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Oriana Fallaci intervista sè stessa, L'Apocalisse, Rizzoli, 2004, p. 262
Milano. Oriana Fallaci torna in libreria, oggi, con un cofanetto che raccoglie la sua Trilogia post 11 settembre (“La Rabbia e l’Orgoglio”, “La Forza della Ragione”, “Oriana Fallaci intervista sé stessa”) riveduta, corretta e ampliata.
All’intervista ha aggiunto un lungo Post Scriptum di 103 pagine, praticamente un
altro libro, sempre sotto forma di colloquio con se stessa, che ha intitolato
“L’Apocalisse”.
Il Foglio lo ha letto in anteprima e ve lo racconta.
L’Apocalisse è la visione
mistica di Giovanni l’evangelista, il racconto di “un mostro che saliva dal
mare”, con sette teste e dieci corna, così forte e così potente che nessuno ebbe
il coraggio di contrastarlo e al quale fu consentito di “pronunciare frasi
arroganti, offendere Dio, maledire il suo nome”. Un mostro che ricevette il
potere su ogni uomo e su ogni cosa e al quale fu consentito “di far guerra a
coloro che appartengono al Signore”. Il Mostro, secondo Fallaci, è l’Islam, il
credo in nome del quale si uccidono centocinquanta bambini a Beslan e tutte le
altre orrende cose che sono accadute in questi anni. Nell’Apocalisse, ricorda
Fallaci, c’è anche un altro tipo di mostro: “Un mostro che saliva dalla terra”,
una “Bestia” che “prese a esercitare il potere per conto del Mostro”. Secondo la
scrittrice, la Bestia è il gruppo dei “collaborazionisti”, l’Europa che lei
chiama “Eurabia”, “l’Occidente che divorato dal cancro morale fa il gioco
dell’Islam. Rassegnato, soggiogato, pavido”. Sono la quinta colonna del Mostro,
sono i volenterosi carnefici della nostra civiltà, quelli che inconsapevolmente
lavorano ai fianchi la nostra tradizione, quelli che non hanno aperto gli occhi
né l’undici settembre né l’undici marzo, coloro che nonostante le decapitazioni
in Iraq e lo sgozzamento di Theo van Gogh ad Amsterdam fanno addirittura fatica
a definire “islamico” il terrorismo in nome di Allah.
Lo stile letterario di Fallaci è il consueto: ricco, potente, evocativo, vivo.
Per capire il suo modo di scrivere bisogna pensare a un neologismo americano: “It’s-all-about-me-journalism”.
Fallaci parla di se stessa, usa la sua biografia, talvolta il suo stesso corpo e
la sua malattia, per arrivare diritta al cervello e alle viscere di chi la
legge. E guai a dirle che “rifarsi all’Apocalisse” per spiegare il mondo, può
sembrare “un gioco intellettuale” o “un trucco letterario” o “una fantasia di
scrittori” o “una fiaba”. Secondo Fallaci, “invece è la tragica realtà in cui
viviamo duemila anni dopo Giovanni l’evangelista. Per capirlo basta dare
un’occhiata ai giornali e alla Tv, o ascoltare le insensatezze che dicono i
politicanti europei”.
Il mondo degli “sgomentevoli”
Fallaci ha ascoltato tutte queste insensatezze pronunciate da chi, in “La Forza
della Ragione”, definisce uomini “sgomentevoli”. Nel tritacarne fallaciano
finiscono Jacques Chirac, Laurent Fabius e, soprattutto, José Luìs Rodrìguez
Zapatero. E poi Romano Prodi, chiamato più volte “Mortadella”, criticato più per
come ha guidato l’Unione Europea che come leader dell’Ulivo. E poi, le due
Simone, che lei chiama “le due Simonette”, ingrate con chi le ha liberate e
invece grate, gratissime, con i carcerieri che in fondo le avevano trattate
bene. Anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi viene investito dalla rabbia
orgogliosa di Fallaci, così come il Corriere della Sera (“ululando come un lupo
impazzito giurai che sul Corriere non avrei pubblicato più neanche il mio
necrologio”), e con il Corriere le prende anche Magdi Allam (mai citato per
nome), l’Islam moderato (“non esiste”), l’idea di far entrare la Turchia nella
Unione europea, la Costituzione europea privata delle sue radici
giudaico-cristiane, il matrimonio e l’adozione gay, Yasser Arafat, il nuovo
Premio Nobel per la Pace che accusa l’Occidente di aver diffuso l’Aids per
sterminare gli africani e, ovviamente, Osama bin Laden. Fallaci rivela di aver
incontrato lo sceicco in un albergo di Beirut: “Parlo del giovanotto che nel
luglio del 1982 vedemmo a Beirut. Quello incredibilmente alto e dignitoso che
vestito di un candido djellaba camminava per il salone del grande albergo dove
c’eravamo appena trasferite, che un paio di volte girò attorno alla nostra
poltrona lanciandoci un’intensa occhiata di antipatia. Anzi di ostilità”.
