www.segnalo.it - Società, politica cultura - Saggi e Articoli
HOME PAGE |
editoriale di Ernesto Galli della Loggia,dal titolo "Tolleranza, serve un limite" pag 1:
Intanto cominciamo a convincerci — lo ha scritto ieri Magdi Allam — che le
famigerate vignette antiislamiche c'entrano abbastanza poco con la bufera
antioccidentale che da settimane sta soffiando dal Pakistan a Bengasi.
Certamente quelle vignette hanno offeso milioni di credenti, ma esse hanno
rappresentato solo un pretesto, sono state usate puramente come un'esca per
scatenare violenze e disordini (il che non attenua, ma semmai aggrava, le
responsabilità di chi come il ministro Calderoli non ha capito o, se ha capito,
ha abboccato all'esca sperando in una manciata di voti in più).
Sono almeno due le ragioni che inducono a dubitare fortemente della spontaneità
dei moti di piazza nelle capitali islamiche. Innanzi tutto le notizie che si
hanno del complesso lavorio (durato almeno tre mesi dalla pubblicazione delle
vignette alle prime manifestazioni) messo in opera dai capi della comunità
islamica danese al fine di attivare i canali di mobilitazione che poi sono
entrati in azione; e in secondo luogo l'ovvia complicità dei governi nei
disordini, disordini avvenuti perlopiù in Paesi dove neppure un capannello di
poche persone può riunirsi senza che la polizia lo sappia in anticipo, potendo
così intervenire (o non intervenire) a suo piacere.
Dunque disordini preparati e voluti, ma non perciò meno gravemente rivelatori.
L'estrema violenza e la rabbia cieca delle manifestazioni, la loro estensione e
il loro ripetersi continuo, la partecipazione ad esse di una moltitudine di
giovani, sono la spia che oggi nel mondo islamico si sta diffondendo, si è già
diffuso, un virus cultural-religioso e politico dagli effetti incontrollabili,
di cui la vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi e i proclami
atomico-antisemiti di Ahmadinejad sono un'ulteriore e preoccupantissima prova.
Che cosa sta succedendo tra quelle centinaia di milioni di uomini governati da
regimi deboli e dispotici? Molta parte della scena ci rimane oscura, dominata
dalla mancanza di libertà e quindi dal segreto, ma ne vediamo gli effetti: una
sfera politica caratterizzata dalla demagogia e dall'incapacità di avviare
qualunque vera riforma, una sfera sociale priva di qualsivoglia guida alla
discussione razionale (giornali e tv indipendenti, intellettuali di orientamento
liberale, scienziati), con un'altissima propensione al fanatismo religioso,
indisponibile a riconoscere alcun diritto a chi pensa o vive diversamente, con
una paurosa accettazione della violenza, e alla quale, infine, è possibile far
credere che l'Occidente sia responsabile di ogni cosa.
Noi europei ci stiamo rapidamente abituando a tutto ciò, non ne scorgiamo più
l'assoluta anomalia. Timoroso dell'accusa di leso multiculturalismo, il nostro
discorso pubblico non osa più esprimere giudizi che non siano di comprensione,
di più o meno tacita «tolleranza», verso qualunque intollerabile violenza o
malefatta commessa nelle contrade dell' Islam. Ad una folla polacca o irlandese
non perdoneremmo neppure un centesimo di quello che siamo pronti a perdonare ad
una folla libica o afghana: ma ci va bene così. Dando un esempio stupefacente di
viltà l'Unione Europea non ha espresso una protesta vigorosa neppure quando è
stata devastata la sua sede a Gaza da una folla di quegli stessi palestinesi che
vivono solo grazie agli aiuti di Bruxelles. Nulla sembra scuoterci, insomma: non
solo non vogliamo accorgerci della via pericolosa che l'Islam ha imboccato, ma,
quel che è peggio, sembriamo aver perfino paura di parlarne.
Segue l'analisi di Magdi Allam, dal titolo "Ma la vera blasfemia è nei simboli degli estremisti", a pag.6
Nel giorno in cui si seppelliscono le vittime dell'assalto premeditato al
nostro consolato a Bengasi, non è certamente mia intenzione soffiare sul fuoco
dell'ondata di violenza fatta divampare ad arte dai burattinai del terrore
strumentalizzando la pubblicazione di vignette considerate blasfeme o la
provocazione del ministro Calderoli costretto alle dimissioni. Ma ritengo utile
e doveroso riflettere sulle radici di questa cultura dell' odio che riesce a
infiammare gli animi delle masse islamiche, facendo leva sull'ignoranza, il
fanatismo e la schizofrenia identitaria.
