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ELEZIONI REGIONALI DEL 3 E 4 APRILE 2005
L´ANALISI
L´Istituto Cattaneo: il travaso più forte in Lombardia, boom dell´Unione in
Piemonte
Due milioni di voti da destra a sinistra
Paradossalmente, la Cdl "tiene" dove perde i governatori più importanti
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Due milioni di voti bruciati. É, come l´ha chiamata Francesco Storace
sconfitto nel Lazio, l´ecatombe della Casa delle Libertà. Rispetto alle
regionali del 2000 il Polo perde in tutte le regioni. Record negativo in
Lombardia: oltre 750mila consensi in fumo (cioè il 22,5%). Tiene invece in
Piemonte, Lazio e Puglia, proprio dove ha perso i governatori. Il centrodestra
arretra, l´Unione avanza: guadagna 2 milioni di voti e vola in tutte le 13
regioni in cui si è andati alle urne.
E´ quanto emerge da uno studio dell´Istituto Cattaneo di Bologna sui risultati
delle elezioni regionali 2005. Rispetto a cinque anni fa, la Casa delle Libertà
ha perso voti in tutte le regioni (nel complesso - 13,8% rispetto al 2000), così
come il centrosinistra ne ha guadagnati ovunque (+16,2%). Oltre alla Lombardia,
le prestazioni del centrodestra sono state molto negative in Campania (300 mila
voti persi) e in Toscana (160 mila consensi in meno). Un quadro nero. Eppure il
Polo ha retto in Lazio (dove ha perso "solo" 20 mila voti, pari all´1,4%,
rispetto al 2000), in Puglia (quasi 45 mila preferenze in meno) e in Piemonte
(110 mila voti perduti). In Veneto la Cdl ha perso oltre 120 mila consensi, ma
in presenza di una lista concorrente (Progetto Nord-Est di Giorgio Panto) che ne
ha raccolti 125 mila.
«Insomma - spiegano al Cattaneo - benché l´attenzione sia stata focalizzata
sulle disfatte del centrodestra in Piemonte, Puglia e Lazio (dove le presidenze
sono passate al centrosinistra, ndr) si tratta in realtà delle tre regioni dove
la Cdl ha avuto le sue prestazioni migliori». Viceversa la Lombardia, additata
come esempio di tenuta della Casa delle Libertà, ha di fatto determinato la sua
maggiore sconfitta: quasi il 40% dei consensi persi dal centrodestra fanno capo
proprio a questa regione.
E l´Unione? Ha avuto successo soprattutto in Piemonte (guadagnando oltre 275
mila voti, +29% rispetto al 2000), in Calabria (130 mila in più), in Puglia
(oltre 200 mila). Bene anche in Lombardia (320 mila voti in più) e in Lazio (245
mila voti guadagnati). «La regione in cui il centrosinistra ha conosciuto
l´evoluzione meno positiva - affermano al Cattaneo - è stata l´Emilia-Romagna»,
dove la coalizione è comunque avanzata di quasi 130 mila voti. Inoltre l´Ulivo
va ugualmente bene nelle regioni in cui si presenta con una sola lista, rispetto
alle regioni in cui si presenta sotto più simboli.
«I risultati - sottolineano al Cattaneo - possono difficilmente essere stati
determinati da fenomeni di astensionismo: i voti validi espressi nel 2005 sono
appena 225 mila in meno rispetto a quelli del 2000». Analogamente, i risultati
sono difficilmente attribuibili alla presenza di candidature avanzate da
soggetti politici diversi dalla Casa delle Libertà e dall´Unione, «perché hanno
avuto decisamente poco successo: 780 mila voti nel complesso».
L´Italia
è cambiata
MASSIMO GIANNINI
L´ITALIA azzurra non c´è più. Quella "Fantasyland" felice e spensierata del
2001, dove un "partito personale" dominava in 81 province su 100, s´è dissolta.
Quell´appendice virtuale di Milano2, riprodotta su scala nazionale dalla Casa
delle Libertà, esiste ormai solo nella mente del suo "inventore". Berlusconi ha
perso anche queste elezioni regionali. Si partiva da 8 a 6 per il centrodestra.
Dopo questa chiamata alle urne per 41 milioni d´italiani, secondo le proiezioni
provvisorie della notte, finirà 11 a 2 per il centrosinistra. Si frantuma la
geografia politica immaginata dal premier. Prodi consolida la sua leadership, la
lista unitaria prende corpo, i Ds diventano il primo partito in molte aree del
Paese.
