Cristiani per contrasto all’Islam?
GIAN
ENRICO RUSCONI
La
stampa 25 gennaio 2007 E’un’ingenuità
l'iniziativa della Curia bolognese di creare un contatto «porta a porta» tra
sacerdoti cattolici e credenti musulmani in occasione della benedizione
pasquale delle case. L’iniziativa nasce dal buon proposito di porre rimedio
all’accusa assai più realistica, uscita dagli stessi ambienti vescovili, che
sia in atto un «disegno di islamizzazione» della città attraverso la
diffusione delle attività economiche e sociali della comunità musulmana.
Se l’iniziativa della Curia non si limitasse a ristabilire un clima più
sereno, ma avesse l’ambizione di rilanciare quel «dialogo tra le religioni»
di cui tanto si parla - allora l’ingenuità va incontro a grosse difficoltà.
Il sacerdote che fosse accolto, per cortesia, in una casa musulmana
bolognese (ammesso che ciò non sia contrario a qualche norma religiosa)
potrà parlare soltanto di rispetto reciproco, di pace, di condanna di ogni
forma di violenza. Sono cose importantissime - naturalmente - ma non toccano
il dato religioso che sta alla radice delle differenze dei comportamenti
culturali e sociali che sollevano disagio. In realtà, il «dialogo tra le
culture e le religioni», così come viene praticato oggi in Italia, è
caratterizzato da alcune anomalie. Innanzitutto è di fatto monopolio delle
organizzazioni religiose che suppliscono alla carenza di una chiara
strategia culturale «laica» da parte dello Stato. Ma lo stesso dialogo
interreligioso - ecco l’altra anomalia - evita poi di fatto di confrontarsi
seriamente in profondità nel merito delle verità religiose e teologiche. Nei
vari incontri si esprime rispetto reciproco, si parla della pace, si
condivide la preoccupazione contro ogni forma di violenza. Ma si perde il
nesso che esiste tra le verità religiose e determinati comportamenti della
vita pratica quotidiana che sono tanta parte essenziale del modo di vivere
musulmano. Non sorprende allora che un vescovo denunci l’islamizzazione
della città di Bologna, riferendosi a un genere di iniziative tutte mondane,
come sono le attività commerciali. Senza che sia chiaro il loro nesso con la
religione islamica in senso stretto.
Un serio dialogo interreligioso e interculturale con l’Islam non può
ignorare che si tratta di una concezione religiosa e teologica che è
radicalmente diversa dalla cristiana, anche nelle modalità con cui influisce
intimamente sul modo quotidiano di vivere di milioni di uomini e di donne.
Un autentico confronto religioso e teologico potrebbe promuovere un processo
di revisione di alcuni aspetti culturali e sociali della società musulmana,
senza metterne in discussione i fondamenti religiosi (come sta lentamente
avvenendo in cosiddetto «Islam europeo»). Ma tutto ciò presuppone un vero
confronto filosofico e teologico che non ha luogo da secoli - letteralmente
- salvo che per ristrettissime élites.
Durante la visita del Papa in Turchia, mesi fa, in una delle poche
manifestazioni di dissenso pubblico è comparso un cartello con una scritta
che diceva in lingua inglese: «Gesù non è Dio, ma un profeta dell’Islam».
Solo qualche giornale europeo ha riprodotto quella fotografia,
considerandola una contestazione da parte di un marginale gruppo di fanatici
fondamentalisti. Quel cartello in effetti poteva essere letto come
un’offesa, anzi come una bestemmia nei confronti del cristianesimo e quindi
del suo principale rappresentante in visita. Dunque come un segno di
intolleranza nel momento in cui tutti volevano reciprocamente dimostrarsi
disposti al dialogo.
Eppure quel cartello esprimeva semplicemente la convinzione di un qualunque
buon musulmano, moderato e conciliante. Dopo tutto, lo stesso Pontefice
qualche settimana prima, nella famosa lezione di Ratisbona, aveva parlato,
con espressioni infelici poi corrette, della profonda differenza tra
Cristianesimo e Islam. Anche se questa differenza - ha subito ribadito - non
impedisce il rispetto reciproco e il dialogo. Ma il concetto di dialogo è
rimasto ancora nel vago.
Tornando a Bologna, non è chiaro perché in quella città ci sia da parte
della Chiesa locale una così acuta sensibilità per la comunità islamica. Non
pare che questa crei particolari problemi di ordine pubblico o sociale.
Forse semplicemente è la visibilità di una collettività di diversamente
credenti che, con le loro pratiche e forti simbologie, rende più deprimente
il quadro di un cattolicesimo convenzionale privo di creatività. Ma sarebbe
triste riscoprirsi cristiani solo per contrasto all’Islam che si sta
insediando nelle nostre città. Forse occorrerebbe un’altra strategia.
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