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La difficile convivenza con la
libertà
di Giuliano Amato
da "La
Repubblica" 22
Luglio 2005
La sicurezza, che fondamentalmente consiste nel poter vivere la propria vita
quotidiana (e quindi dormire nella propria casa, camminare per la strada,
viaggiare, incontrare altre persone) senza sentirsi a rischio, è il presupposto
essenziale della libertà. Ma la tutela della sicurezza comporta limitazioni
della libertà, o quanto meno di alcune delle sue principali estrinsecazioni. E´
un circolo vizioso, che negli ultimi secoli ha cercato di spezzare la democrazia
liberale, con il suo assunto e con le regole che ne sono seguite: più si
promuove e si garantisce la libertà di tutti coloro che vivono insieme, più si
diminuiscono i nemici del regime comune e conseguentemente si diminuiscono i
rischi per la sicurezza. Gli organi di polizia, vegliando contro la criminalità
comune, veglieranno sulla libertà di tutti gli altri.
Non è un sogno, al contrario ha dimostrato di essere, in più paesi e in più
periodi della nostra storia recente, una realizzazione effettiva. E del resto,
il confronto con i regimi totalitari convalida l´assunto della democrazia
liberale. Quei regimi, infatti, sono ben consapevoli di tenere in implosione
opposizioni interne crescenti e proprio per questo ne prevengono e ne reprimono
le manifestazioni con limitazioni molto rigide delle libertà di tutti; anche
perché tutti possono essere, o divenire, dei loro nemici.
Nella stessa democrazia liberale, però, il confine della libertà non è affatto
nitido e non lo è per un retaggio mai rimosso, che risale alla madre di tutte le
democrazie, quella ateniese, nella quale i diritti notoriamente valevano per i
cittadini, ma non per i barbari. Non dovrebbe essere così al nostro tempo,
almeno da quando, con il più rivoluzionario dei principi mai entrati nella
storia, abbiamo proclamato una tavola di diritti universali. E tuttavia,
qualcosa, ed anzi ben più di qualcosa, è rimasto, lasciando un grumo irrisolto
nei rapporti fra sicurezza e libertà anche nelle democrazie contemporanee.
La permanenza del grumo la si avverte proprio nelle situazioni nelle quali la
sicurezza appare a repentaglio, non per le "ordinarie" scorrerie della ordinaria
criminalità, ma per eventi o vicende di più generale portata, che rivolgono la
loro minaccia contro i pilastri stessi del regime democratico: l´attacco bellico
di uno Stato ostile, moti eversivi interni e al limite lo stesso dilagare della
criminalità comune, oggi il terrorismo internazionale. In tali situazioni, non
solo si hanno restrizioni della libertà di tutti i cittadini, che essi sono
indotti ad accettare proprio perché ne avvertono la connessione con la sicurezza
a rischio (il coprifuoco, i controlli per salire su un aereo, i blocchi
stradali) ma restrizioni più intense sono riservate a coloro che vengono
ricondotti al "nemico"; e non soltanto a chi si manifesta come tale, ma anche a
chi si sospetta possa essere dalla sua parte (gli italiani e i giapponesi chiusi
negli Stati Uniti in campi di concentramento durante la seconda guerra
mondiale). E´ qui che il grumo risalente alla antica distinzione fra cittadini e
barbari si fa cogliere nel modo più evidente. Ed è così che la contraddizione
fra sicurezza e libertà riemerge nella stessa democrazia liberale.
