Dalla
STAMPA del 21 ottobre 2006:
Per la prima volta, il presidente Bush ha ammesso una somiglianza
tra l’Iraq e quanto è accaduto in Vietnam 40 anni fa. Alla domanda,
in un’intervista di mercoledì scorso alla tv, che vede un parallelo
tra la recente escalation di morti americane in Iraq e l’offensiva
di Tet del 1968, il presidente ha riconosciuto che la situazione
offre spunti per un paragone. Questa frase di Bush probabilmente
ecciterà i media americani, che cercano di equiparare l’Iraq al
Vietnam fin da quando gli insorti hanno cominciato a infliggere
perdite significative alle truppe americane. Ma bisogna dire che per
coloro che hanno una memoria lunga e si ricordano la storia,
l’ammissione del presidente è suonata sorprendente.
Innanzitutto sorprende che il presidente si è fatto convincere. Di
recente ho avuto occasione di discutere dell’Iraq con il presidente
nello Studio Ovale in una riunione ristretta con un piccolo gruppo
di storici. Era l’inizio di settembre, e all’epoca Bush non voleva
parlare di Iraq, ma di argomenti più ampi di scontro culturale tra
l’Islam radicale e l’Occidente cristiano. Il consiglio di cadere
nella trappola è stato sbagliato. Molti di coloro che parteciparono
alle vicende del Vietnam sono ancora vivi e attivi, tuttora animati
dalle passioni degli anni ‘60. E questa ammissione di Bush non può
che fare danno, innanzitutto a lui stesso e alla sua
amministrazione, ma anche alle truppe Usa in generale e ai militari
in servizio in Iraq in particolare.
Innanzitutto, l’Iraq e il Vietnam non sono comparabili. Chiunque
conosca entrambe le situazioni viene colpito dalle differenze,
soprattutto riguardo alla scala del conflitto, e alla natura del
nemico.
Nel gennaio 1968, il totale delle perdite americane in Vietnam -
militari uccisi, feriti o scomparsi - aveva raggiunto la cifra di 80
mila, e continuava a salire. I morti in combattimento e per altre
cause erano più di 50 mila, di cui 36 mila erano stati uccisi
durante azioni belliche. Le perdite in Iraq non raggiungono nemmeno
lontanamente questi livelli. In una brutta settimana di Viernam gli
Usa potevano perdere 2 mila uomini. Dal 2003 le forze americane in
Iraq non hanno mai subito più di 500 perdite al mese. D’altra parte,
il numero delle vittime irachene del conflitto non è mai stato
stabilito con certezza, ma non supera le 50 mila persone. In Vietnam
in un qualunque anno di guerra il partito comunista del Nord mandava
in battaglia nel Sud 200 mila giovani, di cui la maggioranza non
tornava indietro.
Quella del Vietnam è stata una delle guerre più vaste e costose
della storia. La rivolta irachena assomiglia a uno dei tanti
disordini coloniali delle storie degli imperi. Ci sono buone ragioni
per questa differenza: i comunisti vietnamiti avevano organizzato e
gestito un’organizzazione politico-militare che copriva tutto il
Paese, con cellule in quasi tutti i villaggi. L’Esercito Popolare
del Vietnam del Nord assomigliava a quelli organizzati dei Paesi
occidentali: reclutava coscritti in tutto il Paese, li addestrava,
li equipaggiava e li organizzava. Gli insorti iracheni, al
contrario, sono militanti informali uniti in una coalizione di
gruppi religiosi ed ex baathisti. Non hanno un comando supremo, né
una burocrazia che ricordi le disciplinate strutture marxiste del
Vietnam del Nord. Godono di qualche sostegno da parte di gruppi
simili nei Paesi limitrofi, ma non si può paragonare alla rete
internazionale del Vietnam del Nord, appoggiato dalla Cina e dall’Urss
.
Oltretutto, il Vietnam del Nord era uno Stato sovrano, appoggiato
esplicitamente da tutti gli altri Paesi comunisti, e da molti regimi
del Terzo Mondo. La rivolta irachena ha dei simpatizzanti, che però
non possiedono un sistema organizzato di sostegno, e incontrano
anche l’opposizione attiva di molti Paesi vicini dell’Iraq e dei
loro correligionari musulmani. La recente impennata di violenza in
Iraq non assomiglia in alcun modo all’offensiva di Tet. In quell’occasione,
il giorno del capodanno vietnamita, l’Esercito Popolare aveva
attaccato contemporaneamente 40 città del Sud, con truppe di 84 mila
uomini, di cui 45 mila rimasero uccisi. Mai, in nessun luogo in Iraq
si sono registrate perdite del genere. L’offensiva di Tet si è
rivelata un disastro militare per i comunisti vietnamiti,
lasciandoli appena in grado di continuare la loro guerra di basso
profilo contro il governo del Vietnam del Sud e l’esercito
americano. Tet è stata una sconfitta per gli Usa e il Vietnam del
Sud perché i media americani avevano deciso di rappresentarla come
tale. E’ ormai un luogo comune dire che il Vietnam fu una guerra
mediatica, ma è la verità. La maggior parte dei media mondiali fin
dall’inizio si mostrarono ostili all’intervento americano,
soprattutto in Francia, che nel 1946-54 aveva già combattutto e
perso la propria guerra in Vietnam. La sconfitta di Dien Bien Phu ha
lasciato nei francesi un profondo risentimento, e ben pochi di loro
volevano vedere gli americani vincere laddove loro avevano perso.
Ma sono stati i media americani, e non esteri, a emettere il
verdetto. I media americani all’inizio avevano appoggiato la guerra.
Ma mentre questa andava avanti, senza nessuna conclusione in vista e
con la promessa vittoria militare continuamente rinviata, i giornali
americani e soprattutto i programmi televisivi serali comiciarono a
trattare le notizie di guerra come negative. I media sono stati
estremamente influenti, soprattutto in luoghi come i campus
universitari e nei tinelli delle famiglie americane i cui figli
erano partiti per la leva. Quando i notiziari cominciarono a
riferire di 150 perdite settimanali, la popolarità della guerra
cominciò a scendere. Il presidente Johnson, per temperamento
ipersensibile alle critiche, riteneva che una certa trasmissione di
Walter Cronkite nel febbraio 1968 gli avesse fatto perdere l’America
media. «Se ho perso Cronkite», disse ai membri del suo staff, «ho
perso la guerra».
Bush si deve ora aspettare che i conduttori della televisione
americana cercheranno occasioni analoghe per danneggiarlo. Se la
troveranno, la colpa sarà solo del presidente. La guerra del Vietnam
non è stata persa sul campo di battaglia, ma nei media americani,
grazie al modo in cui hanno trattato le notizie dal fronte.
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