Dall'ESPRESSO
datato 21 aprile 2006:
L'obiettivo strategico predominante, in tutti i discorsi e le
dichiarazioni pubbliche di Bin Laden, è uno solo: porre fine alla presenza
americana - civile e militare - in Arabia Saudita e nell'intera regione del
Golfo. Secondo Anthony H. Cordesman e Nawaf Obaid (due studiosi di
terrorismo), l'Arabia Saudita ha cominciato a sperimentare seri problemi di
sicurezza interna solo dopo che Al Qaeda ha preso di mira la monarchia verso
la metà degli anni Novanta nel tentativo di distruggerla. Ma questi attacchi
sono rimasti sporadici fino al maggio del 2003, quando le cellule di Bin
Laden hanno scatenato una campagna terroristica diretta contemporaneamente
contro gli stranieri - in special modo gli americani - e il regime di Ryad.
Stando a quest'analisi, una struttura che si autodefiniva Organizzazione di
Al Qaeda nella Penisola Arabica creò un complesso di rifugi, depositi di
munizioni, piccole unità operative e relative reti di sostegno. Ma in
Afghanistan sorsero dissensi fra i suoi dirigenti circa la tempistica e i
potenziali obiettivi degli attacchi contro l'Arabia Saudita e il capo locale
di allora, Yousef al-Uyeri, sostenne che i membri dell'organizzazione non
erano pronti a entrare in azione. A questo gruppo va ricondotta la paternità
degli attentati del 2003, dai quali emerse che Al Qaeda era divenuta ormai
una delle principali minacce per la penisola arabica. E da allora, l'Arabia
Saudita è rimasta uno dei principali obiettivi dei Bin Laden.
Questo però non spiega perché Al Qaeda cercò di colpire il detestato regime
saudita soltanto dopo la sua disfatta in Afghanistan. Sembra plausibile
ipotizzare che vi fosse una sorta di tacito accordo fra Bin Laden e il
governo di Ryad per risparmiare il territorio e gli interessi dell'Arabia
Saudita. Il che spiegherebbe anche come mai quest'ultima fosse uno dei tre
soli paesi (insieme al Pakistan e agli Emirati Arabi Uniti) che
riconoscevano il regime dei talebani in Afghanistan, sostenendolo
finanziariamente e mantenendo rapporti diplomatici con esso fino all'ultimo.
Secondo Sa'ad al-Faqih, considerato da molti uno dei maggiori esperti di Al
Qaeda, i combattenti della jihad hanno abbandonato la loro tattica
precedente che consisteva nell'attaccare gli occidentali e le forze di
sicurezza nella penisola e stanno ora concentrando la loro attenzione sulla
famiglia reale. Essi "ritengono che l'opinione prevalente in Arabia Saudita
- e probabilmente nel più ampio mondo islamico - sia che la famiglia reale è
infedele e meriti un duro trattamento, non temono più nemmeno l'avvento di
un regime non religioso nell'eventualità di un crollo improvviso della
dinastia dei Saud". Al-Fatiqh è convinto che, verso la fine degli anni '90,
Bin Laden pensava che se quest'ultima fosse stata spodestata, il paese
sarebbe caduto nelle mani di forze laiche. Al Qaeda giunse così alla
conclusione che, come dimostrava la lezione dell'Iraq, il collasso del
regime saudita avrebbe favorito l'intervento straniero o creato il caos.
Un'invasione americana sarebbe stata pertanto l'occasione per un massiccio
reclutamento che avrebbe condotto a una vittoria sicura.
è interessante osservare che, secondo al-Fatiqh, il governo saudita aveva
preso "parecchie decisioni sbagliate" nel recente passato e "sul piano
operativo esiste oggi un legame molto tenue fra Bin Laden e gli attuali capi
di Al Qaeda in Arabia Saudita". A giudizio di Reuven Paz, un esperto
israeliano di organizzazioni estremiste islamiche, gli attacchi contro
l'Arabia Saudita hanno segnato una svolta importante nella strategia dei
combattenti del jihad e un ritorno dal lontano Afghanistan al territorio
arabo. Un passaggio ancor più evidente dopo i loro primi attentati nel
Sinai, il 7 ottobre 2004, a distanza di sette anni da una sospensione di
fatto di ogni attività terroristica entro i confini dell'Egitto.
