Nello Yemen vivono circa 11 milioni di donne.
Una su un milione si aggira senza la copertura integrale del niqab
(indossato dal 99 per cento) né quella parziale del chador. Sparse tra
San´a, Aden e Taizz (una sola), le undici si conoscono per nome, si
tengono in contatto e aggiornano l´elenco. Questa è la storia della
prima di loro, Amal Basha, che amava il cinema, la libertà e l´unico
marito che ha potuto scegliere.
La racconta nella sede dell´Associazione "Sister Arabic Forum".
Alle sue spalle un poster mostra quattro donne che depongono la scheda
nell´urna: la prima è a capo scoperto e in bianco, il resto della fila
è nera e senza volto.
Il tavolo a cui siede ha per tovaglia una "futa", il gonnellino
colorato indossato dagli uomini. Il racconto è spesso interrotto dall´arrivo
di due collaboratrici che le portano fax e documenti, entrambe sono
velate.
Amal nacque a Taizz, quando ancora non era una città moderna, ma un
grande villaggio rurale. La sua famiglia discendeva direttamente dall´imam
che aveva governato il paese, possedeva terre, esigeva rispetto. Quando le
donne del clan uscivano, anche le guardie al portone si coprivano il volto
con un pezzo di stoffa: anche i contorni delle femmine del loro padrone
dovevano restare un assoluto mistero. Il padre di Amal era un uomo
erudito: il suo studio era pieno di libri. Anche la madre ne aveva letti,
imparando a memoria le storie che contenevano. Le ripeteva alle amiche,
nei lunghi pomeriggi passati insieme a masticare le foglie del qat, la
blanda droga nazionale. Amal ascoltava e sognava di diventare un giorno
scrittrice. Aveva 7 anni quando il padre le comunicò che sarebbe
diventata, invece, la moglie del figlio di un suo amico.
Lei conosceva quel ragazzo: aveva cinque anni in più, si erano parlati,
avevano giocato insieme, ma l´idea di sposarlo di lì a qualche anno la
spaventò. Per reazione marinò la scuola e andò al cinema. Al ritorno
confessò tutto ("non avevo ancora imparato a mentire, allora").
Il padre la picchiò e la chiuse nel bagno, una stanza fredda e buia. Uno
zio "illuminato" le mandò una cugina a farle compagnia per
qualche ora. La notte il padre pentito riaprì la porta e l´abbracciò
piangendo. Il giorno dopo le annunciò: "Metterai il chador" .
Aveva 8 anni. La sua strada era segnata. A 9 divenne ancora più oscura:
il padre morì e la nonna le impose il niqab. L´onda della rivoluzione
komeinista arrivava allo Yemen e ne contagiava i costumi. "Ma sotto
quella cappa nera non riuscivo a respirare, avevo caldo, non vedevo bene.
Ero sempre più arrabbiata perché la mia vita non era la mia vita. Non
decidevo niente, eppure mi criticavano. Ormai era una sfida, alzai la
posta". Rifiutò, a 12 anni, di sposare il marito che le era stato
assegnato. Lo disse davanti a un giudice, in pubblico. Diede scandalo e
non fu l´ultima volta. A 13 anni la famiglia si riunì per discutere il
caso di quella ragazza ribelle che preferiva lo studio alla cucina e non
voleva più coprirsi il volto. Lo zio "illuminato" la difese:
"Così la state uccidendo". Ma era l´unico. Amal capì che
avrebbe perso la causa e decise di mettere i suoi davanti al fatto
compiuto. Si scoprì il volto (ma non i capelli) e uscì, camminando per
ore, andando in ogni strada della città, perché tutti la vedessero,
rendendo inutile il ritorno al niqab. La vendetta di famiglia arrivò tre
anni dopo con un altro, irrinunciabile, matrimonio combinato. A 16 anni,
Amal era moglie, nove mesi esatti più tardi madre, a 17 divorziata. Per
tenere il figlio restituì tutta la dote con gli interessi: fece vendere
anche parte delle terre in cambio del bambino.
A 18 anni era su un aereo per il Cairo, sola, diretta all´Università
americana, per laurearsi in Scienze politiche. Trovò un ambiente più
aperto e cosmopolita. Entrò a far parte, unica donna, del movimento
studentesco yemenita. Scoprì la libera espressione e la protesta. Quando
tornò a Sana´a la polizia la attendeva alla scaletta dell´aereo per
interrogarla. Fece il concorso diplomatico, ma fu tagliata fuori perché
"inaffidabile". Trovò lavoro in un ministero, poi all´Onu.
Sposò, per amore, Ahmed Tarboush, ideologo di un partito d´opposizione e
giornalista. Ebbero due figli. Una sera del ?98 lui tornò da una sessione
di masticazione del qat e dopo 15 minuti morì. Il volto aveva macchie
nere, ma lei non chiese l´autopsia nonostante i sospetti di
avvelenamento. "Ero troppo scioccata. E oggi penso che avrebbero
potuto comunque dare gli esiti che volevano". Prese i tre figli e andò
in Inghilterra per un master. Al ritorno si presentò con il capo
scoperto, lasciò l´ultimo chador sull´aereo. All´epoca nessuna donna
nello Yemen aveva fatto altrettanto, con l´eccezione di due leggende che
avrebbero gestito un caffè sulla strada del Mar Rosso chiamato "Le
ragazze". Si narrava su quel locale, ogni genere di storia. Lo
racconta Eric Hansen nel libro "In viaggio con Mohamed", ma
neppure lui vide "Le ragazze".
Dopo Amal vennero le altre dieci: Raya è bionda e si trucca, Thaira
lavora all´Unicef, Suad "la pescatrice" lavora al Ministero
della pesca, Bahira fa parte del club anche se porta il velo part time.
Amal è apparsa a capo scoperto e vestito rosso su Al Jazeera. Tutti gli
yemeniti che l´hanno vista hanno apprezzato le sue parole. Qualcuno le ha
detto: "Saresti perfetta, se avessi anche il velo". Lei non
chiede alle altre di toglierlo, perché ne fa una questione di libertà. E´
convinta che le undici diventeranno presto molte di più, ma sa anche che
ci sono donne che stanno meglio così. L´importante è poter scegliere.
Ieri ha inaugurato una conferenza internazionale. Dopo di lei ha parlato,
velata, la donna ministro per i Diritti umani. Tra il pubblico, molte in
niqab hanno applaudito.
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