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Il terrorismo
attacca Londra
Bombe su bus e metrò: decine di morti, centinaia di feriti. «Marchio di Al
Qaeda». Blair: non vinceranno
DAI NOSTRI INVIATI LONDRA - Un tranquillo inizio di una qualunque giornata
lavorativa. Poi, tra le 8.51 (9.51 in Italia) e le 9.47 a Londra si scatena
l’inferno: tre bombe esplodono nella metropolitana (tra le stazioni di Liverpool
Street e Aldgate, tra King’s Cross e Russell Square e alla fermata di Egdware
Road) e una in un autobus. La gente si riversa fuori dal metrò, sotto choc,
insanguinata. Tutti i trasporti sono paralizzati, la polizia e le forze armate
pattugliano la città.
Il primo bilancio, ancora provvisorio, è di 38 morti e di 700 feriti, alcuni dei
quali gravi. Nessuno ha dubbi: l’attentato è opera di Al Qaeda. Tony Blair: «Non
vinceranno» (foto Ap) .
Da pagina 2 a pagina 15 Alberizzi, M. Caprara, Imarisio, Nicastro, Persivale
Bombe e terrore
Decine di morti su bus e metrò
LE ESPLOSIONI Dalle 8.51 alle 9.47 Londra viene squassata quattro volte da
altrettante esplosioni che provocano vittime e feriti nei vagoni della metrò e
su un autobus a due piani
L'ESODO Centinaia di migliaia di persone, che stavano andando al lavoro in
metrò, fuggono dai tunnel sotterranei e si riversano per le strade. Molti sono
feriti e vengono soccorsi
IL BILANCIO L'ultimo elenco delle vittime e dei feriti, fornito dalla polizia
inglese alle 22 e definito ancora provvisorio, parla di 37 morti e 700 persone
ricoverate negli ospedali londinesi
E' successo tutto in un'ora, in 5 chilometri quadrati di città La fuga della gente, la paura, la strategia militare dell'attacco
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI LONDRA — Quando comincia a piovere, Fiona Prynn avvolge il braccio sinistro ferito dalle schegge in un foglio di giornale. E' la pagina dell'Evening Standard, celebra le Olimpiadi: «Il giorno più bello per Londra», è il titolo. La ragazza scuote i riccioli rossi, si sistema sul naso gli occhialini, una lente è incrinata. La protezione al braccio si sta macchiando di sangue. «Vado a casa», dice. «Sapevamo che sarebbe successo» aggiunge senza enfasi. Poi inforca la bicicletta che le ha portato un amico e si prepara ad andare verso casa, come stanno facendo tutti gli altri, i sopravvissuti e i curiosi, invitati a circolare dalla polizia, non c'è niente da vedere, ripetono gli agenti con i megafoni. Allontanarsi, da Gowan street, ultimo avamposto prima degli sbarramenti che hanno chiuso una fetta del centro della città, risalire verso Oxford street, il cuore di Londra, e «comportarsi normalmente, nonostante quel che è successo», come urla un ufficiale a una studentessa che sta piangendo. E' successo tutto in un'ora, in un fazzoletto di città largo cinque chilometri quadrati e vissuto soprattutto da turisti e impiegati. Alle 8.51 la prima bomba è esplosa sul metrò che porta alla City, tra le stazioni di Aldgate East e Liverpool Street. Cinque minuti dopo è toccato ad un treno della linea Piccadilly, tra Russell Square e King's Cross. La bomba delle 9.17 sul convoglio che entra nella stazione di Edgware Road ha sventrato un muro, colpendo un altro treno in movimento. Tutto sottoterra, niente fumo che esce dall'imbocco delle stazioni, solo gente che fugge. Nessuno capiva nulla, tutti confusi da altri scoppi causati da un cortocircuito. Mancavano 13 minuti alle dieci quando i londinesi hanno compreso, non c'era nessun guasto, stava accadendo ciò che, in qualche maniera, si aspettavano che prima o poi sarebbe accaduto. In quell'istante, i soccorritori risalivano