L´Italia è cambiata
L´opposizione strappa agli avversari il Piemonte al Nord, il Lazio al Centro e
la Puglia al Sud. È molto più che una sconfitta. È una disfatta. Nel Polo, che
resta maggioranza in Parlamento ma non nel Paese, finisce la "dittatura del
premier". Quello che comincia non si sa ancora. Sicuramente un "tutti contro
tutti", se non addirittura un "rompete le righe".
Le elezioni regionali sono un test locale per definizione. Ma qui c´è qualcosa
di più. Dopo il trionfo del 2001, il Polo ha perso le amministrative del 2002,
le provinciali del 2003, le europee e le comunali del 2004, le suppletive del
2005, e ora anche le regionali. In questa sequenza non c´è solo un "segnale",
estemporaneo e congiunturale. C´è forse, soprattutto, un travaso di voti nel
bacino (finora a compartimenti stagni) della rappresentanza bipolare. Lo
dimostra l´affluenza alle urne, molto alta considerata anche la traumatica
coincidenza del voto con la scomparsa di Giovanni Paolo II. E se è vero (come
insegnano i sondaggisti) che non esiste un astensionismo di sinistra, ma solo
una forte quota di elettori incerti o lontani dalla politica, questo vuol dire
che tanta parte di questo elettorato "di mezzo", che in passato ha votato per il
Polo, stavolta ha votato per l´Unione. Il tracollo del centrodestra è grave.
Riapre al suo interno una verifica che in realtà non si era mai chiusa. Ne
compromette in modo strutturale la già precaria stabilità. Per almeno quattro
ragioni fondamentali.
1) La caduta del Piemonte sancisce il fallimento di un progetto strategico. Il
blocco sociale più dinamico, quello della borghesia produttiva, dei
professionisti e dei "padroncini", aveva affidato le chiavi d´Italia al "suo
imprenditore", convinto che gli avrebbe aperto le porte dell´Eldorado economico.
La vittoria della Bresso segna la fine di quel sogno. L´opposizione,
conquistando la regione della Fiat e della media impresa, infila un cuneo
decisivo nel "fronte del Nord", che Berlusconi aveva blindato insieme a Bossi.
Per il Cavaliere e il Senatur sarà difficile governare un Paese complesso come
l´Italia dalla "ridotta padana" del lombardo-veneto. Questo voto indebolisce
anche quell´"asse del Nord", intorno al quale Berlusconi ha costruito i suoi
successi e la sua provvista di seggi sicuri. Quasi sempre a spese degli altri
due alleati, An e Udc, sempre poco visibili, sempre troppo acquiescenti.
2) La beffa del Lazio è ancora più cocente. E gravida di conseguenze. Qui entra
in rotta il modello sociale rappresentato dall´anima più popolare e populista di
An. L´autodafè di Storace è clamorosa. Probabilmente non basta a spiegarla il
verminaio sudamericano esploso con la Mussolini: se anche si fosse raggiunto un
accordo elettorale con la nipote del duce, la somma dei voti delle rispettive
liste non sarebbe bastata a superare Marrazzo. In ogni caso, "Epurator" ha
costruito la sua immagine sull´alterità: da Berlusconi, ma anche da Fini. Ha
sempre contestato al suo leader la colpa di aver trasformato An in una
"corrente" sbiadita di Forza Italia. Su questa posizione, ha dietro di sé una
bella fetta di partito. È verosimile che ora chieda il conto al vicepremier,
riversando su di lui la responsabilità di un´onta che non riguarda una persona,
ma un partito e il suo posizionamento politico dentro la coalizione. Ed è
altrettanto verosimile che Fini, privo di un suo vero delfino e assorbito com´è
dalla Farnesina, abbia adesso una seria difficoltà a controllare An, fiaccata da
un gregariato estenuante e lacerata com´è dalle correnti interne.
3) Il probabile successo di Vendola in Puglia è una pugnalata al cuore di un
sedicente "moderatismo" che, evidentemente, Forza Italia e i centristi dell´Udc
(i due partiti più forti al Sud) si sono illusi di rappresentare quasi "a
prescindere". Dovrebbe aver vinto un rifondatore comunista e gay discreto ma
dichiarato, che va a prendersi una delle regioni più "conservatrici" della
Penisola. Al di là dei problemi che questa eventuale vittoria creerà nel
centrosinistra sul piano dei rapporti di forza con Bertinotti, qui c´è l´indizio
della crisi profonda di un falso modello di sviluppo, che il Cavaliere ha
creduto di spacciare a colpi di grandi opere scritte sulla lavagna invece che
realizzate sul territorio. Fitto è stato da sempre una pupilla dei suoi occhi,
aperta sul prezioso serbatoio di voti del Mezzogiorno. Ora quella pupilla si
chiude, e quel serbatoio si prosciuga. A Sud, per il Polo, resta solo la
Sicilia.