In questa fase in cui sembra essere di moda indire dei concorsi per
rappresentare personalità o eventi di eccezionale rilievo (Maometto,
l'Olocausto), noi immaginiamo di lanciarne due. Nel primo chiediamo al nostro
ipotetico pubblico di raffigurare il Corano, il libro sacro dell'islam, per
molti increato e pertanto Dio stesso.
Rispondono al concorso in cinque. La prima raffigurazione ritrae il Corano
circondato da due spade affilate che si intersecano con in mezzo l'ordine: «E
preparate». Che introduce il versetto «E preparate contro di loro forze e
cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri
ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso
sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto» (Corano VIII, 60).
Nella seconda raffigurazione, su uno sfondo nero, il Corano è aperto in mezzo a
un globo terrestre e dal Corano spuntano una mitragliatrice Kalashnikov, una
bandiera nera e un pugno con l'indice rivolto verso l'alto, che sottintendono
che tramite la violenza, il vessillo della morte e l'affermazione dell' unicità
di Dio, l'islam conquisterà il mondo intero. Nella terza raffigurazione il
Corano appare su uno sfondo giallo, posto al di sotto di un Kalashnikov e
affiancato da un globo terrestre e la scritta in rosso: «In verità, il Partito
di Dio, loro saranno i vincitori». Nella quarta raffigurazione il Kalashnikov
rispunta nuovamente in mezzo al Corano aperto con sullo sfondo un sole giallo e
l'ordine: «Combatteteli dunque fino a che non ci sia più sedizione, e la
religione sia quella di Dio» (Corano II, 193). Lo stesso versetto coranico
ricompare nella quinta raffigurazione, con il Corano che esibisce il motto «Il
giudizio spetta solo a Dio», attorniato sulla destra da una sciabola e sulla
sinistra dal Kalashnikov.
Ebbene voi come giudicate queste raffigurazioni del Corano? Per me sono blasfeme
e inneggianti alla cultura della violenza e della morte. Eppure si tratta,
nell'ordine, dei loghi ufficiali dei Fratelli Musulmani in Egitto e della loro
filiale palestinese Hamas, del gruppo «Monoteismo e Guerra santa» affiliato ad
Al Qaeda in Iraq, dell'Hezbollah libanese, del movimento pachistano del Kashmir
Lashkar-e-Taiba, del «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento»
algerino.
Passiamo al secondo concorso in cui chiediamo al nostro ipotetico pubblico di
raffigurare la moschea di Al Aqsa, il terzo luogo di culto sacro dell'islam, che
sorge a Gerusalemme. Rispondono in tre. Nella prima raffigurazione la moschea è
al centro incastonata tra due bandiere palestinesi e sormontata da due
Kalashnikov laterali che sorreggono una bomba a mano nel punto dove si
intersecano le canne. Su tutto troneggia l'ordine: «Combatteteli, dunque, e
Iddio li castigherà per mano vostra e li coprirà d'obbrobrio, e vi assisterà a
trionfo contro di loro, e guarirà il petto dei credenti» (Corano IX, 14). La
seconda raffigurazione ritrae la moschea al centro e, in sovrapposizione, c'è un
combattente con la kefiah che imbraccia la mitragliatrice M-16 con la destra e
un Corano con la sinistra. Alle spalle una bandiera verde con la professione di
fede nell'islam «Non vi è altro Dio al di fuori di Allah». Mentre all'interno di
una cornice circolare è riportato il versetto «Ma voi non li uccideste, bensì li
ha uccisi Dio» (Corano VIII, 17). La terza raffigurazione è più ardita. Dalla
cupola della moschea spuntano come corna due fucili, in mezzo l'invocazione
«Allah è grande», mentre in una cornice circolare è impresso il versetto «Ma
quelli che lotteranno zelanti per Noi, li guideremo per le nostre vie, e certo
Dio è con coloro che operano per il bene» (Corano, XXIX, 69).
Ebbene voi come giudicate queste raffigurazioni della sacra moschea di Al Aqsa?
Per me sono blasfeme e inneggianti alla cultura della violenza e della morte.
Eppure si tratta, nell'ordine, dei loghi ufficiali delle Brigate dei martiri di
Al Aqsa, delle Brigate Ezzeddin Al Kassam e della Jihad islamica palestinese.