In un articolo del saudita Abu Abbas al-Aedhi, l'attacco nel Sinai viene
presentato come il primo di una serie diretta contro l'Egitto nel quadro di
una strategia dei mujahiddin in Arabia Saudita, Iraq ed Egitto. La guerra
santa in questi ultimi due paesi viene vista come "il mezzo per rafforzare
la jihad in Arabia". I passi successivi saranno la sua estensione nello
Yemen e nel Kuwait e l'unificazione dei gruppi combattenti nordafricani, in
Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Mauritania e Sudan.
Ma lo scopo principale della strategia di Al Qaeda è quello di porre al
centro la jihad in Arabia Saudita, coordinando l'attività tra i due fronti
dei gruppi fondamentalisti in Iraq e in Egitto. Questo disegno venne
concepito, fra gli altri, dal defunto Yousef al-Uyeri, ucciso nel giugno del
2003 dalla polizia saudita. In base a quest'analisi, al-Uyeri segna il
passaggio della più giovane generazione dei teorici della jihad mondiale
sotto l'influenza saudita e dovrebbe essere considerato come il principale
architetto di questo movimento in Iraq.
Un'altra analisi della stessa scuola, basata sul libro di 1.601 pagine sulla
jihad, scritto da Abu Mus'ab al-Suri, si riferisce agli attentati del Sinai
dell'ottobre 2004 e a quelli successivi del Cairo nell'aprile 2005 e di
Sharm al-Shaykh nel luglio dello stesso anno. A detta di al-Suri, il
bersaglio principale dei fondamentalisti in questa fase erano i turisti. Da
questo punto di vista, gli attentati del Sinai sono stati l'esempio più
significativo di questa strategia volta a colpire il governo egiziano e,
contemporaneamente, a seminare il panico fra gli occidentali. Essi appaiono
inoltre come un tentativo di aprire nuovi fronti nel mondo arabo, oltre a
quello dell'Iraq.
Secondo Paz, molto probabilmente ci ritroveremo ad affrontare due strategie
distinte ed anche due movimenti in competizione fra loro sul terreno della
guerra santa mondiale, con Zarqawi in Iraq e al-Suri in altre parti del
mondo arabo. Non va inoltre sottovalutato il coinvolgimento dei sauditi
nella rivolta fondamentalista in corso in Iraq, dal momento in cui essi
rappresentano il 61 per cento dei caduti e il 70 per cento dei kamikaze
arabi. Finora, a quanto pare, essi costituiscono non solo il gruppo che ha
pagato il maggior tributo all'insurrezione in Iraq, ma anche quello che ha
contribuito ad alimentarla. Una spiegazione interessante di questo fenomeno
potrebbe essere l'ostilità wahabita verso gli sciiti, percepiti come
infedeli, e la relativa convinzione che sia necessario sostenere la
minoranza sunnita.
A quanto pare, la strategia proposta dai nuovi ideologi della guerra santa
mondiale trova applicazione sul terreno. Nel gennaio del 2005, otto soldati
del Kuwait, cinque dei quali con le stellette, vennero arrestati dopo che il
governo saudita svelò un piano d'attacco contro le truppe americane
elaborato da una cellula di Al Qaeda operante in questo paese. Fra i
sospetti, rastrellati in seguito a questa soffiata, c'era un imam ritenuto
la mente dell'organizzazione. Il 19 marzo 2005, un'autobomba guidata da un
kamikaze egiziano a Doha, la capitale del Qatar, esplose in un teatro
gremito di occidentali e danneggò una scuola di lingua inglese, provocando
un morto e una cinquantina di feriti. Fu il primo attentato compiuto in
questo paese - sede del comando centrale americano che ha coordinato
l'invasione dell'Iraq nel 2003 - avvenuto due giorni dopo l'appello,
lanciato dal presunto capo di Al Qaeda in Arabia Suadita, ai militanti del
Qatar e di altri paesi del Golfo, a scatenare una guerra santa contro i
"crociati" nella regione.
Le Brigate dei Martiri di Abdulaziz al-Moqrin, un gruppo prima sconosciuto,
balzato agli onori delle cronache dopo l'uccisione di uno dei leader di Al
Qaeda in Arabia Saudita durante uno scontro a fuoco con la polizia,
pubblicarono una dichiarazione su un sito Web in cui minacciavano di
compiere altri attentati in Kuwait. Chiari legami con i sauditi sono emersi
inoltre durante la caccia ai terroristi nel Bahrain. Almeno sei cittadini di
questo piccolo Stato furono arrestati nel 2004 perché sospettati di
pianificare attentati dinamitardi contro edifici governativi e obiettivi
stranieri e di collaborare con gruppi terroristici d'oltreconfine. Nel
gennaio 2005, le autorità dell'Oman arrestarono un centinaio di estremisti
islamici che intendevano lanciare un attacco contro un noto centro
commerciale e un festival culturale.
