www.segnalo.it - Saggi e Articoli
HOME PAGE |
La «fabbrica» europea dell’odio
|
Il kamikaze è solo la punta dell'iceberg. Se
emerge il kamikaze, è sulla realtà sottostante che si
deve concentrare l'attenzione. Ovvero sulla «fabbrica
dei kamikaze». Che nel caso di Londra era arcinota.
Perché già nel 2003 aveva sfornato i primi due
terroristi islamici suicidi con cittadinanza europea che
si fecero esplodere in Israele. Eppure i pur risoluti
politici inglesi, i pur efficienti servizi segreti
inglesi non sono andati oltre l'azione in superficie.
Sanzionando i burattinai del terrore più esposti e
arrestando alcune decine di militanti più frenetici. Ma
l'iceberg del terrore è rimasto sostanzialmente integro.
E attenzione: questa situazione non è limitata alla Gran
Bretagna ma investe tutta l'Europa, Italia compresa. C’è
voluto il 7 luglio per costringerci a guardare in faccia
la tragica realtà di un'Europa trasformata in «fabbrica
di kamikaze». Dove, come in una catena di montaggio, si
parte dalla predicazione che inneggia alla guerra santa,
all'indottrinamento che inculca la fede nel «martirio»,
all'arruolamento nell'esercito dei mujahidin, allo
smistamento nei campi della Jihad, fino ad approdare
all'azione terroristica.
Quando il 30 aprile 2003 Asif Mohammed Hanif, 21
anni, e Omar Khan Sharif, 27 anni, padre di due figli,
di origine pachistana, residenti a Derby, si fecero
esplodere in un caffè di Tel Aviv, provocando la morte
di tre israeliani e il ferimento di altri
cinquantacinque, l’evento fu recepito con un misto di
sorpresa e incredulità. Si commise l’errore di non
considerare quei primi due kamikaze con passaporto
britannico come la punta dell’iceberg, bensì come un
evento eccezionale. Eppure, come loro, molti altri
giovani militanti islamici erano stati imbevuti nelle
moschee di Londra dalla predicazione violenta di Omar
Bakri, ribattezzato l’ambasciatore di Osama bin Laden in
Europa, erano partiti per il Medio Oriente lasciandosi
irretire dall’indottrinamento di «guide spirituali» del
salafismo jihadista, erano stati arruolati dal movimento
estremista palestinese Hamas, fino all’esecuzione del
barbaro suicidio-omicidio. «Vogliamo offrire la nostra
vita per il bene di Allah e per vendicarci degli ebrei e
dei crociati», affermarono i due «martiri» islamici nel
loro testamento registrato in un video diffuso da Hamas
l’8 marzo 2004.
Bakri, un ideologo radicale siriano che da 18 anni vive
a Londra, lui e la sua numerosa prole, con i
sussidi sociali, commentò così l’esordio dei kamikaze
europei: «Sono anni che i nostri combattenti vanno a
fare la Jihad in Bosnia, in Afghanistan, in Kashmir, in
Cecenia e anche in Palestina. E’ vero che Asif è il
primo martire britannico in Palestina. Ma ci sono stati
altri martiri britannici in Kashmir e in Cecenia.
Attualmente abbiamo dei combattenti in Iraq che
continuano a lottare contro l’occupazione americana. Per
noi è un fatto naturale. Con il martirio noi attestiamo
che siamo un’unica nazione, che abbiamo un’unica causa e
che perseguiamo lo stesso obiettivo: la vittoria della
nazione islamica». Con inalterata tranquillità Bakri
previde uno scenario inquietante: «Certamente queste
azioni di martirio potrebbero verificarsi anche sul
territorio europeo. Le minacce proferite da bin Laden
vanno prese molto sul serio. Per lui l’Europa è un Dar
al harb , un Territorio di guerra». All’epoca Bakri
chiarì che «non saranno dei kamikaze europei a farsi
immolare sul suolo europeo. Noi abbiamo contratto un Aqd
al Aman , un Accordo di sicurezza, con le autorità
europee. Noi rispettiamo le leggi e l’ordine in Europa
fino a quando non ci perseguitano come musulmani».
Senonché in un’intervista concessa al londinese The
Times il 17 gennaio 2005, Bakri spiegò che «l’Accordo di
sicurezza, in base al quale i musulmani in Gran Bretagna
vivono pacificamente, è stato violato dal governo
tramite la sua legge anti-terrorismo».
Di conseguenza «tutta la Gran Bretagna è diventata
territorio di guerra» e «la vita e le proprietà
degli infedeli non sono più sacre». Il focoso
predicatore ordinò ai giovani islamici di arruolarsi tra
le fila di bin Laden: «Siete obbligati a seguire Al
Qaeda, le sue filiali e organizzazioni nel mondo». Tutto
ciò è avvenuto alla luce del sole. Pubblicamente. E
impunemente. Nonostante fosse già stato accertato che i
primi due kamikaze britannici erano discepoli di Bakri.
Continuando a ritenere che quella letale predicazione
dovesse essere considerata libertà di espressione e che
come tale non dovesse essere violata. La radice del male
è qui. La «fabbrica dei kamikaze» ha inizio dal lavaggio
del cervello di persone che gradualmente vengono
trasformate in robot della morte. Una struttura
integrata del terrorismo suicida islamico che ha ormai
solide radici nell’insieme dell’Europa. Ecco perché
nessun paese, compresa l’Italia, può ritenersi al riparo
dal rischio del «kamikaze made in Europe».
Magdi Allam
13 luglio 2005
|