4) Al fondo di tutto, c´è una nuova e inedita interpretazione del cosiddetto
"fattore B". Così come quella di quattro anni fa fu in larga misura una vittoria
personale, questa del 2005 è per ragioni uguali e contrarie una debacle
personale. Perde la maggioranza, ma perde soprattutto lui, Berlusconi, che ha
fondato le sue fortune politico-imprenditoriali sul mito dell´invincibilità. Il
Cavaliere viene investito da un´onda lunga e crescente di malcontento popolare.
La sanzione inevitabile dopo una fase stupefacente e ininterrotta di malgoverno
politico.
Berlusconi perde sulla politica. Paga tutti gli errori commessi in questa
avventurosa legislatura. Non lo premia una rovinosa riforma costituzionale,
approvata prima di Pasqua solo per onorare un patto con la Lega, ma vissuta
dagli italiani come una mannaia che si abbatte sull´unità del Paese. Non lo
premia la grancassa degli sconti fiscali, suonata ossessivamente per un anno, e
poi maledetta dai contribuenti che si sono ritrovati una manciata di spiccioli
nella busta paga di gennaio. Il Cavaliere ha cercato più volte di sminuire la
portata generale di queste elezioni. Ma negli ultimi dieci giorni si è
presentato ben due volte nel salotto tv di Vespa, "terza Camera" un po´ corriva
di questa sguaiata Seconda Repubblica. Ha occupato per una mattinata intera i
microfoni di Radio anch´io. E se il mondo non si fosse fermato per la morte del
Papa, avrebbe concluso tra bandiere e paillettes la campagna elettorale di
Storace. Non proprio la condotta di chi vuole restare "fuori dalla mischia".
Semmai la percezione, drammaticamente tardiva, di un consenso che gli stava e
gli sta gradualmente sfuggendo di mano.
Berlusconi perde anche sui numeri. Dopo il 2001 avevamo creduto alla metamorfosi
di Forza Italia, trasformata in un vero partito di massa. Ci eravamo sbagliati.
Il crollo dei consensi che si registra dai primi dati sui voti di lista dimostra
che quello del premier è rimasto ciò che era: un partito di plastica. Per
questo, ora, anche tra gli azzurri si profila qualche notte dei lunghi coltelli,
che non potrà non avere ripercussioni sul governo. Il Cavaliere aveva affermato
che alla fine avrebbe contato non il numero di regioni che cambiavano segno, ma
il numero di elettori che avrebbero votato per i due schieramenti. Il premier
incassa una batosta anche su questo. Nelle regionali del 2000 il Polo ottenne 14
milioni 170 mila voti, contro i 12 milioni 453 mila del centrosinistra. Cinque
anni dopo la maggioranza perde oltre 2 milioni di voti, che passano quasi
interamente all´opposizione. La Cdl precipita dal 50,8% a poco più del 44%.
L´Unione decolla dal 44,6% a oltre il 52%.
Dopo questo sisma elettorale, si entra in una "terra incognita". Un anno di livorosa resa dei conti a destra. Fini e Follini dovranno dimostrare, se ne hanno la forza e la voglia, che "un altro centrodestra è possibile". Ma sarà difficile che ci riescano. Il Cavaliere è un animale ferito, e ora anche braccato. Azzarderà colpi di coda pericolosi e imprevedibili. Ci aspettano dodici mesi di campagna elettorale permanente. Tra due settimane i ballottaggi, poi il referendum sulla fecondazione, poi le politiche nella prossima primavera. Ma queste regionali confermano che il Grande Seduttore non incanta più. Chiedere che si dimetta, compiendo lo stesso gesto di "disarmo unilaterale" che compì D´Alema nel 2005, non sarebbe sbagliato. Sarebbe inutile. Non lo farà mai. È geneticamente inadatto ad assumere quel minimo senso di responsabilità che si addice a qualunque uomo di Stato. In quasi quattro anni ha rinunciato a tradurre in un vero progetto politico una folgorante intuizione personale. Continuerà a governare l´Italia usando la vecchia legge di Truman: se non li puoi convincere, confondili. Ma dopo queste regionali, forse, gli italiani hanno scoperto il trucco.
