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MICHEL ONFRAY  perché Dio non muore mai, L´immaginario resiste molto più del vero LA REPUBBLICA  08 SETTEMBRE 2005
 
 
 
 
 
L´autore è un ex professore di liceo ed ha avuto un grande successo in Francia
Esce un "Trattato di ateologia" che si legge come un polemico breviario irreligioso
Dirsi ateo è difficile , il termine implica una negazione, un vuoto
L´ultima divinità sparirà soltanto con l´ultimo uomo
 
 

Dio è morto? È da vedere. Una buona novella come questa avrebbe dovuto produrre effetti solari di cui si aspetta sempre, e invano, la minima prova. Al posto di un campo fecondo scoperto da una simile scomparsa si constata piuttosto il nichilismo, il culto del niente, la passione del nulla, il gusto morboso del notturno tipico di civiltà che finiscono, il fascino per gli abissi e i buchi senza fondo nei quali si perde l´anima, il corpo, l´identità, l´essere e ogni interesse per qualunque cosa. Quadro sinistro, apocalissi deprimente.
La morte di Dio è stata un gadget ontologico, un facile colpo a effetto, consustanziale a un XX secolo che vedeva la morte dovunque: morte dell´arte, morte della filosofia, morte della metafisica, morte del romanzo, morte della tonalità, morte della politica. Si decreti quindi oggi la morte di queste morti fittizie! Un tempo queste false notizie servivano a qualcuno per allestire scenografie di paradossi prima di cambiare la casacca metafisica. La morte della filosofia rendeva possibili libri di filosofia, la morte del romanzo generava romanzi, la morte dell´arte opere d´arte ecc. La morte di Dio ha scatenato la gara a produrre sacro, divino, religione. Noi nuotiamo in quest´acqua lustrale.
Chiaramente, l´annuncio della fine di Dio è stato tanto più tonitruante quanto più era falso. Squilli di tromba, annunci teatrali, si è suonata la grancassa facendo festa troppo presto.
L´epoca crolla sotto informazioni venerate come il verbo autorizzato di nuovi oracoli e l´abbondanza va a scapito della qualità e della veracità: mai così tante false informazioni sono state celebrate come altrettante verità rivelate. Per ottenere l´accertamento della morte di Dio, sarebbero stati necessari indizi, prove, corpi del reato. Ma tutto questo manca.
Chi ha visto il cadavere? A parte Nietzsche, e neanche...Come nell´opera di Ionesco, avremmo subito la sua presenza e la sua legge; esso avrebbe infestato, ammorbato, appestato, si sarebbe sfatto a poco a poco, giorno dopo giorno, e noi avremmo assistito a una vera decomposizione - anche nel senso filosofico del termine. Invece di tutto ciò, il Dio invisibile da vivo è rimasto invisibile anche da morto. Effetto annuncio. Siamo ancora in attesa delle prove. Ma chi potrà fornirle? Quale nuovo folle per questo impossibile compito?
Dio infatti non è né morto né moribondo - contrariamente a quanto pensavano Nietzsche e Heine. Né morto né moribondo perché non mortale. Una finzione non muore, un´illusione non trapassa mai, un racconto per bambini non si confuta. Né l´ippogrifo né il centauro subiscono la legge dei mammiferi. Un pavone e un cavallo sì: un animale del bestiario mitologico no. Dio appartiene al bestiario mitologico, come migliaia di altre creature registrate sotto uno degli innumerevoli lemmi dei dizionari, tra Demetra e Dioniso. Il sospiro della creatura oppressa durerà quanto la creatura oppressa, cioè sempre (...).
Non si uccide un soffio, un vento, un odore, non si uccide un sogno, un´aspirazione. Dio fabbricato dai mortali a loro immagine ipostatizzata non esiste se non per rendere possibile la vita quotidiana, nonostante il cammino di tutti verso il nulla. Fin quando gli uomini moriranno, una parte di essi non potrà sopportare questa idea e inventerà dei sotterfugi. Non si assassina un sotterfugio, non lo si uccide. Piuttosto potrebbe essere lui a uccidere noi: poiché Dio manda a morte tutto ciò che gli resiste. In primo luogo la ragione, l´intelligenza, lo spirito critico. Il resto segue per reazione a catena.
L´ultimo Dio sparirà con l´ultimo uomo. E con lui spariranno il timore, la paura, l´angoscia, macchine per creare divinità. Il terrore di fronte al nulla, l´incapacità di considerare la morte come un processo naturale, inevitabile, col quale è necessario venire a patti, davanti al quale solo l´intelligenza può essere efficace, ma anche il diniego, la mancanza di senso all´infuori di quello che noi stessi diamo, l´assurdità a priori: sono questi i fasci genealogici del divino. La morte di Dio presuppone l´addomesticamento del nulla.
Noi siamo lontani anni luce da un tale progresso ontologico.