Figure, persone e storie apparentemente diverse e lontane, ma che Fallaci lega a
un unico filo: c’è una religione che predica l’odio e lo sterminio della
civiltà, e la civiltà è stanca e troppo politicamente corretta per accorgersene.
Ma l’occidente non solo non se ne accorge, fa molto di più e di peggio: si
adopera per accogliere l’invasione, per ridurre le difese, per sminuirsi e
favorire il piano di conquista: “Il professor Bernard Lewis è un ottimista a
profetizzare che l’Europa sarà tutta musulmana entro il 2100. Se non ti opponi
alla nuova follia, lo sarà al massimo entro il 2017”. E mentre accade tutto
questo arriva “il señor Zapatero” a buttare alle ortiche “il concetto biologico
di famiglia”, autorizzando il matrimonio gay e, “quel che è peggio, mille volte
peggio”, l’adozione gay. “E questo senza che nessuno gli dicesse almeno cretino:
il mondo va a fuoco, l’Occidente fa acqua da tutte le parti, il terrorismo
islamico non fa che tagliarci la testa, e tu perdi tempo coi matrimoni-gay e le
adozioni-gay?”. L’atea Fallaci ne ha anche per Karol Wojtyla: “Questo senza che
la Chiesa Cattolica si ribellasse, senza che il Papa (di nuovo) si difendesse.
Magari tirando in ballo la Madonna di Czestochowa a cui è tanto devoto e che
certo non avrebbe gradito l’iniziativa di Zapatero”. Il punto, spiega Fallaci, è
che spesso l’omosessualità diventa ideologia, “come se fosse uno stato di grazia
anzi di superiorità” e “la normalità uno svantaggio anzi uno stato di
inferiorità”. La presunta superiorità, scrive Fallaci, ha un punto debole:
“Quello che, buttando alle ortiche il concetto biologico di famiglia, il señor
Zapatero finge di scordarsi. L’omosessualità non permette di procreare. Se
diventiamo tutti omosessuali, la specie finirebbe. Si estinguerebbe come i
dinosauri”. Fallaci spiega a lungo questo concetto, anche attraverso il racconto
di un pranzo romano con Pier Paolo Pasolini, due mesi prima della sua morte:
“Per essere concepiti, ci vuole un ovulo e uno spermatozoo. Che ci piaccia o no,
su questo pianeta la vita funziona così” e “nell’immagine di due uomini o di due
donne che col neonato in mezzo recitano la commedia di Maria e Giuseppe vedo
qualcosa di mostruosamente sbagliato”.
Il ragionamento della scrittrice trova conferme nel caso di Rocco Buttiglione al
Parlamento europeo, colpevole di aver pronunciato la parola “peccato”: “Vi colsi
la prova definitiva del nostro cupio dissolvi, l’ansia di autodistruzione che
ormai divora l’Occidente attraverso il suo cancro intellettuale e morale”.
Fallaci non ama Buttiglione, “mi irrita la sua mellifluità alla Mortadella, la
sua educata spocchia alla D’Alema e la condiscendenza con cui invita a rileggere
De Captivitate Babylonica Ecclesiae o Regulae ad directionem Ingenii”, ma “se
non mi brucia sul rogo perché la penso in modo diverso da lui, ha il diritto
d’essere cattolico come io ho diritto d’essere atea”.
Il trasferimento a Tonga
Cinque cose avevano convinto Oriana Fallaci a lasciare l’Italia per trasferirsi
a Tonga (non a “Sant’Elena” perché “io per Napoleone ho sempre nutrito
malevolenza”), altre quattro l’hanno fatta restare. La prima è stata la reazione
di chi, di fronte a gente che ha ucciso 150 bambini in nome di Allah, ha dato la
colpa a Putin. Poi il suo Corriere della Sera che ha promosso un tragicomico
Manifesto sull’Islam “moderato” sponsorizzato dal ministro Beppe Pisanu e lodato
da Carlo Azeglio Ciampi. L’Islam moderato non esiste, scrive Fallaci: “Il Corano
è ciò che è. E i fondamentalisti, gli integralisti non sono il suo volto
degenere. Sono il suo vero volto, il suo volto fedele”. Esistono, però, i
musulmani moderati, “certo che esistono, ma sono una minoranza esigua”, come
Abdel Rahman al-Rashed che sul giornale Asharq al-Awsat ha scritto un articolo
che Fallaci riporta per intero e il cui succo è questo: “E’ un fatto che non
tutti i musulmani sono terroristi, ma è ugualmente un fatto che tutti i
terroristi sono musulmani”. Infine la pantomima delle “due Simonette”, Zapatero
e il caso Buttiglione. Ma sono state la firma a Roma di una Costituzione europea
“senz’anima”, il video di bin Laden (“in lui vidi qualcosa di apocalittico”),
l’assassinio di van Gogh e la reazione italiota alla morte del “padre del
terrorismo”, cioè di Arafat, a farla rimanere: “Non bisogna cedere. Bisogna
resistere. Io non voglio cedere. Voglio resistere. Perché voglio vedere la
sconfitta del Mostro, voglio vedere la vittoria dell’Angelo che lo imprigiona”.
Il Foglio 14/12/2004