verso Russell Square quando hanno sentito un nuovo botto, questa volta chiaro come uno sparo. Arrivava da vicino, da Tavistock Square, duecento metri in linea d'aria. L'autobus rosso a due piani, il muso aperto, le lamiere penzolanti all'esterno, l'hanno visto tutti, in diretta. Dal finestrino pende un corrimano, usato da qualcuno per rompere i vetri e fuggire. L'autobus era carico di gente evacuata dal metrò dopo le prime esplosioni, persone stravolte e ferite che pensavano di avercela fatta. La sequenza degli attentati sarà chiara alla fine della giornata, dopo ore passate a speculare sul numero di esplosioni, nel tentativo di esorcizzare la verità. E con la ricostruzione, arriva anche il bilancio, purtroppo provvisorio, perché quello delle ambulanze e degli ospedali supera in peggio le cifre fornite dal governo (37 vittime), e dice: più di 23 morti sotto il suolo di King's Cross, 7 quelli accertati per ora a Edgware Road, 7 ad Aldgate, e più dei due che dicono le autorità sull'autobus. Oggi si vedrà, si conterà ancora. Dicono che la bomba sull'autobus sia scoppiata per errore, sostengono in realtà che il presunto kamikaze stesse scappando dal metrò, dove cercava di sistemare l'ordigno, preso di sorpresa dalle altre esplosioni. Può essere. Sembra che altre due bombe, intatte, siano state trovate lungo i binari del metrò, segno che la strage doveva essere più ampia, doveva davvero essere l'incarnazione delle paura degli inglesi. Un undici settembre o un undici marzo londinese, con la dubbia rivendicazione di al Qaeda arrivata via Web a dare un volto, il solito, al nemico. «Rallegrati nazione dell'Islam, perché è giunto il tempo della vendetta contro il governo britannico, crociato e sionista». Quello che però è chiaro fin da subito emerge dal tono di voce dei sopravvissuti. La voce calma e pacata di Belinda Seabrook che racconta del «bang» sull'autobus di fronte al suo, in Tavistock Place: «Ho sentito il fragore, mi sono girata di scatto e ho visto il bus per aria, sembrava prendesse il volo». O la serenità di Robert Andrews, uno studente di 28 anni che alle 18 è ancora sui gradini dell'University College Hospital a chiedere se può dare una mano, anche come barelliere. «Io ero appena sceso sulla banchina. Ho visto due corpi per terra sui binari, le porte del convoglio erano ancora più in là, a venti metri dal resto del vagone. Le lamiere del tetto erano divelte, attorcigliate. Mi è venuta in mente la strage di Madrid» .
Blair, dolore e
rabbia: «Non vinceranno»
Il primo ministro britannico, leader «in guerra» contro il terrorismo: «La
nostra determinazione è più grande»
DA
UNO DEI NOSTRI INVIATI GLENEAGLES (Scozia) — Alle 8.51, tutto cambia. Guarda
Tony Blair: proprio alle 8.51, quando crede che la giornata porterà successi
politici e accordi planetari, è lì nel sole del parco di Gleneagles, a scherzare
con il presidente George Bush. In fondo, non saranno quattro ragazzi che
s'accapigliano con la polizia a incrinare le conquiste di questo G8 così
fortemente voluto. Bush, accanto, ride del minimo accidente della sera prima e
spiega, ilare, che la giornata «è ottima per andare in bicicletta» . Dopo pochi
minuti il mondo è cambiato: Blair non fa partire i lavori, perché da Londra
vengono notizie confuse e spaventose. Infine, è buio a mezzogiorno: «I
terroristi sappiano che la nostra determinazione a difendere i nostri valori e
la qualità della nostra vita è più grande della loro determinazione a causare
distruzione e la morte di persone innocenti» . È lo stesso Blair, ma non pare:
le occhiaie sono caverne che rivelano lo shock, la voce ha scatti irregolari che
