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La guerra all'Occidente
Ezio Mauro  

 

  da Repubblica - 8 luglio 2005


Nello stesso Paese dove i Grandi del mondo aprivano il G8, in quella Londra diventata il caput mundi del 2005, il terrorismo ha portato ieri la sua guerra, assaltando la metropolitana, bruciando i treni nei tunnel, uccidendo con le bombe decine di persone, fino a paralizzare la città nel terrore, allargando l´allarme a tutta l´Europa.
Da una parte, i leader dei grandi Paesi – che erano il bersaglio simbolico e politico delle bombe – riuniti in silenzio intorno a un Blair di colpo invecchiato, sicuro e fermo nel dire che i barbari «non vinceranno». Dall´altra, una scena di guerra nel paesaggio di pace delle nostre vecchie città europee, abituate da sessant´anni a vivere senza conflitti domestici: ambulanze, sirene, poliziotti e soldati, sangue. E di nuovo la morte, come a Madrid un anno fa, che entra in Europa per ricordarci che facciamo parte del fronte, proprio noi, qui, dove crediamo di vivere in pace.
In mezzo, il terrorismo e le sue bombe. Ormai capace di giungere dove vuole, e di scegliere quando. Ma non più, come nel giorno delle Torri, volando sotto la linea d´ombra del pensiero occidentale, pensando cioè l´impensabile e arrivando perciò dove non potevamo immaginare, al cuore simbolico del sistema, che credevamo imprendibile.