* * *

Dunque Dio durerà quanto le ragioni che lo fanno esistere; i suoi negatori anche. Ogni genealogia appare fittizia: non esiste una data di nascita per Dio, e neanche per l´ateismo pratico - per quello teorico il discorso è diverso. Proviamo ad avanzare una congettura: il primo uomo - altra finzione - che afferma Dio, deve al tempo stesso o successivamente e alternativamente non credervi. Il dubbio coesiste con la credenza. Il sentimento religioso abita probabilmente lo stesso individuo tormentato dall´incertezza o ossessionato dal diniego. Affermare e negare, sapere e ignorare: un tempo per la genuflessione, un altro per la ribellione, e in funzione delle occasioni creare una divinità o bruciarla.
Dio sembra dunque immortale (...).
E l´ateo? La negazione di Dio e dell´aldilà occupa probabilmente una parte dell´anima del primo uomo che crede. Rivolta, ribellione, rifiuto dell´evidenza, irrigidimento di fronte alle decisioni del destino e della necessità, la genealogia dell´ateismo sembra altrettanto semplice di quella della credenza. Satana, Lucifero, il portatore di chiarezza - il filosofo emblematico dei Lumi -, colui che dice no e non vuole sottomettersi alla legge di Dio, si sviluppa in contemporanea in questo periodo fecondo. Il diavolo e Dio rappresentano le due facce di una stessa medaglia, come teismo e ateismo.
E tuttavia il termine non è antico e la sua accezione precisa - la posizione di chi nega l´esistenza di Dio se non come finzione costruita dagli uomini per cercare di sopravvivere malgrado l´ineluttabilità della morte - è tardiva in Occidente. Certo, l´ateo esiste nella Bibbia - Salmi (10, 4 e 14, 1) e Geremia (5, 12) -, ma nell´antichità esso designa talora non chi non crede in Dio, ma colui che non accetta gli dèi dominanti del momento, le loro forme socialmente stabilite. Per molto tempo l´ateo è la persona che crede a un dio affine, straniero, eterodosso. Non l´individuo che svuota il cielo, ma colui che lo popola con le proprie creature.
In tal modo l´ateismo serve politicamente ad allontanare, identificare o fustigare l´individuo che crede a un dio diverso da quello che l´autorità del momento e del luogo invoca a sostegno del suo potere. Poiché un Dio invisibile, inaccessibile, dunque silenzioso riguardo a ciò che gli si può far dire o addossare, non si ribella quando qualcuno si pretende investito da lui per parlare, decretare, agire in suo nome, per il meglio o per il peggio. Il silenzio di Dio permette la chiacchiera dei suoi ministri che usano e abusano dell´epiteto: chiunque non crede al loro Dio, dunque a loro, diventa immediatamente un ateo. Dunque il peggiore degli uomini: l´immoralista, il detestabile, l´immondo, l´incarnazione del male. Da rinchiudere all´istante o da torturare, da mettere a morte.
Perciò dirsi ateo è difficile; atei si è chiamati, e sempre nella prospettiva insultante di un´autorità impaziente di condannare.
D´altronde la costruzione del termine lo precisa: a-teo. Prefisso privativo, il termine implica una negazione, una mancanza, un buco, un atteggiamento di contrapposizione. Non esiste nessun termine per qualificare positivamente colui che non si sottomette alle chimere se non questa costruzione linguistica che inasprisce l´amputazione: a- teo, dunque, ma anche mis-credente, a-gnostico, non-credente, ir-religioso, in-credulo, a-religioso, em-pio (all´appello manca l´a- ddio!) e tutti i termini che da essi derivano: irreligione, miscredenza, empietà ecc. Niente per indicare l´aspetto solare, affermativo, positivo, libero, forte dell´individuo che si colloca oltre il pensiero magico e le favole.
L´ateismo rientra dunque tra le creazioni verbali dei deicoli. La parola non deriva da una decisione volontaria e sovrana di una persona che si definisce con questo termine nella storia. L´ateo qualifica l´altro che rifiuta il dio locale al quale tutti o la maggior parte credono. E hanno interesse a credere, perché l´esercizio teologico nel chiuso dello studio si regge sempre su milizie armate, polizie esistenziali e soldati ontologici che dispensano dalla riflessione ed esortano a credere al più presto e molto spesso a convertirsi.
Baal e Jahwèh, Zeus e Allah, Ra e Wotan, ma anche Manitù devono i loro patronimici alla geografia e alla storia: secondo la metafisica che li rende possibili, essi designano con nomi diversi una sola e identica realtà fantasmatica. Ma nessuno è più vero di un altro, poiché tutti vivono in un pantheon di allegri compagni di fantasia, dove banchettano Ulisse e Zarathustra, Dioniso e Don Chisciotte, Tristano e Lancillotto, figure magiche come la volpe dei dogon e i loa vudù.