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Theo van Gogh, un omicidio multiculturale (e rituale) “Non lo fare, pietà”. Poi la scarica di colpi, infine la lama taglia la gola del regista “come una pagnotta” “L’autore del delitto ha agito per convinzione islamica radicale”. L’Olanda ha più paure
Da Rushdie a Pim, a un foglio coi versetti
infilzato sulla pancia
Amsterdam. Ormai non ci sono più dubbi. Theo van Gogh, il regista, giornalista e
polemista olandese ammazzato martedì mattina, è rimasto vittima di un assassinio
rituale di matrice islamica, di un omicidio multiculturale. Il governo ha
aspettato un po’ prima di ammetterlo, soprattutto per evitare una caccia allo
straniero (che non c’è stata, anche se la polizia di Amsterdam è dovuta
intervenire in una serie di “discussioni animate”). Ma dopo i primi
accertamenti, ieri mattina alle 3, il ministro della Giustizia olandese, Piet
Hein Donner, ha dichiarato che “con ogni probabilità, l’autore del delitto ha
agito per convinzione islamica radicale”. Il suo collega degli Affari interni,
Johan Remkes, ha aggiunto che l’assassino, un ventiseienne con passaporti
olandese e marocchino, era già noto al servizio segreto AIVD. Era amico di Samir
A., un diciottenne marocchino arrestato nel giugno di quest’anno con l’accusa di
progettare un attacco dinamitardo alla Stazione centrale di Amsterdam. Inoltre,
frequentava la famigerata moschea El Tawheed, sempre di Amsterdam. Questo luogo
di culto di tendenza salafita e wahabita (corrente fondamentalista originaria
dell’Arabia Saudita), dove si vendono libri nei quali ai credenti viene
consigliato di buttare gli omosessuali giù dai palazzi, ha la fama di essere un
fulcro di estremismo politico-religioso. L’omicida di van Gogh non figurava però
sulla lista di circa 150 estremisti islamici in Olanda, per lo più marocchini e
spesso molto giovani, che sono tenuti sotto controllo dalla AIVD. Vari esponenti
politici hanno colto questo fatto non soltanto come motivo per criticare il
servizio, ma anche per l’amara constatazione che “l’Olanda ovviamente non è
pronta per il terrorismo”, come ha detto il politologo Paul Cliteur, il più noto
professore del liberalismo conservatore olandese.
Che il jihad islamico nella sua manifestazione peggiore sia entrato in Olanda lo
dimostrano anche le modalità con le quali si è svolto l’omicidio di van Gogh. E
vale la pena di raccontare la scena, svoltasi in una normale strada di
Amsterdam, anche nei dettagli più raccapriccianti, per capire con chi abbiamo a
che fare.
Pochi alla manifestazione di sdegno
Quando van Gogh, già ferito e caduto dalla sua bicicletta, tenta di fuggire,
inciampa e cade a cavallo tra il marciapiede e la corsia per i ciclisti. Si
avvicina il suo assassino, un uomo smilzo, alto circa un metro e settanta,
vestito in un abito marocchino tradizionale. Il regista alza le mani in un gesto
disperato e urla: “Non lo fare! Pietà!”. L’altro invece punta la pistola e spara
otto, nove colpi. Poi tira fuori dal suo abito una specie di spada con la quale
comincia a tagliare la gola della vittima agonizzante “come una pagnotta”,
secondo un testimone terrorizzato. E’ il rituale dello sgozzamento, praticato
dalla setta degli Assassini, dai guerriglieri islamici algerini, dai terroristi
in Iraq, e ora anche dai loro seguaci in Europa. Dopo i primi tagli, lascia
stare e tira fuori un coltello più piccolo con il quale, pungendo, sulla pancia
di van Gogh fissa un foglio con scritto su qualcosa. Il contenuto non è ancora
reso pubblico, ma probabilmente si tratta di versetti del Corano, come risposta
alla “blasfemia” di van Gogh, che aveva osato dipingere corpi nudi di donne con
testi presi dal libro sacro. Alla fine, l’omicida si mette in fuga con la
pistola in mano, ma, avendo perso tempo, sarà presto catturato, anche se
soltanto dopo uno scontro a fuoco con la polizia.
L’omicidio di van Gogh si presenta come una sorta d’incrocio tra il caso Rushdie
e l’assassinio di Pim Fortuyn, nel maggio 2002. Non sappiamo se il regista
olandese fosse oggetto di una formale fatwa di qualche imam, ma in fondo poco
importa: è stato minacciato più volte da musulmani radicali e per un breve
periodo ha anche avuto la scorta. Ma mentre Rushdie, rendendosi conto del
pericolo e avendo i mezzi a disposizione per una fuga perenne, è riuscito a
scappare ai suoi aguzzini, van Gogh tutto sommato non credeva di essere un
bersaglio (“Mi considerano più un matto di paese che un obiettivo serio”, disse
con grande, e purtroppo sbagliato, senso di autoironia). In più non aveva né la
possibilità né la voglia di limitare la sua libertà, girando con guardie armate.