No: ormai la sfida al nostro mondo corre con un percorso mimetico dentro il pensiero occidentale, le sue scadenze e le sue procedure simboliche. Il terrorismo agisce con il calendario gregoriano in mano a Madrid, scegliendo un altro "giorno 11", nel marzo di un anno fa, mentre ieri a Londra segue alla perfezione l´agenda politica del Primo Mondo, nel giorno del suo summit ufficiale con il G8.
E tuttavia, nonostante la sensazione d´assedio che i Grandi trasmettevano nelle immagini da Gleneagles, nonostante il bersaglio propagandistico evidente di un attacco che mirava a paralizzare il G8, resta la sensazione che il vero target e la vera ossessione dei fanatici siamo noi. La normalità della nostra vita alla stazione del metrò, l´autobus che arriva, la scala mobile che scende e il vagone del treno che parte, andare al lavoro, entrare a scuola, leggere il giornale: i piccoli gesti quotidiani di ognuno, che collettivamente formano i riti di una cultura comune, di una civiltà condivisa, la banalità invisibile e benefica della democrazia di ogni giorno.
Potremmo dire la normalità civile, la semplice libertà. Ciò di cui stiamo vivendo, ciò per cui stiamo morendo a Londra oggi, come ieri a Madrid, e l´altroieri a New York. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti, finalmente, che siamo dentro una stessa storia, da quel giorno di settembre 2001 in cui il secolo fu deviato. Che cosa lega gli uomini e le donne che saltavano giù dalle Torri in fiamme, con le vittime insanguinate dei treni pendolari di Madrid, con le persone assassinate dentro il treno a King´s Cross? Due cose: erano cittadini, nient´altro che questo. Ed erano cittadini dell´Occidente. In realtà le due cose si unificano. Perché solo vivendo in un sistema democratico si può essere davvero cittadini. E questa sola identità - in realtà: questa identità suprema - è bastata a trasformare quelle persone in bersagli.
Dunque i terroristi sanno chi noi siamo, cos´è il nostro mondo. Sembriamo saperlo meno noi. Da oggi, finalmente, sarà più difficile per tutti separare la catena del terrore in pezzi isolati, rifiutarsi di vedere e di capire, semplicemente non "fare sequenza". Che cosa abbiamo bisogno di aspettare, per mettere insieme Londra con Madrid e con New York, che la bomba arrivi a casa nostra? Ma è già a casa nostra, lo è fin dal primo giorno. Con la facile compassione del "siamo tutti americani" abbiamo rifiutato la vera responsabilità della condivisione, che avrebbe dovuto farci dire ben di più e ben più gravemente: siamo in realtà tutti occidentali, perché l´attacco è alla democrazia e non solo agli Stati Uniti, come non soltanto alla Spagna, e nemmeno alla sola Inghilterra di Blair.
Con le sue latenze che lo inabissano, il suo riemergere assassino, il terrorismo sa di fare comunque sequenza, di parlare una sola lingua, di declinare sempre lo stesso messaggio, di avere in realtà un unico bersaglio, che Tony Blair ieri ha chiamato giustamente "il nostro modo di vivere". La campana di Londra suona per tutta l´Europa e per l´occidente intero, cioè suona esattamente per noi. Il significato universale di quest´ultima strage, come per la prima e la seconda, non sta nelle modalità né nel numero delle vittime, ma in quello che potremmo chiamare il "coinvolgimento di sistema", la percezione cioè di far parte dello stesso mondo scelto a bersaglio da un altro mondo che non consideravamo nemico, ma ci colpisce a morte perché nega valore ad ognuno dei nostri valori più alti.
Poi c´è la guerra. Ho sempre pensato che sia stata un errore, anche se ha sconfitto il dittatore. Lo ripeto oggi, con convinzione, perché mancava la motivazione diretta della risposta al terrorismo di Al Qaeda e della distruzione delle armi di distruzione di massa, che non c´erano: ma soprattutto perché - a differenza della risposta politico-militare in Afghanistan dopo l´11 settembre - la guerra in Iraq è fuori dalla legge delle democrazie, che devono sempre rispettare i vincoli di diritto e di legalità che passano attraverso l´Onu e la sua responsabilità. Certo la democrazia deve difendersi: ma deve rispettare i vincoli che lei stessa ha posto ai suoi legittimi sovrani, condizionando l´uso della forza alla forza del diritto. Dunque non è accettabile la dottrina Bush quando assegna agli Usa, senza alcun legittimo mandato, la "missione" universale di sconfiggere i "nemici della libertà". Questo metodo umilia e soprattutto indebolisce l´Occidente, riducendolo a un sistema di delega agli Usa. E può dare continuità e forza politica alla capacità strategica dei terroristi di "fare sequenza", cioè di allungare la catena dell´orrore.
Ma detto questo, bisogna pur dire che l´11 settembre è venuto prima della guerra. Prima: all´inizio di tutto. Dunque la vera guerra dura da quasi quattro anni, anche se nei ripari nelle nostre capitali e nel nostro "modo di vivere" ci siamo forse illusi di essere ai margini, spettatori, capaci di tenere la crisi all´esterno, indenni. Fuori dalla sequenza.
E invece oggi guardiamo quella gente in barella e sentiamo che è come noi, perché siamo insieme e soltanto "cittadini" e "occidentali". Non possiamo fare a meno di esserlo, vogliamo esserlo, e questo ci trasforma in bersaglio. E rende più facile la percezione che episodi distinti di terrorismo si cumulano fino ad oggi nello stesso problema, che è un nostro problema: l´attacco alla democrazia.
Se è così, bisogna aver l´onestà di dire che non basta ripetere il no alla guerra. Bisogna prima dire no al terrorismo, e non basta nemmeno questo, perché rimane una domanda che ha bisogno di una risposta: come difendiamo le nostre democrazie sotto attacco? E´ una risposta che tocca insieme all´Europa e all´America, perché l´attacco a Londra, dopo Madrid e New York universalizza la minaccia ma rende visibile anche il bersaglio comune, ci fa capire che la democrazia è sistema, e in realtà siamo cittadini di singoli Stati, di un´Europa che non riesce a compiersi, ma soprattutto di un´unica cultura democratica da difendere.
E c´è un ultimo passaggio. Se questa sequenza di terrore ci fa finalmente sentire parte di un sistema formato dalle democrazie e dai loro popoli, dobbiamo ricordarci che quel sistema esiste, si chiama Occidente, è il deposito dei nostri valori e di diritti che crediamo universali. Chi ancora si chiede cos´è l´occidente, segua il perimetro tracciato dal terrorismo, da New York a Madrid a Londra, e lo prolunghi fin dove lo spinge la logica o la paura.
Ripeto: i terroristi lo sanno, e oscuramente cercano di sfigurarci attaccando la nostra identità civile, storica, culturale, quella che ogni giorno riempie gli uffici, manda i bambini a scuola, riunisce i parlamenti, crede nella democrazia delle istituzioni e dei diritti. Ciò che Blair e gli altri leader ieri hanno detto di voler difendere. Quella civiltà quotidiana che i cittadini di Londra ieri hanno testimoniando muovendosi a piedi come durante la guerra, nella città fermata dal terrore: camminando per andare al lavoro, per tornare a casa, semplicemente per far continuare la normalità democratica della nostra vita di cittadini.