Tuttavia nessun musulmano si è finora sentito offeso e ha protestato per questa
profanazione del Corano e della moschea sacra di Al Aqsa. A nessun musulmano è
passato per la mente di sporgere denuncia presso i tribunali di Gaza, Il Cairo,
Beirut, Islamabad o Algeri. Ecco perché non convince l'ondata di violenza su
scala mondiale contro le vignette che offenderebbero Maometto. I musulmani prima
di scagliarsi contro la Danimarca, dovrebbero combattere la blasfemia a casa
propria. A tutti i musulmani contrari all'interpretazione violenta dell'islam,
lancio una proposta: mandiamo una e-mail all'indirizzo dell'Organizzazione per
la Conferenza Islamica ( info@oic-oci.org), con la nostra denuncia e il nostro
appello: «No ai loghi islamici che profanano l'islam».
Segue l'intervista di Gianna Fregonara con Emma Bonino, l'unica
fra i politici ad avere il coraggio di parlare chiaro sulla differenza fra
dittatura e democrazia. Titolo "Falso il dolore del colonnello,Tripoli ha
soffiato sul fuoco", a pag 6.
ROMA — «Il ministro Calderoli se ne doveva andare da quel dì, e non perché è
volgare bensì per precise responsabilità politiche». Ma il problema dei rapporti
con la Libia ha altre origini e un tarlo di fondo: «Attratti dal gas e dal
petrolio libico, ci siamo comportati come affaristi, chiudendo gli occhi di
fronte alle libertà e ai diritti negati». Dopo la sanguinosa rivolta di Bengasi
Emma Bonino, che nel mondo islamico è stata a lungo, ammonisce: «E' importante
capire bene che cosa succede in Libia, perché se sbagliamo analisi continueremo
a sbagliare politica».
Cioè quella attuale delle porte aperte al vicino di casa Gheddafi è
sbagliata?
«Parto da alcuni dati di fatto. A Bengasi, come è successo per altro in Iran e
in Siria, non si muove foglia che il regime non voglia. Quindi il rammarico di
Gheddafi per i sanguinosi episodi suona un pochino in malafede, per non parlare
della sospensione del ministro degli Interni. Come dice Magdi Allam, il
presidente del Parlamento di Tripoli ha soffiato sul fuoco da subito, e la Libia
non dimentichiamo è stata il primo Paese a chiudere l'ambasciata in Danimarca…
Insomma tanti segni premonitori di voler cavalcare la situazione post vignette».
Gheddafi non è certo tollerante con gli integralisti ...
«Anzi, è sempre stato ostile ai Fratelli musulmani ma per ragioni interne. Ma
l'Islam l'ha usato spesso e per motivazioni tutte politiche o nazionaliste ».
Gheddafi manda un segnale: può "manovrare" le masse islamiche
estremiste?
«Se un regime vuole una manifestazione pacifica, sa come fare. Siamo noi
occidentali che attratti dal gas e dal petrolio libico ci siamo comportati da
affaristi con Gheddafi».
Cioè?
«E' bastato che Gheddafi riconoscesse di essere il mandante della strage di
Lockerbie e dell'attentato dell'aereo sul Ciad e decidesse di pagare le vittime
perché le democrazie occidentali si mettessero in fila per bussare alla porta di
Tripoli, dagli Usa a Blair, da Chirac a Berlusconi, pronti ad ammansire un
dittatore. Siamo arrivati all'assurdo di accettare il rito tribale di Gheddafi,
il cosiddetto "riscatto del sangue", ovvero i soldi che l'assassino paga alla
famiglia della vittima per essere prosciolto. Fino ad accettare che la Libia
presiedesse la commissione Onu per i diritti umani. Ora Gheddafi ci dice: o
Calderoli se ne va o basta gas libico».
Un ricatto?
«Un segnale, che può avere contenuti anche più vasti. Del resto mai una volta
che abbiamo chiesto più libertà, più rispetto per i diritti civili e umani per i
libici, che abbiamo sollevato interrogativi sulle tante crudeli "stranezze" del
regime».
Calderoli se ne va, ma l'incidente non sembra chiuso.
«Se ne doveva andare da quel dì, insieme con altri suoi colleghi razzisti, anche
perché il florilegio d'invettive era davvero diventato troppo lungo e
insopportabile - dalle pantegane islamiche di Borghezio, alla giornalista
palestinese "abbronzata" di Calderoli, allo sterco di fronte alle moschee, alla
castrazione biologica - e doveva farlo non perché è incivile ma per precise
responsabilità politiche».
Cioè non è un problema di "leggerezza" di Calderoli?
«No, tutta la Lega lo sostiene e Calderoli dice di aver fatto tutto questo per
difendere i valori occidentali, quelli che ogni giorno la Lega denigra e
calpesta con linguaggio violento e dozzinale. La questione investe chi ha
imbarcato la Lega al governo e continua a mantenerla (in tutti i sensi)… Mi
auguro che gli elettori il 9 aprile girino pagina».
