Grande è la
commozione e maggiore è l’orgoglio per Fabrizio Quattrocchi
che con tono pacato e risoluto sfida i terroristi con il suo nobile
testamento: «Vi faccio vedere come muore un italiano ». Ora che
l’atroce filmato ha riscattato la verità, la famiglia e l’Italia
intera pretendono giustamente le scuse di coloro che denigrarono
Fabrizio dandogli del «mercenario» e del «fascista ». E se si
contestualizza la barbara esecuzione, consumatasi all’apice della
deriva arcobalenista in cui quasi ci si vergognava del tricolore,
emerge con forza la statura di Fabrizio eroe d’Italia.
Se ci fosse
una legge sul pentitismo nella politica e nell’informazione
al cui rispetto fossero tenuti tutti coloro che con il loro operato
hanno avvelenato l'opinione pubblica, l'ipotetico tribunale per il
rispetto della verità sarebbe travolto dalla mole di denunce. Ma
ahimè noi italiani abbiamo la lingua lunga, la memoria corta e siamo
sprovvisti della mentalità riparatrice.
Ricordo che
quando il 31 maggio 2004 pubblicai sul
Corriere un articolo dal titolo «Quella voce italiana accanto
ai terroristi», in cui elaborando le informazioni raccolte dai
nostri servizi segreti sostenni la presenza di una «doppia cabina di
regia italo-irachena » nel sequestro e nell'uccisione di Fabrizio,
fui accusato nientemeno di essere l'autore di una «campagna di
disinformazione che è parte integrante della guerra che si combatte»
in Iraq. Oggi che abbiamo finalmente la certezza che tra i
terroristi ce n'era uno che conosceva l'italiano al punto da
dialogare con Quattrocchi e fare da interprete simultaneo agli altri
terroristi arabofoni, si comprende quanto sia stata strumentale e
perniciosa la polemica sulla identità italiana o «italiana» del
terrorista. Se cioè egli fosse italiano purosangue o «italiano»
naturalizzato o di fatto.
Sapevamo
della collusione ideologica e operativa di ambienti eversivi
in Italia con il terrorismo internazionale di matrice islamica, ma
si è eretto un muro di calunnie e intimidazioni per negare la
verità. Dal gennaio del 2004 eravamo al corrente che una settantina
di nostri immigrati partirono dall' Italia per affiancare i
terroristi islamici in Iraq e, tra loro, ci furono almeno sei
kamikaze. Sapevamo che il 16 maggio 2004 l'italo-iracheno John
Sawaka partecipò ai combattimenti a Nassiriya sfociati
nell'uccisione di Matteo Vanzan. Sapevamo che solo dei terroristi in
grado di conoscere dall'interno le pieghe della realtà italiana
erano in grado di farci pervenire i loro «video a orologeria» in
concomitanza con eventi salienti della nostra vita politica,
condizionando efficacemente l'opinione pubblica e l'azione del
governo.
E se appena
appena scrutavamo all’esterno del nostro fragile guscio
scoprivamo che l'Afghanistan e l'Iraq erano pieni di terroristi
islamici con cittadinanza britannica e francese. Che già il 30
aprile 2003 due britannici andarono a farsi esplodere in un bar di
Tel Aviv.Una tragica realtà che ha infranto tutti i muri
dell'ignoranza e del qualunquismo quando lo scorso 7 luglio quattro
terroristi suicidi britannici, tra cui un cristiano convertito all'
islam, si fecero esplodere a Londra. Più recentemente una belga
«purosangue » è andata a farsi esplodere in Iraq.
Eppure noi
in Italia continuiamo a tutt'oggi a illuderci, tra menzogne e
ipocrisie, di essere al riparo dal terremoto che sconvolge il mondo
intero. Il caso di Fabrizio è emblematico di un approccio ignobile e
infame di chi, pur di negare l'evidenza dei fatti, è arrivato a
screditare e ingiuriare un italiano perbene che, proprio in punto di
morte, ci ha offerto un attestato di eroismo che gli fa onore e di
cui siamo fieri.
Magdi Allam