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Gli Osama d'Europa.
Il fallito attacco
alle maggiori città americane frutto delle cellule islamiche presenti nel
Vecchio Continente (in La Stampa, 11-08-06)
L’apocalisse mancata che avrebbe dovuto polverizzare il ricordo
degli attacchi dell'11 settembre 2001 svela la matrice ideologica di Osama bin
Laden ma nasce dal laboratorio di una nuova Al Qaeda, le cui radici e
cellule sono in Europa. Anziché cinque aerei-missile lanciati contro
Washington e New York questa volta il piano era di farne esplodere un
massimo di dieci in almeno cinque grandi città degli Stati Uniti, su entrambe le
coste oceaniche, causando un'ecatombe. Non solo New York e Washington ma anche
Boston, Chicago e Los Angeles si sarebbero trasformate in zone di guerra.
L'attacco su due fronti contro gli Stati Uniti è nelle menti dei terroristi
islamici sin da quando il kuwaitiano-pakistano Khalid Sheik Mohammed lo propose
nel 1999 a Bin Laden, rielaborando la più rudimentale «Operazione Bojinka»
immaginata dal nipote Ramzi Youssef, che nel 1994 aveva pensato di far esplodere
contemporaneamente in volo sul Pacifico dodici aerei di linea occidentali. Bin
Laden rifiutò la proposta di Khalid Sheik Mohammed, giudicandola difficile da
realizzare da un punto di vista organizzativo, e ripiegò sul piano poi
realizzato l'11 settembre dai 19 kamikaze di Mohammed Atta. Chi ha
pianificato l'apocalisse 2006 si richiamava all'ideologia del manifesto della
Jihad «contro ebrei e crociati» lanciata da Bin Laden e Ayman al-Zawahiri nel
1998 ma puntava a fare meglio dello stesso ideologo, in termini di
numero di vittime, impatto globale e spettacolarità mediatica. E lo stesso vale
anche per l'arma scelta per l'operazione: se l'ex poliziotto egiziano Atta aveva
beffato i metal detector con temperini e spray accecanti, a cinque anni di
distanza la nuova generazione di sistemi di sicurezza avrebbe dovuto
essere vulnerata da un poco conosciuto esplosivo liquido dissimulato sotto forma
di bibite gassate, acqua, deodoranti e dentifrici. Se il piano
d'attacco contro gli Stati Uniti del 2006 era più ambizioso e sofisticato di
quello del 2001 la spiegazione viene dall'identikit di chi lo
ha voluto, immaginato e quasi realizzato: non un gruppo di leader terroristi
arabi accampati sotto un tenda afghana con alle spalle anni di guerriglia contro
l'Armata Rossa bensì un determinato team di cittadini britannici di fede
musulmana, con alle spalle conoscenze frutto dell'educazione ricevuta nelle
scuole e nelle aziende di una delle maggiori potenze industriali. Ad
esclusione del comune fanatismo jihadista, odio per la democrazia e libertà,
antisemitismo, avversione per i diritti delle donne e volontà di causare più
lutti possibili nel cuore dell'Occidente Al Qaeda 2 è diversa
dall'originale perché è un prodotto «made in Europe». La genesi di
questo processo è scandita dagli eventi degli ultimi anni: nel settembre
2001 gli attacchi contro New York e Washington furono pianificati da una cellula
ad Amburgo, in Germania; nel marzo del 2003 gli attentati di
Madrid sono stati messi a segno da salafiti marocchini insediatisi in Spagna;
nel novembre 2004 il regista Theo Van Gogh è stato ucciso da un
musulmano olandese; nel luglio del 2005 gli attacchi di Londra
sono stati firmati da islamici britannici di origine pakistana ed ora
il fallito attacco all'America ha portato all'arresto di almeno 21
anglomusulmani. Anche in Nord America sta avvenendo qualcosa di simile:
nelle ultime otto settimane prima a Toronto, in Canada, e poi a Miami, in
Florida, fondamentalisti canadesi ed americani sono stati arrestati per aver
progettato devastanti attentati con tonnellate di esplosivo, incluso il progetto
di far crollare la Sears Tower di Chicago. Ma il complotto sventato in
Gran Bretagna conferma che è il Vecchio Continente il luogo dove le
nuove cellule fondamentaliste sono più forti ed attive e si organizzano -
autonomamente o meno - per ispirarsi a Bin Laden, dando vita ad un
network ideologico che il Presidente americano George W. Bush ha definito con il
termine «islamofascismo». Come ha spiegato la giornalista britannica Melanie
Philips nel suo libro «Londoninstan» è stata «la miopia dei leader nazionali» a
consentire ai jihadisti prima di emergere, poi di organizzarsi e quindi poter
colpire. Se nel luglio scorso il Londoninstan sembrava la culla di kamikaze
artigianali con zaini esplosivi su bus e metro oggi assomiglia ad un laboratorio
del terrore simile ai campi di addestramento che Bin Laden aveva a Kandahar.
Il fenomeno dei «terroristi cresciuti in casa» è stato
descritto dall'assistente Segretario di Stato per l'Europa, Dan Fried, con
questi numeri: «Sebbene solo l'1 o il 2 per cento dei musulmani europei è
implicato in attività estremiste il fatto di vivere in società libere
gli offre opportunità uniche». Lo scrittore americano Bruce Bawer, da
anni residente in Europa, ha riassunto la genesi del fenomeno in un volume dal
provocatorio titolo «While Europe Slept» (Mentre l'Europa dormiva)
rivolgendo un accorato appello ai leader del Vecchio Continente
affinché «aprano gli occhi su chi sfrutta il multiculturalismo al fine
di preparare attentati». L'America vive la minaccia fondamentalista
europea come se arrivasse dal Michigan o dall'Alabama perché, come ha scritto
Claire Berlinski del «New York Times»: «La crisi dell'Europa è anche la nostra».