Come arginarla? Gli addetti ai lavori sanno che gli argini sono costituiti da
due diversi principi, da un lato il principio di proporzionalità, dall´altro
l´irrinunciabile rispetto per taluni diritti fondamentali, imposto da quella
universalità degli stessi diritti, che ci distingue, o ci dovrebbe distinguere,
dagli antichi. Le restrizioni che possono investire la generalità dei cittadini
e quindi le potenziali vittime degli attentati alla sicurezza, sono
sufficientemente calibrate, e quindi arginate, dal principio di proporzionalità,
di cui gli stessi cittadini, i loro rappresentanti elettivi e autorità ad hoc
che tutelano questa o quella libertà, sanno farsi interpreti e ascoltati
difensori. Vi sono così restrizioni alle quali, in parte in ragione della
criminalità, in parte crescente in ragione del terrorismo, ci stiamo abituando,
dalle telecamere che ci vedono in tanti momenti della nostra vita privata, al
divieto di portare forbicine in aereo, sino alle impronte digitali, che una
volta pensavamo riservate a coloro che, fra noi, si trasformavano in "barbari" e
che oggi cominciamo a vedere come una tutela della nostra identità. Ve ne sono
tuttavia altre sulle quali il rispetto della proporzionalità è tutt´altro che
pacifico. L´Europa, e il suo Parlamento, hanno ritenuto che l´insieme dei dati
personali richiesti dagli Stati Uniti sui passeggeri in volo verso i loro
aeroporti andasse oltre misura. Al contrario la stessa Europa sembra pronta ad
andare oltre misura con il proposito di mettere sotto controllo tutti i messaggi
e-mail e sms, un proposito che appare oltre misura, se non altro perché la
gigantesca banca dati che ne uscirebbe andrebbe oltre la nostra stessa capacità
di farne un uso efficace.
Se ci chiediamo il perché di queste contraddizioni, ci accorgiamo che esse si
devono al fatto che le aree in cui si manifestano sono prevalentemente quelle di
confine, in cui chi propone la restrizione non pensa all´impatto sulle
potenziali vittime, ma vede coloro a cui la restrizione è destinata
esclusivamente come potenziali autori degli attentati. Ed è qui che scatta la
dicotomia cittadini/barbari: in quanto concepita per gli "altri", la restrizione
tende per ciò stesso a varcare i confini della proporzionalità, incontra,
laddove viene proposta, una dialettica meno accesa e l´unico vero argine
dovrebbe essere a quel punto il secondo di cui dicevo, e cioè l´universalità di
taluni, fondamentali diritti.
Ma qui il principio di universalità deve fare i conti con i principi che nella
storia hanno permesso di accantonarlo o sospenderlo. Si dice infatti che non può
esserci libertà per i nemici della libertà e che la democrazia non può mettere a
rischio se stessa, riconoscendo libertà e diritti a chi la vuole distruggere.
Nelle situazioni di maggiore pericolo e di più diffusa paura, sono questi i
principi più popolari e diventa "anti-patriottico" metterne in discussione le
applicazioni più estreme, chiedere se sono davvero necessarie e se valgono la
lacerazione di diritti che le nostre Costituzioni riconoscono a tutti. Il che è
accaduto e accade in due direzioni: da una parte nell´uso che viene fatto di
restrizioni di per sé ammissibili, dall´altra nella messa in campo di
restrizioni che non rispettano neppure lo zoccolo minimo dei diritti umani. Era
forse ammissibile che vi fossero negli Stati Uniti campi di concentramento per
cittadini degli stati nemici nella seconda guerra mondiale. Non fu ammissibile
che vi finissero tanti italiani e giapponesi più che leali alla bandiera a
stelle e strisce. E´ ammissibile che vi siano centri di permanenza per immigrati
su cui sono in corso accertamenti. Non è ammissibile che valgano in essi
condizioni di tipo carcerario. Non è in nessun caso ammissibile, infine, che vi
siano prigioni come Guantanamo, dove sono negati gli stessi diritti che hanno i
prigionieri di guerra, in nome di una superiore immunità del Presidente degli
Stati Uniti, che non ha alcun fondamento nelle convenzioni internazionali e
nella sua stessa Costituzione.
Ma la forza del vecchio grumo è proprio qui. Il principio della universalità dei
diritti deve la sua grandezza al fatto che chi li proclama non li riconosce
soltanto a se stesso, ma li riconosce a qualunque essere umano. Purtroppo però
dentro di noi l´adesione a tale principio è inversamente proporzionale alla
paura che abbiamo per noi stessi. Quanto più questa cresce, tanto meno siamo
sensibili ai diritti degli altri (ed entro certi limiti anche ai nostri). E
allora? Non dobbiamo difendere la nostra sicurezza? Guai se non lo facessimo. Ma
quando lo facciamo a scapito dei diritti di altri, non ci dimentichiamo mai che
anche noi siamo "gli altri degli altri"; e che come tali gli altri ci vedono.