LA CORSA DEL
PROFESSORE
CURZIO MALTESE
Se
si trattava di una prova generale, un referendum su Berlusconi e Prodi, allora
il Professore ha stravinto e il Cavaliere ha straperso. Il vero risultato non è
l´11 a 2 o il 10 a 3, è la frana di Forza Italia, la fine del berlusconismo, il
ritrarsi dell´onda lunga che ha dominato un decennio di vita italiana. La
rovinosa sconfitta di Silvio Berlusconi è palpabile perfino dove il centrodestra
ha vinto. Nelle roccheforti della Lombardia e del Veneto sono passati da un
vantaggio di 30 e 20 punti di percentuale a 10 e 5. Liguria e Piemonte, dopo il
Friuli, sono andate a sinistra. L´asse del Nord rovina e i tagli fiscali non
hanno funzionato.
In parallelo, l´avanzata del centrosinistra e il trionfo personale di Romano
Prodi sono clamorosi perfino nelle regioni già «rosse».
LA CORSA DEL PROFESSORE CHE TRASCINA LA SINISTRA
In
Toscana e in Emilia dove l´Unione sfonda i record del vecchio Pci e fa
guadagnare altri sei o sette punti ai governi regionali, riducendo la destra a
riserva indiana. Con buona pace dell´azzeccagarbugli La Loggia («Chi è al
governo è sempre svantaggiato»).
In cifre assolute, si tratta di un ribaltone come non se n´erano mai visti nella
seconda repubblica. Nel ‘96 l´Ulivo vinse soltanto grazie alla Lega.
Oggi per la prima volta il centrosinistra è reale maggioranza nel Paese. Un
miracolo alla rovescia del berlusconismo.
Bisogna riscrivere la storia, assegnare le nuove parti.
Berlusconi era la chiave di tutte le vittorie della destra, il leader anzi il
padrone incontrastato, l´Unto dal Signore. Prodi? Uno «bollito», con troppe
pretese, contestato nel suo stesso schieramento, ostaggio dei partiti. Da oggi i
ruoli si capovolgono. Berlusconi è il perdente, processato dagli alleati,
costretto a scendere a patti con l´ultimo vassallo se vuole conservare la
poltrona. Prodi è il leader vincente, il grande federatore, quello che ha avuto
le intuizioni giuste e ora può chiedere e ottenere di tutto.
Lo spettacolo offerto nelle prime ore dai due poli era chiarissimo, nel grande
solco del rapido trasformismo nazionale. A difendere Berlusconi dalla rivolta
nella maggioranza è rimasto soltanto un pugno di pretoriani, i vari Schifani,
Bondi, Cicchitto, più l´inevitabile Bruno Vespa, al quale giustamente la
dirigenza Rai in scadenza vuole prolungare il contratto fino al 2010 per i
servigi resi. Ma contro il premier nel centrodestra è già cominciato il tiro al
bersaglio dentro la maggioranza, con il responsabile di An, Nania, che parla di
«sconfitta da attribuire a Forza Italia» e l´unico vincente della tornata,
Roberto Formigoni, che commenta. «Qualcosa si è rotto nel rapporto fra governo e
cittadini». Un´implicita candidatura alla successione. Ora nulla è più feroce in
Italia di una rivolta di ex cortigiani.
Berlusconi, che ha pescato a piene mani fra gli ex funzionari comunisti,
dovrebbe saperlo. Altrimenti lo scoprirà nei prossimi mesi.
D´altra parte, nessuno è più entusiasta di un convertito.
Così nell´opposizione oggi tutti corrono in soccorso del vincitore Prodi, pronti
a offrire primarie anche domani stesso, ora che non ne ha più bisogno.
Ansiosi di sottolineare l´importanza della lista unitaria che soltanto l´altra
mattina era ancora un contenitore elettorale d´occasione. Basta aspettare
qualche giorno e s´invocherà il partito unico, formula già respinta da tutti i
congressi.
Nell´anno elettorale che ha davanti, Prodi deve guardarsi soprattutto da loro,
dal trionfalismo facile dei suoi ex critici. E dal conservatorismo più o meno
riformista di una sinistra che ha sempre troppa paura di rischiare. In compenso,
Berlusconi ha un compito molto più difficile: guardarsi da sé stesso. Non gli è
mai riuscito. Nella consapevolezza che gli italiani non credono più all´immagine
riflessa in mille televisioni.
