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Samuel Huntington: Quanto pesa il fattore Osama
IL NUOVO SCENARIO INTERNAZIONALE
MICHAEL STEINBERGER
Samuel Huntington, politologo presso
l'Università di Harvard, sostiene che la politica internazionale sarà dominata
da un "conflitto di civiltà" che con ogni probabilità vedrà l'Occidente opporsi
al mondo musulmano e ad altre culture.
Professor Huntington, ci troviamo di fronte a quel conflitto di civiltà da cui
lei ci ha messo in guardia per quasi un decennio?
«E' chiaro che Osama bin Laden vuole che fra Islam e Occidente ci sia un
conflitto di civiltà. La priorità principale del nostro governo è quella di
cercare di evitare che questo accada, poiché, infatti, esiste un concreto
pericolo che la situazione evolva in questa direzione. Cercando di raccogliere
consenso nei paesi e fra i popoli musulmani l'amministrazione ha agito nel
giusto modo. Qui, negli Stati Uniti, si registrano forti pressioni affinché
siano attaccati anche altri gruppi terroristici o altri stati che aiutano i
gruppi terroristici. A me sembra che questo potrebbe dilagare in un conflitto di
civiltà».
E' stato sorpreso dal fatto che i terroristi fossero tutti individui ben
istruiti e appartenenti al ceto medio?
«Per nulla. Gli individui coinvolti nei movimenti fondamentalisti, islamici o di
altra ispirazione, sono molto spesso quelli che hanno ricevuto un'istruzione
superiore, anche se ovviamente la maggior parte di loro non diventano
terroristi. Ma qui si tratta di persone giovani, intelligenti e ambiziose, che
vogliono mettere la loro istruzione al servizio di un'economia moderna e
sviluppata, e si sentono frustrati dalla mancanza di posti di lavoro e di
opportunità. Queste persone sono anche messe sotto una specie di pressione
incrociata dalle forze della globalizzazione e da ciò che essi considerano
essere l'imperialismo e la supremazia culturale dell'Occidente. Ovviamente loro
si sentono attratti dalla cultura occidentale, ma al tempo stesso se ne sentono
respinti».
Lei ha scritto che "l'Islam ha confini insanguinati". Che cosa intendeva dire
esattamente?
«Se si osservano attentamente i confini del mondo musulmano, si scopre che
esistono moltissimi conflitti locali che coinvolgono i musulmani e i non
musulmani: in Bosnia, in Kosovo, in Caucaso, in Cecenia, nel Tagikistan, in
Kashmir, in India, in Indonesia, nelle Filippine, in Africa settentrionale, il
conflitto fra palestinesi e israeliani. I musulmani combattono anche contro
altri musulmani, e molto più di quanto non facciano fra loro altre civiltà».
Intende dire che l'Islam incoraggia la violenza?
«Non credo che l'Islam sia una religione più violenta delle altre e penso che,
se si facesse un bilancio complessivo, scopriremmo che nel corso dei secoli sono
state massacrate molte più persone dai Cristiani che dai Musulmani. Ma il
fattore decisivo è quello demografico. In linea generale, quelli che vanno in
giro ad ammazzare la gente sono giovani maschi, di età compresa fra i sedici e i
trenta anni circa. Negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta il tasso di natalità
nel mondo musulmano è stato elevatissimo e questo ha portato ad un enorme
aumento del numero di giovani. Però questo picco demografico è destinato ad
abbassarsi: il tasso di natalità nel mondo musulmano, infatti, sta scendendo, e
in alcuni paesi è già precipitato in modo vistoso. Originariamente l'Islam si
diffuse con la spada, ma non credo che nella teologia musulmana ci sia qualcosa
di intrinsecamente violento. Al pari di altre grandi religioni, anche l'Islam
può essere interpretato in una gran varietà di modi. Gli individui come bin
Laden si appigliano a determinati precetti del Corano, come il comandamento di
andare ad uccidere gli infedeli. Il papa, quando lanciò le Crociate, fece
esattamente la medesima cosa».
Gli Stati Uniti dovrebbero fare di più per promuovere la democrazia e i diritti
umani in Medio Oriente?