L'ascesa di Zarqawi
Stando a un opuscolo a puntate pubblicato da un giornalista giordano nel
luglio del 2005, la futura strategia di Abu Mus'an al Zarqawi si basa
sull'estensione del conflitto con gli Stati Uniti e Israele e sul
coinvolgimento di nuovi soggetti. Contemporaneamente, un ampio movimento di
combattenti della jihad cercherà di modificare lo stato di cose finora
prevalso nella regione e di dar vita a un califfato in sette fasi, assumendo
l'Iraq come base di partenza. La Turchia, che confina con la parte
settentrionale di questo paese, è considerata come il più importante Stato
islamico in virtù delle sue grandi risorse economiche ed umane e della sua
importante posizione strategica. Abu Mus'ab e Al Qaeda ritengono che esso
sia privo di autodeterminazione e di libertà poiché "gli ebrei della Dunma"
controllano l'esercito e l'economia e sono i veri detentori del potere nel
paese. Pertanto, il riassurgere della Turchia al rango di nazione "non avrà
luogo senza una forte reazione contro la presenza ebraica al suo interno".
L'attuale strategia di Al Qaeda è quella di infiltrarsi lentamente in
Turchia e rinviare grandi operazioni entro i suoi confini fino a quando non
verranno conquistate importanti posizioni in Iraq.
L'Iran è il secondo paese che Al Qaeda cerca di coinvolgere nel conflitto.
Teheran si aspetta che gli Stati Uniti e Israele colpiscano alcuni impianti
nucleari, industriali e strategici sul suo territorio. E Abu Mus'ab ritiene
che lo scontro sia inevitabile e possa riuscire a distruggere
l'infrastruttura dell'Iran. Ma Teheran è pronta a reagire e ad usare le
ottime carte che possiede. L'area del conflitto si estenderà, gli sciiti
filoamericani in Iraq e in Afghanistan si ritroveranno in imbarazzo e
potrebbero riconsiderare le loro alleanze, e tutto questo fornità ad Al
Qaeda ampia occasione per sviluppare le sue attività su un'area più estesa
di vitale importanza.
Ma, secondo al-Faqih, "Al Qaeda è segretamente convinta di aver commesso
probabilmente un errore nominando Zarqawi suo principale rappresentante in
Iraq", poiché "è un comandante troppo prepotente" e arrogante. Secondo
alcune indiscrezioni, "i gruppi combattenti della jihad stanno cercando di
mettersi in contatto con Bin Laden per convincerlo a sostituire Zarkawi come
capo di Al Qaeda in Iraq", perché sono scontenti di lui e "lamentano la sua
imprudenza e temerarietà". Basandosi sulla lettera inviata a Zarqwawi da
Zawahiri, al-Faqih giunge alla conclusione che quest'ultimo rimane il
principale stratega di Al Qaeda.
Conclusioni
Da questa breve esposizione, come pure dagli eventi in corso, appare chiaro
che la situazione attuale in Medio Oriente è al tempo stesso complessa e
mutevole e che gli sviluppi in un singolo paese o in una regione influenzano
i paesi e i conflitti vicini. La guerra contro il terrorismo richiederà
pertanto una lunga e difficile campagna. Il pericolo delle reti di gruppi
estremisti islamici può essere scongiurato nel lungo periodo solo prevenendo
la formazione di "un'area fondamentalista liberata" - secondo il concetto di
Zawahiri - in Iraq, Arabia Saudita, Pakistan, Asia centrale, Indonesia o
altrove nel mondo musulmano.
Il rischio non è oggi quello di un Fronte Islamico Mondiale unificato e
della sua vittoria, ma piuttosto quello di un Medio Oriente politicamente e
socialmente destabilizzato e di una comunità internazionale sempre più
paranoide e non democratica. Sul piano strategico-militare, solo la
collaborazione e il coordinamento operativo fra i governi e i servizi di
sicurezza e informazione delle grandi potenze internazionali - Stati Uniti,
Europa, Russia, Cina e India - può prevenire questo pericolosa situazione,
mentre sul piano ideologico e politico le tendenze radicali nelle società
musulmane possono esser sconfitte solo dai musulmani moderati.
traduzione di Mario Baccianini |