E così è finito come Fortuyn, che era anche lui senza scorta perché in fondo non
se lo aspettava di essere freddato come un cane all’uscita di uno studio
radiofonico.
Due attentati in 911 giorni (e c’è chi dice cabbalisticamente che quel 9/11 non
è un caso) hanno cambiato profondamente il clima politico-sociale in Olanda.
Nelle analisi di questo nuovo delitto si parla spesso di un inaccettabile
indurimento sociale, polarizzazione politica-religiosa e perdita delle garanzie
civili. “Pensavo che in questo paese ognuno potesse liberamente dire il suo.
Purtroppo è stata un’illusione”, commentava ieri lo scrittore Ronald Giphart,
amico di van Gogh. Rob Oudkerk, leader socialdemocratico di Amsterdam, diceva
triste, usando il vecchio nome ebraico della sua città: “Questa Mokum non è più
la mia Mokum”. Il mito dell’Olanda, e in particolare di Amsterdam, come luogo di
tolleranza e pacifica convivenza di idee, culture ed etnie diverse, sembra
definitivamente infranto. Al posto della tradizionale tranquillità, ora regna
l’incertezza. “Certo che ho paura. Non c’è due senza tre!”, si sfoga Geert
Wilders, parlamentare indipendente di destra, che ha criticato l’“invasione
musulmana” in termini non meno forti di van Gogh. Wilders è uno dei pochissimi
personaggi pubblici olandesi che gira con la scorta, ma non è convinto che sia
sufficiente: “Se vogliono, ti beccano lo stesso. O (beccano) la tua famiglia”.
Per quel motivo, il politologo Cliteur da qualche tempo si astiene dal fare
commenti forti sull’islam.
Tra gli attentati a Fortuyn e a van Gogh c’è comunque una differenza essenziale,
sostiene il parlamentare Mat Herben, il principale erede politico di Fortuyn:
“L’omicidio di Pim fu un affare interno olandese, qui invece si tratta di un
problema non tipicamente nazionale, ma di ampiezza mondiale: il terrorismo
islamico ha trovato l’Olanda”. Con il suo pensiero, Herben interpreta grosso
modo l’opinione pubblica, come si è visto dalle reazioni completamente diverse
ai due omicidi politici. Nel caso di Pim, la rabbia popolare si scagliò in primo
luogo contro i rappresentanti della politica tradizionale, ma ora il bersaglio è
il terrorismo internazionale e, anche se ancora in misura contenuta, la comunità
marocchina in Olanda, ritenuta più o meno complice. E mentre gran parte dei
marocchini è perfettamente integrata, bisogna dire che altri non hanno fatto di
tutto per togliersi di dosso il sospetto di connivenza. Pochi di loro hanno
partecipato alla grande manifestazione di sdegno e protesta, martedì sera a
Piazza Dam. E quella stessa sera, alla televisione olandese, un giovane
musulmano ha sostenuto che van Gogh stesso è stato il responsabile della sua
morte e che “bisogna combattere il fuoco col fuoco”. Un insegnante di un
istituto tecnico di Amsterdam, frequentato per lo più da allievi marocchini, ha
invece raccontato che la maggior parte di loro ha esultato alla notizia della
morte di van Gogh. Ha evitato comunque di descrivere la scena in televisione per
ovvi motivi di sicurezza.
“Maledettamente politically correct”
There’s something rotten in the State of Holland, quindi. Ma come reagire? Gli
olandesi, che amano le soluzioni pratiche, hanno subito pensato a una serie di
misure concrete: più scorte, e non soltanto a uomini politici, come è la prassi
attuale; controlli e intelligence più accurati nel mondo del radicalismo
musulmano; ed eventualmente un cambio dello Statuto che renda più facile la
chiusura di moschee malfamate. Ma allo stesso tempo sopportano sempre meno gli
ospiti che pensano di poter fare come pare a loro. E così sta finendo l’era
dell’ideale multiculturale e dell’“integrazione conservando la propria
identità”, che dagli anni Settanta in poi sono state alla base della politica
olandese nei confronti delle minoranze etniche, culturali o religiose. Di questa
tendenza si rende perfettamente interprete Hugo Borst, columnist del quotidiano
nazionale Algemeen Dagblad, commentando furiosamente un episodio successo sul
luogo del delitto: “Quanto siamo maledettamente politically correct in questo
paese è illustrato da una testimone che ha assistito alla trasformazione di Theo
da porco infedele in bacheca coranica. A un giornalista che le chiedeva
l’identikit del boia, ha detto soltanto che portava un cappello e occhiali, ma
non ha voluto dire che aveva anche un vestito tradizionale arabo. Non che avesse
paura, no, questa sostenitrice fanatica della società multietnica non voleva
stigmatizzare, nemmeno davanti al cadavere ancora tiepido di Theo…”.