CAVALIERE
SENZA PARTITO
di PAOLO FRANCHI
Ripetono i maggiorenti azzurri, a chiosa di una sconfitta catastrofica, che non
c’è troppo da preoccuparsi, perché Forza Italia è fatta per le elezioni
politiche, quando «scende in campo» in prima persona il suo leader indiscutibile
e indiscusso. Qualche ragione ce l’hanno: sufficiente, in ogni caso, a
consigliare al centrosinistra di non perdere di vista che, tra un anno, la prova
sarà durissima. Ma, della Casa delle Libertà, Forza Italia dovrebbe essere
l’architrave; se continua a prendere botte da orbi, sono guai per tutta
l’alleanza. Oggi, nelle elezioni regionali. Domani, nelle elezioni politiche. Ci
sarà tempo per analizzare in profondità questo disastro, la cui onda raggiunge
persino le roccheforti veneta e lombarda, dove il centrodestra si impone sì, e
però certo non trionfa come gli è sempre capitato in passato. Ma già adesso è
chiaro che, nella maggioranza, la sconfitta (una sconfitta così bruciante da non
lasciarsi ridimensionare, circoscrivere o depotenziare) apre una crisi politica.
E che di questa crisi l’epicentro è Forza Italia, il partito-non partito fatto a
immagine e somiglianza di Silvio Berlusconi.
Non è questa la sede per ricostruirne la storia, se non per ricordare che fu
pensata e costruita nel volgere di pochi mesi (correva l’anno 1994) come una
macchina da guerra, fatta solo per vincere. Infatti vinse, nelle elezioni
politiche, e di lì a pochissimo trionfò, nelle elezioni europee. Molti, tra i
vinti, parlarono sprezzanti di «partito di plastica», e ironizzarono sui
candidati prescelti dagli uomini di Publitalia e forniti financo di apposito
kit. Altri sostennero che i vecchi partiti erano morti per sempre e che,
piacesse o no, quello messo su da Berlusconi aveva l’aria di un partito tutto
nuovo, e forse addirittura di un modello, a cui anche gli avversari avrebbero
dovuto guardare con attenzione.
Avevano, i primi come i secondi, i loro torti e le loro ragioni. Ma, a giudicare
da quel che è capitato poi, via via fino al voto di ieri, sbagliavano di più i
secondi. Perché Forza Italia è, nel migliore dei casi, un grande comitato
elettorale, che si mette in funzione per il suo capo solo nelle prove decisive,
e che del capo non riproduce in alcun modo le innegabili capacità e gli
innegabili meriti (di leader e di comunicatore, se non di statista), ma i limiti
e i difetti; e anzi li ingigantisce. Berlusconi governa, come governa, badando
ai suoi interessi, andando dritto ai suoi scopi e premiando i fedeli,
indifferente o peggio non solo nei confronti dell’opposizione, ma di qualsiasi
interlocutore non compiacente? E così pensano di poter fare, su suo mandato, i
luogotenenti: salvo scoprire, quando si aprono le urne, che così forse si può
governare una proprietà o un’azienda, non un partito. Per il semplice motivo che
un partito, anche in tempi di crisi, è un’altra cosa. Una forza capace di
esprimere un progetto, di ascoltare la società e di parlarle, di mettere a
confronto democraticamente al suo interno diverse anime, e anche di immaginare
nuove politiche e nuove leadership. Un soggetto simile Forza Italia non lo è mai
stata, non lo è, non lo sarà mai. In passato, questa è stata, per paradosso, una
forza. Ora è una debolezza grave. O peggio.
Premier e
centrodestra sconfitti e senza alibi
di MASSIMO FRANCO
Le due telefonate
di congratulazioni, fatte da Silvio Berlusconi ai vincitori del centrodestra,
finiscono per sottolineare il bilancio magrissimo del governo. E, unite al
silenzio del presidente del Consiglio fino alla tarda serata di ieri, dilatano
la sensazione di una sconfitta bruciante alle regionali. Non c’è l’alibi
dell’astensione, perché alla fine ha votato il 71,4 degli elettori: appena l’1,7
per cento in meno rispetto al 2000. Alcuni alleati di Forza Italia rivendicano
una tenuta o un aumento più o meno sensibile dei consensi. E in Veneto e
Lombardia, che hanno confermato subito i governatori berlusconiani, il distacco
dal centrosinistra si è assottigliato. E’ la figura del leader della Cdl che
rischia di riemergere più colpita dagli elettori. Ed è il suo partito a uscire
terremotato da un responso, nel quale ai fattori locali sembra essersi sommato
un giudizio nazionale omogeneo in negativo. «Il governo logora chi ce l’ha» ha
scolpito il ministro Carlo Giovanardi, rovesciando una vecchia massima del
senatore a vita Giulio Andreotti. Ma, in questo caso, osservando i risultati non
definitivi, il logoramento tocca Berlusconi.
I suoi fedelissimi martellano sul fatto che avrebbe perso perché non ha fatto
campagna elettorale. Le analisi degli alleati, tuttavia, sono meno indulgenti.