«Sarebbe auspicabile, ma è anche molto difficile. Nel mondo islamico esiste una
naturale tendenza ad opporre resistenza all'influenza occidentale, il che è
comprensibile, se si prende in considerazione la lunga storia dei conflitti fra
l'Islam e la civiltà occidentale. Nella maggior parte delle società musulmane
esistono ovviamente gruppi di persone favorevoli alla democrazia e ai diritti
umani, e credo che noi dovremmo appoggiare proprio questi gruppi. Ma a questo
punto ci troveremmo in un'assurda situazione: molti dei gruppi che in quelle
società sono contrari alla repressione sono fondamentalisti e anti americani. Lo
abbiamo visto in Algeria. Per gli Stati Uniti promuovere la democrazia e i
diritti umani sono obiettivi molto importanti, ma abbiamo anche altri interessi.
Il Presidente Carter s'impegnò moltissimo nella promozione dei diritti umani, e
quando feci parte del suo Consiglio per la Sicurezza Nazionale, avemmo
innumerevoli discussioni su come agire. Ma, per quanto ricordo, nessuno suggerì
mai di promuovere i diritti umani in Arabia Saudita, e per ragioni molto ovvie».
A parte i nostri più stretti alleati, nessun paese si è schierato più fermamente
con gli Stati Uniti della Russia. E' forse giunto il momento in cui la Russia si
sposterà risolutamente verso l'Occidente?
«In queste specifiche circostanze, la Russia si è voltata verso l'Occidente per
ragioni pragmatiche e con un fine ben preciso. I Russi si sentono seriamente
minacciati dai terroristi musulmani e considerano utile schierarsi con
l'Occidente e acquistare credito presso gli Stati Uniti, nella speranza che noi
ridurremo le campagne di espansione della Nato negli stati Baltici e i missili
per la difesa. Si tratta di una coincidenza di interessi, e non credo che
dobbiamo pertanto esagerare, pensando ad un nuovo grande allineamento. Penso
tuttavia che essi siano anche molto preoccupati per la crescita della Cina e
questo li induce a girarsi verso l'Occidente».
In questa guerra contro il terrorismo, l'India e la Cina, due paesi che lei
pensava sarebbero stati in conflitto con gli Stati Uniti, si sono invece alleati
con noi. Questo conflitto potrebbe quindi configurarsi come Islam contro il
resto del mondo, invece che Occidente contro il resto del mondo?
«E' molto plausibile. Ci sono musulmani che lottano contro gli occidentali,
contro i cristiani ortodossi, contro gli ebrei, contro gli indù, contro i
buddisti, ma bisogna anche ammettere che nel mondo vivono un miliardo di
musulmani, che si snodano attraverso l'emisfero orientale dall'Africa
occidentale fino all'Indonesia orientale, e che interagiscono con dozzine di
popoli differenti. Quindi si può dedurre che essi abbiano maggiori occasioni di
venire a conflitto con altri».
La critica che le è stata rivolta più frequentemente è che lei dipinge intere
civiltà come blocchi compatti.
«Questo è del tutto falso. Nel mio libro, il principale capitolo sull'Islam
s'intitola "Consapevolezza senza coesione" e tratta di tutte le divisioni del
mondo islamico, delle lotte dei musulmani contro musulmani. Persino nell'attuale
crisi sono divisi. Ci sono un miliardo di persone e tutte queste sottoculture,
le tribù. L'Islam è meno compatto di qualsiasi altra civiltà. Con l'Islam il
problema è lo stesso che Henry Kissinger espresse circa trenta anni fa a
proposito dell'Europa: "Se dico Europa, a quante Europe penso?" E quindi, se
dico mondo islamico, a quanti mondi islamici penso? L'Islam può causare problemi
proprio perché è poco compatto: se esistesse un potere dominante nel mondo
islamico, si potrebbe trattare con loro. Ma ora tutto quello che possiamo
constatare è un gran numero di gruppi islamici in lotta gli uni con gli altri».
Copyright New York Times/La Repubblica
Traduzione di Anna Bissanti
(La Repubblica, 22 ottobre 2001)