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André Glucksmann, Il Corriere della Sera 15 dicembre 2004 (stralcio da un saggio pubblicato su Fondazione Liberal, direttore Ferdinando Adornato)
Che cosa chiamiamo terrorismo? Vi è terrorismo quando degli uomini armati aggrediscono degli uomini disarmati, e li aggrediscono deliberatamente. Due precisazioni si impongono. Gli uomini armati possono non vestire uniformi, oppure vestire uniformi. Vi può essere, infatti, terrorismo da parte di uomini in uniforme. Fornirò due esempi per non urtare la suscettibilità di nessuno. Il primo esempio è quello di Napoleone che qualificava la guerriglia spagnola e russa terrorismo, mentre era l'esercito di Napoleone a essere terrorista, come testimonia Goya. Il secondo esempio è quello, naturalmente, dell'occupazione dell'Europa da parte di Hitler, il quale tacciava di terroristi coloro che resistevano. Ebbene, a essere terroristi e sequestratori erano precisamente i soldati in uniforme nazista.
Si può quindi essere uomini in uniforme, si può essere uno Stato, ed essere terroristi. È questo il primo punto.
Il secondo punto è dato dal termine «deliberatamente». Si tratta di un'aggressione deliberata contro dei civili. Vedi i sequestri di persone, le autobombe che esplodono per strada, le bombe umane, eccetera. «Deliberatamente» significa che non è possibile lavarsene le mani e dire che le guerre sono tutte uguali e che tutti gli interventi militari si equivalgono. È vero che qualsiasi azione militare fa strage di civili, ma non li uccide deliberatamente. Gli attentati terroristici uccidono deliberatamente dei civili in quanto civili, uccidono bambini in quanto bambini, uccidono donne in quanto donne.
Oggi, ci corre l'obbligo di constatare che il terrorismo non è una novità: ne parlava Dostoevskij. Da sempre, gli anarchici hanno fatto esplodere bombe dentro i caffè. Che cosa c'è dunque di nuovo?
Ci sono due cose. Innanzi tutto che il terrorismo è un fenomeno mondiale; che siamo passati dall'epoca delle bombe H, le bombe a idrogeno, all'epoca delle bombe-umane. Questo l'abbiamo visto a Manhattan. Abbiamo visto che per una somma irrisoria, equivalente al prezzo di un appartamento di otto vani a New York, Roma o Parigi, degli uomini armati di Keter possono compiere stragi simili a quelle di Hiroshima. È sintomatico infatti notare che l'area devastata di New York è stata chiamata Ground Zero perché Ground Zero ha rappresentato l'ultima tappa sperimentale prima di Hiroshima, con l'esplosione di una piccola bomba; la gente ha immediatamente capito che in mano all'umanità tutta vi era oramai un potere devastante.
In primo luogo il terrorismo è divenuto un problema mondiale e un'arma mondiale, e in secondo luogo — e questo è forse ancora più importante — il terrorismo è divenuto un mezzo psicologico di lotta.
Nelle guerre normali, classiche, anche durante il secondo conflitto mondiale e anche durante la guerra fredda, vi erano campi di battaglia e lì si decidevano le guerre. Clausewitz diceva che era sul campo di battaglia che si misuravano le forze morali — o immorali — e le forze fisiche, le forze morali attraverso la forza fisica. Il terrorismo è esattamente l'opposto. Si tratta di ottenere risultati concreti con mezzi psicologici. L'esempio ci viene da Manhattan, ma anche da Atocha, la stazione di Madrid ove sono stati uccisi civili per conseguire un risultato non conseguibile con le armi, e cioè il ritiro del contingente spagnolo dall'Iraq.