L’Udc del vicepremier Marco Follini, che si sente rafforzata dal voto, punta il
dito sull’«asse del Nord» con la Lega. E la stessa An, scottata dalla sconfitta
di Francesco Storace nel Lazio, ammette con il vicepremier Fini l’indebolimento
del governo anche per eccesso di nordismo.
La riforma federalista voluta da Umberto Bossi, e imposta da Berlusconi al resto
dell’alleanza, potrebbe diventare il parafulmine delle tensioni post-elettorali.
Il ministro leghista Roberto Calderoli lo fa capire con un certo candore, quando
dichiara: «Fortuna che abbiamo portato a casa il federalismo. Altrimenti, con
questo risultato, ci sarebbero stati problemi». La durezza, con la quale i
lumbard dicono no a qualsiasi ritocco nel governo, indica la trincea nella quale
sono pronti a battersi di qui al 2006 nel centrodestra. Per loro, seppure
indebolito dalla flessione di FI, l’«asse del Nord» rimane intoccabile.
La novità è che ormai resiste in un bunker territoriale racchiuso fra Lombardia
e Veneto, e circondato da un’Italia sempre più antiberlusconiana. Certo, il
premier può recriminare per il mancato accordo con i radicali, Alessandra
Mussolini e la mini-Dc di Rotondi. Ma spiegare la sconfitta solo così sarebbe
pericolosamente miope. Dopo qualche cautela, l’Unione prodiana già rivendica il
primato: ha più voti in assoluto del centrodestra, cosa mai successa prima.
Romano Prodi proclama: «Gli italiani ci chiedono di prepararci a governare». Di
certo, hanno chiesto a Berlusconi di non governare come ha fatto finora.
L´INCUBO
DEL VENDITORE DI SOGNI
EZIO MAURO
C´È QUALCOSA di impaurito e insieme di pauroso nella prima reazione di Silvio
Berlusconi (lui è il Paese legale, la sinistra è il Paese parallelo e illegale)
a una sconfitta elettorale che gli toglie la maggioranza in Italia, punisce il
suo partito e segna l´inizio della fine della sua leadership.
Il premier che dovrebbe reggere lo Stato, governando, definisce l´opposizione
come l´anti-Stato, l´imprenditore piduista giudica "occulto" il mondo della
sinistra, l´uomo più ricco d´Italia sostiene che i poteri forti congiurano
contro la Repubblica. Siamo davanti a una deriva paranoide che imbarazza gli
alleati e sconcerta i cittadini, perché ha perso ogni legame con la realtà. Ma
segnala pubblicamente l´inizio di una fase drammatica, esistenziale prima e più
che politica. La sconfitta infatti rovescia nel dramma il titanismo del
Cavaliere, in una stagione da "muoia Sansone con tutti i filistei" che durerà
fino alle elezioni ed è cominciata proprio ieri. Con il berlusconismo che va
giustamente a morire in televisione, là dove era nato undici anni fa.
Per capire con un solo colpo d´occhio la portata del terremoto elettorale, il
suo cambio di clima e di stagione, bastava infatti collegarsi ieri sera con
Ballarò. A sorpresa, non c´era La Loggia, tra gli ospiti concordati della
trasmissione, insieme con il ministro Alemanno, D´Alema e Rutelli. Fuori
programma, è apparso Berlusconi, con la scusa di dover sostituire La Loggia,
come un qualsiasi tappabuchi. In realtà, ciò a cui abbiamo assistito non era un
cambio di protagonista, ma un cambio completo di sceneggiatura, l´inizio di un
altro film.
L´incubo del venditore di sogni
Trascinato dalla furia della sconfitta, incalzato dall´urgenza delle elezioni
politiche tra un anno, isolato dalla perdita di fiducia degli alleati nei suoi
confronti, Berlusconi ha deciso di farsi umano tra gli umani, rinunciando alla
primazia e all´alterità di ogni sua comparsa televisiva, sedendosi per la prima
volta da quando è sceso in campo in mezzo ai suoi competitori, e accettando un
confronto cui era sempre sfuggito.