tradiscono una gelida rabbia. Alle 8.51 tutto è cambiato, perché Tony Blair ( e
noi con lui) non è più quello di prima. Naturalmente il terrorismo, in passato,
non deviava il corso della storia: perfino Gavrilo Princip, in fondo, accese
solo una miccia che non aveva bisogno di Sarajevo. Ma da qualche anno, dall'11
Settembre, il terrorismo ha sfondato i cancelli della politica: perché le nostre
vite non cambino, come nel paradosso del Gattopardo, dobbiamo cambiare le nostre
vite. È accaduto in America, accadrà a Londra. Perché Blair, l'uomo dal tocco
magico che ha conquistato le Olimpiadi del 2012, non è stato capace di fermare
una banda di canaglie. Il premier che vorrebbe convertire l'Europa al
pragmatismo britannico non ha impedito l'agguato annunciato e definito, perfino,
«inevitabile» . Il leader che vuole risanare malanni planetari s'è fatto
cogliere in contropiede: «Quest'attacco barbarico avviene nel giorno in cui
s'affrontano i problemi dell'Africa e dell'ambiente» dice quasi infuriato. Non
c'è paura negli occhi di Blair, c'è offesa. E sfida. Si potrebbe fare, in quegli
occhi e in quelle parole, la cronaca della giornata. Al mattino Blair ha ancora
addosso l'allegria del giorno prima, del successo nella gara alle Olimpiadi e
della cena con la regina Elisabetta. Si concede nel ruolo che predilige, quello
d'interprete del presidente Bush. L'americano dice a mezze parole che ormai gli
Stati Uniti accettano la responsabilità dell'uomo nell'effetto serra, e Blair
traduce: si troverà il consenso a Gleneagles, sui rimedi da prendere. Poi Blair
scompare: le notizie da Londra iniziano a gocciolare, il deragliamento d'un
treno si rivela un incidente in galleria, la scarica elettrica diventa
un'esplosione, due esplosioni, tre esplosioni. L'efficiente ufficio di Downing
Street, salito a Gleneagles, arranca: i portavoce non si fanno trovare. Poi
l'annuncio: Blair parlerà alla nazione a mezzogiorno in punto. Ormai sappiamo
che cosa è successo, dal premier vogliamo sapere che cosa succederà. Eccolo,
Blair. C'è commozione in chi l'ascolta, ma non ancora in chi parla: « È
abbastanza chiaro che c'è stata una serie di attacchi terroristici. Ci sono
ovviamente vittime, e le nostre preghiere vanno a loro e alle loro famiglie» .
Ha compiuto una scelta veloce ma ardua, immediata ma carica di conseguenze:
impossibile continuare il G8 come se nulla fosse successo, impossibile
sospendere il G8 come se il terrorismo avesse vinto. «Lascerò il G8 entro un
paio d'ore, andrò a Londra per avere un rapporto, di persona, dalla polizia, dai
servizi d'emergenza, dai ministri impegnati, quindi ritornerò stasera» . È il
segno che il premier ha il controllo della situazione, la controprova che
l'ordine civile riprende il sopravvento sul disordine eversivo. La Camera dei
Comuni si riunisce in seduta immediata, gli ospedali lavorano a pieno ritmo,
perfino gli asili entrano in emergenza: con i trasporti bloccati non c'è fretta
di andare a riprendere i bambini, avverte la polizia, perché le maestre
resteranno finché c'è bisogno. La città e la nazione mostrano tempra, ma ancora
non ricevono dal premier l'abbraccio che vorrebbero. Imprevedibilmente, quell'abbraccio
viene da Ken Livingstone, il sindaco di Londra, che tante volte con Blair ha
litigato e adesso sa trovare le parole giuste: «Sappia chi ha compiuto quest'attacco
vigliacco che non ha colpito i potenti della terra, ma normali lavoratori di
Londra: cristiani e musulmani, indù ed ebrei, bianchi e neri, vecchi e giovani»
. Blair, invece, è ancora preso dal ruolo. Passa un'ora e torna alle telecamere.
