Le nuove misure
anti-terrorismo lasciano ben sperare, avendo fatto emergere
un’ampia maggioranza politica trasversale in Parlamento. L’arresto a
Roma di un terrorista britannico in fuga dopo gli attentati del 21
luglio a Londra conferma l’efficienza del coordinamento transnazionale
nella lotta al terrorismo globalizzato. A questo punto, perché non
consolidare il fronte interno gettando le basi sane e solide
dell’islam d’Italia? Giovedì il ministro dell’Interno Pisanu ha
auspicato «la formazione di un islam italiano rispettoso della nostra
identità nazionale e delle nostre leggi». Ma il problema è come
conseguire questo traguardo.
Certamente non
possiamo prescindere dalla realtà sul terreno. Che offre il
quadro allarmante di una maggioranza di moschee gestite da movimenti
integralisti ed estremisti islamici che legittimano il terrorismo
suicida in Israele e in Iraq, che inneggiano alla jihad intesa come
guerra santa, che patrocinano un ideologismo antioccidentale e
antiebraico.
Finora l’Italia
con questa realtà ha perseguito la via del dialogo,
inevitabilmente fine a se stesso, e dell’intesa perlopiù sulle
questioni della sicurezza per prevenire il peggio. Ci si è, in
sostanza, rassegnati a uno status quo percepito come inviolabile. Lo
Stato si è mosso con lo stesso approccio descrittomi nel 1998 da
Abdelhamid Shaari, presidente della pluri-inquisita moschea di viale
Jenner a Milano, personaggio enigmatico che si professa laicomaè
partner dell’imam jihadista Abu Imad, il più temuto in Italia: «Devo
lavorare con la gente che c’è e il minestrone lo faccio con le verdure
che ho a disposizione».
In quest’ottica
abbiamo finito per considerare moderato chi non mette le bombe
in Italia, anche se non gli dispiace affatto che le bombe esplodano
altrove. Chi condanna gli attentati terroristici suicidi a Londra e
Sharm el Sheikh, ma plaude a quelli a Gerusalemme e Bagdad. Chi dice
che è impegnato nel dialogo interreligioso, ma considera haram,
peccato, stringere la mano a un ebreo.
L’ennesimo
esempio ci è offerto dalla fatwa, un responso legale islamico,
che l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in
Italia) intende rendere pubblica oggi a Bologna. Vi si afferma,
secondo il testo diffuso dall’Apcom, la legittimità del «jihad fi
sabiliLhah, sforzo sulla via di Dio, inteso anche come fisico, vuoi
militare ». Quindi «è importantissimo stabilire quale sia il jihad
lecito od obbligatorio per il musulmano che vive in Paesi nei quali
non è direttamente aggredito». Si tiene conto che «nella totalità dei
Paesi occidentali... gli ordinamenti e le leggi rendono possibile la
vita dei musulmani e le restrizioni che sono state recentemente
introdotte in alcuni Paesi, per quanto inopportune e ingiuste, non
inficiano il quadro generale di tolleranza ed eguaglianza di fronte
alla legge». «In queste condizioni— sentenza l’Ucoii —, il musulmano e
lamusulmana... sono tenuti al rispetto della legge generale, alla
lealtà e alla collaborazione nei confronti delle istituzioni».
Di fatto, l’Ucoii
annuncerà la legittimità della guerra santa e specificherà se e
quando potrebbe essere scatenata. Tutto ciò significa legittimazione
dell’uso della violenza contro lo Stato qualora i musulmani si
sentissero discriminati, tradimento della comune identità nazionale
italiana, ponendo la «comunità musulmana» come una controparte delle
istituzioni, violazione implicita dell’unicità della legge italiana
avallando la legge islamica.
Fino a quando
l’Italia continuerà a tollerare la presenza di chi si
percepisce un corpo distinto e potenzialmente antagonista allo Stato?
Non è forse arrivato il momento di sradicare questa mala pianta della
schizofrenia identitaria e della cultura della violenza? Possibile che
qualche centinaio di predicatori dell’odio possano condizionare il
futuro della nostra nazione? A questo punto l’Italia deve scegliere e
decidere: o continuare a mandar giù minestroni indigesti fino a
creparne o bonificare un terreno minato che ci vede oggi testimoni e
domani potenziali vittime. Che cosa aspettiamo a mettere fuorilegge
tutte le sigle dietro cui si celano trame eversive di movimenti
islamici internazionali e interessi occulti di Stati stranieri? Se la
Francia, lo Stato laicista per antonomasia, è pesantemente intervenuto
per disciplinare l’islam inscenando elezioni-farsa e assumendo il
controllo dei finanziamenti alle moschee, perché l’Italia continua a
restare inerte di fronte alla crescita dell’ideologia che alimenta il
terrorismo islamico? Piaccia o meno, ma storicamente e universalmente
è lo Stato che ha gestito l’islam, perché si tratta di una religione
che fisiologicamente non può autogovernarsi, data la soggettività del
rapporto tra il fedele e Dio, la pluralità e la conflittualità
comunitaria, l’assenza di un’unica autorità spirituale.
Quindi
mettiamocelo in testa: o lo Stato, direttamente o
indirettamente, governa l’islam italiano, o lo continueranno a fare i
Fratelli Musulmani, i wahhabiti, i jihadisti. Che sono fuorilegge
nella gran parte dei Paesi musulmani, mentre da noi prosperano e
comandano. Facciamo quel salto di qualità sul piano della maturità
culturale e sul piano dell’assunzione della responsabilità politica.
Riscattiamo le nostre moschee alla piena legalità, affidiamole ai
fedeli che vogliono pregare e basta, sradichiamo la fabbrica dell’odio
che minaccia la vita e la libertà di tutti. Autoctoni e musulmani.
Azzeriamo un passato all’insegna del buonismo, della viltà e
dell’ideologismo. Ricominciamo dall’anno zero dell’islam d’Italia.
Magdi Allam