Più che una trovata propagandistica, o una necessità di marketing, è stato un
disvelamento in pubblico. Il Cavaliere per la prima volta ha messo a nudo la sua
essenza cultural-ideologica, la sua natura politica. Senza filtri di telecamere
amiche, giornalisti dipendenti, riprese concordate, avversari prescelti, platee
prefabbricate, scenari e sfondi costruiti per ingigantire - ovviamente in
azzurro - la sacralità della leadership. No: ieri per la prima volta nella
storia del berlusconismo la leadership era nuda, protetta solo da una cartellina
manageriale di appunti e ritagli. Lo spettacolo e la sostanza politica del
dibattito non erano nemmeno nelle parole di Berlusconi. Ma nella sua necessità
disperata di rincorrere insieme Fini, la sinistra e gli elettori, cambiando
congiuntamente abitudini, stile, ruolo e status, in un´estetica
politico-televisiva cui il Cavaliere non è abituato e che lo espone per la prima
volta ad uno sguardo vero. Da cui emerge, se così si può dire, un impasto
imbarazzante di naivitè e aggressività, di dilettantismo e spirito guerriero, da
parte di un leader che è abituato a parlare senza contraddittorio, senza
interruzioni, senza domande in uno spazio amico e proprietario, e rivela
addirittura imbarazzo nel sentirsi rileggere in pubblico, davanti agli avversari
ridivenuti persone fisiche, le accuse che ha lanciato nel vuoto amichevole dei
suoi mass media.
È una svolta senza precedenti, che riduce il sovrano allo stato laico,
costringendolo a misurare dall´altra parte del tubo catodico la brutalità
immediata del meccanismo televisivo, addirittura con Nichi Vendola che prende
corpo alla pari sullo schermo, totem simbolico della sconfitta berlusconiana che
annulla ogni gerarchia.
Una svolta frutto della disperazione prodotta dal voto, dopo che per l´intera
giornata dei risultati, lunedì, il Cavaliere era scomparso, mimetizzato dietro
gli impegni invisibili del premier. Nella notte, Gianfranco Fini aveva
interrotto all´improvviso il rosario doloroso degli uomini di seconda fila,
Cicchitto e La Loggia (preoccupati soltanto di negare, dissimulare, manipolare
la disfatta e soprattutto di allontanarla dalla sacra immagine del premier), era
andato in televisione, dove aveva ammesso la sconfitta e aveva aperto senza
perifrasi la fase della resa dei conti nella destra. Ma in questo gesto, che
riempiva un vuoto, un silenzio, un deficit di responsabilità, si è avvertita
ancor di più la supplenza di una leadership che parla di sé con la retorica
eroica di sempre, mentre si sta sfarinando sotto gli occhi degli italiani.
In realtà si era capito negli ultimi mesi che il Cavaliere aveva "perso il
tocco", cioè i tempi e i toni della sua stessa musica politica, la capacità di
entrare e uscire dalla contesa scompigliando, di fare campagna fingendo di
governare e di governare battagliando: ma agendo sempre in un "altrove" rispetto
al paesaggio tradizionale dei partiti italiani. Drammatico, per il Grande
Comunicatore, il contrappasso di giovedì sera, quando lui e il suo notaio
televisivo hanno imposto alla Rai la servitù di un Porta a Porta registrato
mentre gli schermi di tutto il mondo interrompevano i loro programmi per dare la
notizia dell´inizio dell´agonia del Papa. Quel fuori-sincrono clamoroso e
insistito (che ha costretto la Rai a prendere le distanze da ciò che trasmetteva
con una scritta in sovrimpressione) è la misura e la prova di una parola
divenuta afasica e di una politica autistica, nella convinzione che al leader
basti comunque parlare agli italiani per redimerli dall´errore, convertirli e
infine salvarli, portandoli a sé. Mentre gli italiani, nel frattempo, hanno già
cambiato canale: o ascoltando, si sono convinti a votare contro.
Dietro la svolta non solo nella comunicazione berlusconiana, ma nell´immagine e
nella stessa identità del premier, non ci sono solo le 11 regioni conquistate
dalla sinistra, contro le due alla destra che confinano Forza Italia in un
paesaggio leghista lombardoveneto. Ci sono due milioni di voti in più per
l´Unione, due milioni di consensi (di cui ben 750mila in Lombardia) persi dalla
destra, il crollo di Forza Italia dal 25 al 18 per cento in cinque anni, il
passaggio in minoranza di tutta la Casa delle Libertà, che finisce al 45 per
cento nel Paese. C´è in questo risultato uniforme (il centrosinistra avanza in
tutte le regioni, mentre la destra arretra ovunque, con un 13,8 per cento in
meno rispetto al 2000) un giudizio evidente sul governo nazionale e sul suo
premier: l´incapacità di affrontare i problemi del Paese e primo fra tutti il
suo declino, l´incapacità di guidare la sua larghissima maggioranza
trasformandola in una vera forza di cambiamento, l´incapacità di rinunciare a
"riforme di scambio" che minano la Costituzione pur di risolvere gli equilibri
interni alla destra. Soprattutto, il voto testimonia un disincanto e certifica
la fine di un incantamento. Il sogno a colori berlusconiano di un Paese senza
regole spronato ad arricchirsi attraverso il soddisfacimento di ogni interesse
particolare, in un disordine di condoni e di egoismi, si è ormai sgonfiato nella
realtà della vita quotidiana delle famiglie: che si sentono più povere,
avvertono il ripiegamento del Paese, sentono che il sistema è senza guida.