Ma con Prodi la politica estera verso la Libia non dovrebbe cambiare
molto.
«Mi auguro invece di sì. La Rosa nel Pugno propone di rafforzare la Community of
democracies, di creare un consiglio dei diritti umani credibile e non infiltrato
da dittatori, di aumentare i rapporti con i Paesi a prevalenza musulmana che
tentano un'altra strada e di avviare una politica di integrazione per gli
individui e i loro diritti e doveri».
Sulla manifestazione romana riportiamo, sempre dal Corriere della Sera, la cronaca di Fabrizio Roncone, Titolo " Corteo anti Israele, slogan e bandiere bruciate", pag 11, sotto titolo:In piazza per la Palestina Pdci, Verdi e Cobas. E c'è chi grida «10, 100, 1000 Nassiriya»
ROMA — Bandiere che bruciano, si sciolgono. Quella d'Israele, quella degli
Stati Uniti. La danza eccitata di due ragazzi. Nemmeno il volto coperto. Nemmeno
una kefia. Solo sghignazzi e saltelli sotto gli obiettivi dei fotografi. La
scena finale della manifestazione in favore della Palestina è questa. Brutta
scena. Sul limitare di piazza Venezia. Davanti a un plotone di carabinieri e a
una comitiva di seminaristi francesi.
I carabinieri, nervosi. Nell'orecchio, un coro già sentito altre volte:
«Dieci/cento/mille Nassiriya». Un coro infame. Uno solo. E anche lì: a gridare,
nemmeno in dieci. Gli altri, in passo lento e tollerante. Compreso Marco
Ferrando. Che prova, ancora, a giustificare: «È uno slogan che esiste ben prima
della mia intervista al Corriere ». Però quando è entrato nel corteo, per lui ci
sono stati applausi e grida di evviva. La faccia di Ferrando sotto le bandiere
dei Comunisti italiani e dei Cobas.
Le altre barbe sono sui poster. Di Ernesto Che Guevara. E di Yasser Arafat. Alla
memoria del leader palestinese scomparso, cambiano il nome a via Cavour.
Attaccano manifesti che sembrano targhe. Gente che ride, da un albergo certi si
affacciano e salutano. Corteo così, come vi sembra: non grande, improvvisato,
non intenso. Ma meno esile del previsto. Ventimila persone per gli
organizzatori, mille per la questura: un balletto di cifre che, stavolta, non ha
comunque troppo senso. Perché quello che c'è di politicamente rilevante, dopo le
polemiche della vigilia, bisogna andarselo a cercare dietro allo striscione
principale.
La conta dei presenti: ecco il verde Paolo Cento, ecco i vertici dei Comunisti
italiani, Marco Rizzo e Oliviero Diliberto. «Io non li ho sentiti quei cori sui
carabinieri caduti a Nassiriya, ma, se ci sono stati, è un orrore. Che, spero,
non venga strumentalizzato». Si avvicina Cento: «Quei cori e quelle bandiere
bruciate sono un esercizio di imbecillità politica. Chiarito questo, mi piace
pensare che, dopo i guai provocati da Calderoli, questo corteo rappresenti un
ponte verso il Medio Oriente». C'è anche il gonfalone di Marano, con il sindaco
Mauro Bertini, che a novembre si rifiutò di intitolare una strada ai «Martiri di
Nassiriya».
Poi donne arabe con il velo e la musica assordante dei centri sociali. Piero
Bernocchi, gran capo dei Cobas, è costretto ad alzare la voce: «Hamas? Ci sono
momenti, purtroppo, in cui l'uso della violenza è inevitabile». Seguono cori di
questo tipo: «Sabra e Shatila/ strage falangista/ è Ariel Sharon/ il vero
terrorista». Oppure: «I popoli in rivolta/ scrivono la storia/ Intifada/ fino
alla vittoria».
Immediato il comunicato di condanna della Comunità ebraica. Mentre sorprende uno
striscione di Rifondazione: «Siamo della federazione di Bologna». Nunzio D'Erme,
leader degli antagonisti romani, ironico: «Per Fassino, Rutelli e Bertinotti non
sarebbe dovuto venire nessuno... e invece...». Ecco, a proposito: Marco Rizzo
annuncia che «i proventi della querela» presentata contro Franco Giordano, dopo
le polemiche scatenate dall'assenza di Bertinotti a questa manifestazione,
«saranno devoluti a Cuba e alla Palestina».
Il corteo rallenta. «Ma non dovevamo arrivare fino a piazza Santi Apostoli?».
Dovevate. Sono arrivati prima i gay e le lesbiche. Protestano davanti alla sede
dell'Unione. Aspettano Prodi.