L´EMOZIONE di fronte a quelle tombe violate nel cimitero ebraico di Roma,
di fronte a quei marmi spaccati, quelle stelle di David divelte, di fronte
al pianto e allo smarrimento dei parenti, è grande. E grande è la nostra
indignazione. E tuttavia vogliamo evitare l´errore di attribuire subito a
qualcuno, a qualche organizzazione o gruppo preciso, la responsabilità di
quella profanazione, un atto vandalico che, a differenza di analoghi
episodi che si sono verificati negli ultimi mesi in Francia e in Germania,
non è stato - nel momento in cui scriviamo - né firmato né rivendicato.
Non spetta a noi, ma alle autorità di pubblica sicurezza, individuare e
colpire al più presto e in modo incontrovertibile, gli autori di un gesto
così infame.
Gli autori hanno agito in gruppo, questa sembra essere l´unico dato
certo. Potrebbe forse trattarsi di qualche gruppo di estrema destra
intossicato dalla propaganda di tipo neonazista, ancora presente in molti
siti e pubblicazioni dei nostalgici della Repubblica di Salò.
L'ombra lunga dell'antisemitismo
Potrebbe invece
trattarsi di qualche gruppo collegato al terrorismo islamico che volesse,
con questo gesto, esprimere solidarietà ai «fratelli palestinesi»; o,
magari, di un puro atto di violenza e vandalismo urbano. Ma quali che
siano gli autori materiali di questa profanazione, non c´è dubbio che il
luogo e le vittime e persino la data, forse, sono carichi di un forte
valore simbolico. Persino la data, perché ieri ricorreva nel calendario
ebraico il giorno 9 del mese di Av, dedicato dagli ebrei al digiuno per
ricordare la distruzione del tempio di Gerusalemme e la cacciata degli
ebrei dalla Spagna. Due sconfitte e, ieri, l´ultima offesa.
Immediata è stata la reazione e la condanna dei vertici istituzionali e
degli esponenti di tutti i partiti. «L´antisemitismo», ha commentato il
presidente del Senato, «è un serpente schifoso al quale non si riesce a
schiacciare definitivamente la testa» Il presidente Pera ha ragione. La
profanazione di ieri, quali che ne siano gli autori, è l´esito di un
persistente, forse crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo
nel nostro paese, e che si accompagna alla sottovalutazione dei crimini
del nazismo e della rilevanza della Shoah.
È di ieri la notizia che nella redazione del quotidiano della Lega, in
via Bellerio, a Milano, vengono abitualmente diffusi via interfono inni
del Terzo Reich mentre sui muri sono affissi manifesti di Hitler e delle
SS. In qualche scuola - anche questi episodi sono stati sottovalutati -
tornano di moda battute antisemite, e irrisioni nei confronti di studenti
ebrei. La recente decisione del Parlamento italiano (che personalmente
condivido) di consentire il rientro in Italia dei Savoia si è
accompagnata in qualche caso ad una cancellazione o sottovalutazione delle
leggi razziali promulgate in Italia nel 1938 con il consenso della
monarchia allora regnante. E in qualche caso - va pure dolorosamente
ricordato - le manifestazioni a favore della pace in Medio Oriente sono
state turbate e inquinate da parole d´ordine che andavano ben al di là
della legittima critica alla politica di Israele e, di fatto, si
trasformavano in prese di posizione di tipo antisemita. Persino il recente
invito del presidente della Rai a riscrivere la nostra storia nazionale,
buttando alle ortiche le «storielle» che a suo avviso hanno infarcito
finora i nostri libri di testo e le nostre trasmissioni televisive,
potrebbe essere letto - o meglio rischia di essere letto - in questa
chiave. Al di là delle sue intenzioni, cioè, come un invito a
ridimensionare le colpe del fascismo e del nazismo.
La comune indignazione di tutto il mondo politico e della città di Roma
valga dunque anche come un richiamo a tener fermi quei valori, intitolati
all´antifascismo ed alla Resistenza alla condanna dell´antisemitismo e
del razzismo sui quali si è andata costruendo, negli ultimi cinquant´anni,
la nostra identità nazionale.
In questa città è un delitto ancora più grande
di Walter Veltroni
da l'Unità
- 19 luglio 2002
C'è una violenza
che si esercita contro i vivi e c'è una violenza che colpisce i morti,
che lacera la memoria e che non è meno dolorosa né meno colpevole. Quel
che è accaduto ieri nella parte ebraica del cimitero del Verano è
gravissimo. Né ci consola in alcun modo il pensiero che non c'è nulla di
nuovo, purtroppo, sotto il sole e che di profanazioni di tombe ebraiche ne
abbiamo viste, in questi ultimi tempi, in tante, troppe, città di questa
nostra Europa tanto civile eppure tanto barbara in certi recessi della sua
anima.
No, è una "normalità" che ci ripugna, che rifiutiamo.
"Succede anche altrove", "in tutto il mondo va così":
sono argomenti di chi si sente sconfitto e noi non lo siamo.
L'ho sentito, ieri, mentre osservavo sotto il sole del grande cimitero di
Roma i volti dolenti dei cari amici della comunità ebraica, mentre
sentivo il canto dei morti intonato dal rabbino davanti alla tomba offesa
della famiglia Beer, mentre leggevo, sulla lapide della tomba accanto, il
racconto, in pochissime parole, d'una famiglia che ha pianto moglie e
madre inghiottita da Auschwitz: "1948, abbiamo aspettato cinque
anni…".
Ho ritrovato, in quel momento, il senso di una comunanza profonda: la
comunità ebraica è la più antica fuori dalla Palestina e vive in questa
città da più di duemila anni, ha consumato le sue tragedie e l'orribile
destino dei suoi deportati dal ghetto insieme con la gente di Roma, non c'è
mai stata, almeno nei tempi moderni, separatezza, discriminazione,
intolleranza. Gli ebrei sono una delle anime popolari di questa città, i
depositari d'una parte fondamentale della sua cultura, un pezzo della sua
identità profonda. Anche per questo, e penso di poterlo dire con un certo
orgoglio, a Roma l'antisemitismo non ha mai prosperato; Roma e gli ebrei
di Roma hanno attraversato la storia insieme.
È questo il motivo per cui quel gesto di violenza compiuto nella notte mi
riempie di un dolore profondo. E' una violenza esercitata contro i nostri
fratelli e contro la città, contro tutti noi. Ora la polizia farà le sue
indagini, sapremo, spero presto, chi sono i vigliacchi e perché l'hanno
fatto, con quali motivazioni immediate, per dimostrare chissà che cosa a
chissà chi. Ma la rivendicazione del suo significato è già scritta
nell'atto stesso: hanno voluto colpire gli ebrei di Roma, hanno colpito,
con gli ebrei, Roma.
|