MA LE ARMI NON BASTANO
BERNARDO VALLI

STUPORE e inquietudine, oltre al dispiacere per le vittime inermi, dominano in queste ore le tante, diverse emozioni suscitate dalle esplosioni di Edgware road, di King´s Cross, di Russel Square, di Liverpool Street. Il terrorismo, contro il quale la superpotenza, affiancata sul terreno da non troppi alleati, è in guerra, ha sferrato una sanguinosa offensiva nella più smagliante capitale di questa stagione europea, nella Londra che vive un´invidiata crescita economica. E che, fino a ieri mattina, quando sono scoppiate le prime bombe nella metropolitana, era ancora in preda all´euforia per il trionfo olimpico del giorno prima. Il terrorismo (la cui azione è stata rivendicata da una nuova organizzazione, "al Qaeda per la Jihad in Europa") ha fatto esplodere i suoi ordigni proprio mentre i leader dell´Occidente convenuti a consiglio nel Regno Unito, stavano avviando i colloqui del G8, in un lussuoso eremo scozzese. Con grande puntualità il terrorismo è arrivato fin sotto le mura di coloro che si considerano i "potenti della Terra", e ha lanciato la sua sfida. Una sfida che potremmo definire spettacolare, e persino audace, se non fosse stata attuata con tanta viltà e con tanto spargimento di sangue innocente.