Siamo di fronte a un cambiamento a causa del quale non è più il campo di battaglia il terreno in cui gli eserciti si affrontano, bensì la testa di ogni uomo di questo pianeta. A partire da Atocha, abbiamo assistito a una campagna terroristica contro il sistema democratico, contro il potere elettorale, visto che l'attentato di Madrid ha dimostrato come nell'arco di tre giorni, chi faceva esplodere i treni nelle stazioni otteneva maggiori risultati che non con sei mesi o due anni di campagna elettorale, di incontri porta a porta, di meeting, di dibattiti televisivi. Ricorderete che il risultato elettorale atteso da tutti gli istituti di sondaggio era a favore di Aznar, e nello spazio di tre giorni il risultato è stato sovvertito. Non sarebbe stato sovvertito senza gli attentati. Ci troviamo, quindi, di fronte a una campagna a livello mondiale che dimostra quanto il terrorismo sia più forte degli incontri porta a porta, delle discussioni, dei dibattiti. Il terrorismo, allora, non è solo far esplodere i treni nelle stazioni, bensì sgozzare — ad esempio — qualcuno e filmare l'evento, con calma, prendendo tempo. Quelle immagini parlano a tutti. Ricordate Antigone. Antigone si è alzata e ha detto: una volta morte, le persone hanno diritto alla sepoltura. Tutte. Che si tratti di nemici o amici. Ora, quello che si osserva nell'assassinio, nello sgozzamento degli ostaggi è che anche da morti essi non hanno diritto al silenzio, al cordoglio, occorre che siano insultati e che le loro sofferenze facciano presa sulle popolazioni.
Seconda definizione, a proposito di nichilismo. Credo sia questa la filosofia del terrorismo: il nichilismo. Che cos'è il nichilismo? Sintetizzando al massimo, si può dire che con il nichilismo tutto è permesso. Abbiamo il diritto, ci prendiamo il diritto di uccidere dei civili, di uccidere dei bambini, di uccidere dei passanti, di uccidere chiunque. Tutto è permesso. È questo il motto, il leitmotiv del nichilismo. Questo ci insegna molto. Dire che l'essenza del terrorismo è il nichilismo significa che non si può ricondurre il terrorismo a un fanatismo religioso. Equivale a dire che è qualcosa che va al di là, che travalica una guerra di religione. Quando ci ostiniamo a sostenere che non attacchiamo l'Islam, bensì l'islamismo, due sono le implicazioni. Che il terrorismo, da un lato, è qualcosa di più esteso e, d'altro lato, che è qualcosa di più circoscritto. È qualcosa di più esteso in quanto fra terroristi religiosi, terroristi atei, terroristi cinici, terroristi gangster, vi sono fenomeni di alleanza (...). In base all'ipotesi nichilista, abbiamo a che fare con qualcosa che va completamente al di là delle guerre di religione, che supera ampiamente i conflitti ideologici. Il nichilismo rappresenta il nocciolo comune, il leidos — direbbero i filosofi greci — l'idea guida del terrorismo islamico, ma anche del terrorismo nord-coreano e del terrorismo narco-marxista del Sud America. Tale travalicamento non è solamente un superamento delle barriere religiose, è anche un superamento delle barriere ideologiche.
All'inizio, quando vi era Milosevic, si diceva: è un marxista. Non è vero. Era un marxista, ma anche un razzista, un nazionalista estremo, alleato di gente con una mentalità molto vicina a quella nazista. Assistiamo a un ventaglio di opzioni ideologiche, di contatti fra Al Qaeda e il Baath, tra Al Qaeda e Saddam Hussein. Potete osservare che in poco tempo questi contatti si sono saldati completamente, che in quindici giorni — il tempo dell'arrivo degli americani — gli uomini di Saddam Hussein, a quanto pare laici, atei e quant'altro, e gli uomini di Al Qaeda, che passano per religiosi, si sono intesi perfettamente. Ci troviamo quindi di fronte a un fenomeno nichilista ove l'idea di distruggere per distruggere perviene a riunire attorno a sé gente con opzioni e ideali quanto mai contrapposti.
(traduzione di Bianca Scauri)