Dietro a lui, schierati, gli altri sette leader, più i capi di cinque Paesi
ospiti: la maggioranza dell'umanità lo sostiene, Chirac da un lato e Bush
dall'altro, mentre legge il comunicato ufficiale — «i terroristi non vinceranno,
noi continueremo le nostre deliberazioni per un mondo migliore» — e china il
capo in un minuto di silenzio. Le telecamere della Bbc riportano immagini di una
Londra spaventosamente vuota, la gente si chiude in casa, la regina fa abbassare
a mezz'asta l'Union Jack su Buckingham Palace. Blair parte per Londra. Abbiamo
visto tanti diversi Blair, negli anni, e gli abbiamo appuntato tante etichette:
l'hanno chiamato Bambi, quando pareva fragile, o Stalin, quand'era duro con il
partito. Oggi vediamo un Blair di guerra: a Londra presiede il Cobra, il
comitato d'emergenza che riunisce ministri e servizi segreti, poi torna in
video, davanti al caminetto di Downing Street: « È un giorno triste per la Gran
Bretagna, ma non rinunceremo al nostro modo di vivere» . Ora, finalmente, parla
al cuore del Paese: «La nazione ha reagito con stoicismo. I terroristi esprimono
i loro valori nel modo che vediamo, noi esprimiamo i nostri come sappiamo: con
la nostra quieta forza» . È un Blair comprensivo ma deciso, umano però
determinato. Si sta creando l'ultima etichetta, che forse gli appunteranno i
tabloid: un Churchill, premier di guerra. Per restare quello che è, il Regno
Unito dovrà cambiare, e già si fa il ritratto di come sarà: chi s'opporrà alla
carta d'identità, malgrado la tradizione, o alla detenzione senza processo,
anche nella patria dell' « habeas corpus » ? Chi non giustificherà perquisizioni
e identificazioni? Prima di tornare in Scozia, Blair visita la centrale di
Scotland Yard. D'ora in poi, sarà la polizia il cuore della politica. È questo
che volevano i terroristi sanguinari?
Alessio Altichieri
IL
DISCORSO DEL PREMIER
«Giorno molto triste, ma il mondo è con noi e con i
nostri valori»
E'
importante che i terroristi comprendano che la nostra determinazione nel
difendere i nostri valori è più forte del loro desiderio di imporre l'estremismo
all'intero pianeta Riportiamo alcuni estratti dei discorsi tenuti ieri dal primo
ministro britannico Tony Blair a Gleneagles e a Londra. È mia intenzione
lasciare il G8 e recarmi a Londra per avere un rapporto diretto dalla polizia,
dai servizi d'emergenza e dai ministri che stanno affrontando questo evento, per
poi tornare a Gleneagles in serata. È desiderio di tutti i leader del G8, ad
ogni modo, che il vertice prosegua in mia assenza, che continuiamo a discutere
gli argomenti che intendevamo discutere e giungere alle conclusioni che dovevamo
raggiungere. Ciascuna delle nazioni presenti al tavolo delle trattative ha avuto
esperienza degli effetti del terrorismo. Tutti i leader condividono la nostra
totale determinazione a sconfiggere il terrorismo. È particolarmente brutale che
tutto ciò sia accaduto in un giorno nel quale ci si incontra per trovare il modo
di contribuire a risolvere la povertà in Africa e i problemi di lungo termine
collegati ai cambiamenti climatici e all'ambiente. Questi attacchi terroristici
sono stati concepiti in modo da coincidere con l'apertura del G8. È importante
che i terroristi comprendano che la nostra determinazione a difendere i nostri
valori e il nostro modo di vivere sono più forti del loro desiderio di provocare
morte e distruzione tra persone innocenti e di imporre l'estremismo al mondo
intero. Qualunque cosa facciano i terroristi in futuro, è nostra determinazione
far sì che non riescano mai a distruggere ciò che amiamo in questo Paese e nelle
altre nazioni civili del mondo. Con i leader del G8 siamo uniti ad affrontare e
sconfiggere il terrorismo. Non consentiremoalla violenza di modificare la nostra
società e i nostri valori né di fermare il nostro lavoro in questo summit. È un
giorno molto triste per la popolazione britannica. Attraverso il terrorismo,
coloro i quali si sono macchiati di questo atto orribile esprimono i loro
principi ed è esattamente in questo momento che noi esprimiamo i nostri. Tentano
di usare il massacro di persone innocenti per intimidirci, per terrorizzarci e
far sì che smettiamo di fare ciò che desideriamo, che sospendiamo il nostro
lavoro quotidiano. Non devono riuscire nel loro intento. Lo scopo del terrorismo
è esattamente questo, terrorizzare le persone. Noi non ci lasceremo
terrorizzare.
(traduzione di Maria Serena Natale)