PER leggere l´inquietudine e lo stupore, bastava guardare le facce di Bush, di Chirac, di Schroeder, di Putin e degli altri, schierati alle spalle di Blair, quando il primo ministro, con toni fermi ma le mascelle contratte, si è rivolto al Paese per denunciare il "barbaro" attacco. Le gravi, chiuse espressioni dei leader occidentali nascondevano a stento le emozioni provocate dalle scene nella Londra ferita che si alternavano sui teleschermi della Bbc e di Sky News: gente sconvolta; uomini e donne a volte con bende macchiate di sangue, appena sfuggiti ai tunnel devastati della metropolitana; testimoni emozionati nel raccontare, ma senza lacrime o gesti di disperazione. La dignità era presente per le strade di Londra. Dove si moltiplicavano le immagini di una guerra che, ricordando la strage di Madrid, è ormai da tempo anche europea.
Per i leader affiancati a Blair le scene londinesi prefiguravano quelle che potrebbero verificarsi nelle loro rispettive capitali. Nel comunicato i terroristi (di Al Qaeda per la Jihad in Europa) hanno avvertito che colpiranno l´Italia e la Danimarca, se non ritireranno le truppe dall´Iraq. La Gran Bretagna è stata "punita" per questo. È difficile non partecipare allo stupore e soprattutto all´inquietudine degli ospiti al G8. È inevitabile condividere i loro sentimenti, se si ripercorre quel che è accaduto negli ultimi anni, osservando le scene della Londra ferita. Due guerre al terrorismo, non ancora concluse, hanno esteso il suo raggio d´azione invece di ridurlo. E tuttavia à impossibile, adesso, abbassare la guardia. Non si può certo gettare la spugna.
Davanti alle Torri Gemelle che si sgretolavano nel cuore di New York restammo senza fiato. Increduli. Nei primi minuti stentammo persino a prendere sul serio quello spettacolo, troppo simile a un film di fantascienza per essere reale. L´11 settembre 2001 ci colse di sorpresa. Impreparati. Fu evocato l´attacco giapponese di Pearl Harbour, che trascinò gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. E allora, infatti, George W. Bush dichiarò pure lui la guerra a quel terrorismo, ben diverso da quello artigianale di un tempo, che aveva osato violare il santuario americano. Essendo le sue radici e il suo cervello nella patria dei Taliban, fu invaso l´Afghanistan. Le fortezze volanti, i famosi B52 che avevano arato le risaie del Vietnam e le foreste della Cambogia, cominciarono a martellare le montagne innevate dell´Asia centrale, dove si nascondeva e pare si nasconda ancora Bin Laden. Dalle alture di Tora Bora, non tanto lontano dal Pakistan, seguii i titanici attacchi dei bombardieri che non riuscivano neppure a scalfire le vette rocciose dell´Indokush. Ebbi allora l´impressione di assistere a una assurda guerra tra la tecnologia e la natura.
Nella primavera del 2003, dopo avere dato un volto al Male, e avere identificato in Saddam Hussein il terrorismo inafferrabile, una delle più potenti armate della storia ha poi invaso l´Iraq. Ma l´odioso dittatore sconfitto e poi imprigionato non incarnava il terrorismo. Era un´altra cosa. Non era l´obiettivo giusto. E il terrorismo, dopo l´invasione dell´Iraq, ha trovato un´altra patria, si è annidato nella guerriglia sorta per combattere le truppe straniere. Le quali sono rimaste intrappolate in un conflitto cronico, dal quale non possono uscire, se non col disonore, prima di avere creato uno Stato iracheno viabile.
L´11 marzo 2OO4, mentre a Bagdad si ricordava tra le bombe l´anniversario dell´inizio della guerra, gli europei hanno subito la prima grande offensiva terroristica sul loro continente. Il massacro di Madrid ha rivelato la vulnerabilità dell´Europa. Londra, poco più di un anno dopo l´ha confermata. Ma stupisce adesso, e inquieta, più di allora, la capacità dei terroristi di infiltrarsi e agire nel cuore di Londra, in una Gran Bretagna setacciata dai servizi segreti, con un´attenzione particolare, in occasione del vertice del G8. Quattro anni dopo la guerra decretata l´11 settembre il terrorismo, designato genericamente con il nome di Al Qaeda, è una piovra con innumerevoli tentacoli, che tagliati si riformano puntualmente. Le cellule, autonome ma solidali, non faticano troppo a trovare nuove reclute.
Ed è un esercizio inutile denunciare il fanatismo. Gli anatemi occidentali servono soltanto ad alimentarlo. Gli avversari, inclusi i peggiori, i più perfidi, vanno studiati. Combattuti e studiati nelle loro motivazioni. Lo dice la ragione. Opporre il fanatismo al fanatismo non serve. Le armi, anche le più potenti, non sono sufficienti. La prova è nei fatti: le grandi potenze occidentali, dotate delle tecnologie più avanzate, dopo quattro anni di lotta al terrorismo, non riescono a impedire che esso paralizzi la più grande metropoli d´Europa, mentre i "potenti della Terra" si riuniscono a un´ora di elicottero. Ci deve essere qualcosa di sbagliato. C´è da augurarsi che, traumatizzati dalle esplosioni, i leader riuniti in Scozia studino e trovino una strategia più efficace. Perlomeno una più intensa collaborazione. Quella esistente non basta. È evidente.