantisce. Poche settimane dopo le
nomine Rai, con un Consiglio di amministrazione insediato e affannosamente
impegnato a fingersi autonomo, il presidente del Consiglio italiano
"licenzia" in una conferenza stampa in Bulgaria due giornalisti come
Biagi e Santoro, e il comico Luttazzi. Ancora una settimana, e manda tutto il
Polo all´attacco nella commissione parlamentare di vigilanza per silenziare
Biagi, Santoro, Vespa (per forza di cose) e Mannoni durante la campagna
elettorale. A parte la ridicola furbizia di citare anche Vespa, il disegno è
chiaro: non potendo licenziare davvero – per ora – Biagi e Santoro, il
premier chiede al Parlamento di imbavagliarli.
Quest´ultima vicenda è grottesca, nel suo carattere esplicito e addirittura
ossessivo, e sembra costruita apposta per far precipitare lo
"statista" Berlusconi dentro la caricatura che gli avversari fanno di
lui, un populista illiberale che scambia il comando con il potere, il potere con
la politica, la politica con la televisione. E la televisione, naturalmente, con
la propaganda. Al punto da garantirsi per contratto e scientificamente che ogni
sondaggio trasmesso dalla Rai venga fabbricato da quell´istituto che per anni
lavora per lui, a santificazione preventiva, contemporanea e postuma di ogni suo
atto e di qualsiasi suo gesto, con percentuali che un tempo si definivano
bulgare.
Ma in realtà, questa vicenda ci insegna a leggere il conflitto di interessi
come una macchina infernale che continua a macinare aberrazioni liberali e
democratiche, un peccato originale che s´ingigantisce e cresce atto dopo atto,
fino a intralciare, condizionare e alterare il libero confronto della politica
italiana. È questo scandalo permanente, e soprattutto ogni giorno crescente, il
conflitto di interessi che va risolto ed evitato: non un astratto principio
teoricamente messo a rischio. La valanga di illiberalità cresce ogni giorno, il
conflitto è fatto di abusi di potere concreti e prevaricazioni evidenti e
continue. Non si può fingere di non vedere questa realtà: soprattutto non
possono fingerlo le autorità istituzionali di garanzia. Credevamo che
Berlusconi fosse anomalo perché aveva trasformato la televisione in una
ideologia. Molto più semplicemente – e proficuamente – l´ha portata a
coincidere con la politica, la sua politica, in un´alchimia che l´Europa non
aveva ancora conosciuto e che è la base dell´ultimo, modernissimo e pericoloso
populismo elettronico.