C´è però qualcosa di più, magari immateriale, ma sicuramente misurabile nel voto
regionale. Il Paese è sfibrato da un clima da campagna elettorale permanente,
con il Cavaliere che reagisce agli insuccessi e alla perdita di presa sulla
società italiana alzando il livello dello scontro, sollecitando le emozioni più
che la ragione dei cittadini, portando la battaglia nel campo della morale (il
Bene contro il Male) per costruire un paesaggio virtuale che sostituisca il
paesaggio reale dell´Italia, una sorta di iper-testo in cui contano solo le
ideologie, gli anatemi, le scomuniche.
Il venditore di sogni è diventato, senza accorgersi della tragica inversione di
ruolo, un suscitatore di incubi. Che poi deve inseguire, come ieri sera a
Ballarò, dov´è stato a sua volta inseguito dalle accuse contro lo "Stato
occulto" della sinistra e dei poteri forti lanciate nel pomeriggio a Panorama,
nel recinto di famiglia. L´apprendista stregone è costretto a portare il suo
pentolone sui mercati, perché nessuno compra più i suoi incantesimi. Già ieri,
con Alemanno esterrefatto al suo fianco, Rutelli e D´Alema che gli davano sulla
voce come a un qualunque Cicchitto, Berlusconi parlava ormai come un leader
d´opposizione, e lo straniamento italiano era completo.
Trascinato dalla
furia della sconfitta, incalzato dall´urgenza delle elezioni politiche tra un
anno, isolato dalla perdita di fiducia degli alleati nei suoi confronti,
Berlusconi ha deciso di farsi umano tra gli umani, rinunciando alla primazia e
all´alterità di ogni sua comparsa televisiva, sedendosi per la prima volta da
quando è sceso in campo in mezzo ai suoi competitori, e accettando un confronto
cui era sempre sfuggito.
Più che una trovata propagandistica, o una necessità di marketing, è stato un
disvelamento in pubblico. Il Cavaliere per la prima volta ha messo a nudo la sua
essenza cultural-ideologica, la sua natura politica. Senza filtri di telecamere
amiche, giornalisti dipendenti, riprese concordate, avversari prescelti, platee
prefabbricate, scenari e sfondi costruiti per ingigantire - ovviamente in
azzurro - la sacralità della leadership. No: ieri per la prima volta nella
storia del berlusconismo la leadership era nuda, protetta solo da una cartellina
manageriale di appunti e ritagli. Lo spettacolo e la sostanza politica del
dibattito non erano nemmeno nelle parole di Berlusconi. Ma nella sua necessità
disperata di rincorrere insieme Fini, la sinistra e gli elettori, cambiando
congiuntamente abitudini, stile, ruolo e status, in un´estetica
politico-televisiva cui il Cavaliere non è abituato e che lo espone per la prima
volta ad uno sguardo vero. Da cui emerge, se così si può dire, un impasto
imbarazzante di naivitè e aggressività, di dilettantismo e spirito guerriero, da
parte di un leader che è abituato a parlare senza contraddittorio, senza
interruzioni, senza domande in uno spazio amico e proprietario, e rivela
addirittura imbarazzo nel sentirsi rileggere in pubblico, davanti agli avversari
ridivenuti persone fisiche, le accuse che ha lanciato nel vuoto amichevole dei
suoi mass media.
È una svolta senza precedenti, che riduce il sovrano allo stato laico,
costringendolo a misurare dall´altra parte del tubo catodico la brutalità
immediata del meccanismo televisivo, addirittura con Nichi Vendola che prende
corpo alla pari sullo schermo, totem simbolico della sconfitta berlusconiana che
annulla ogni gerarchia.
Una svolta frutto della disperazione prodotta dal voto, dopo che per l´intera
giornata dei risultati, lunedì, il Cavaliere era scomparso, mimetizzato dietro
gli impegni invisibili del premier. Nella notte, Gianfranco Fini aveva
interrotto all´improvviso il rosario doloroso degli uomini di seconda fila,
Cicchitto e La Loggia (preoccupati soltanto di negare, dissimulare, manipolare
la disfatta e soprattutto di allontanarla dalla sacra immagine del premier), era
andato in televisione, dove aveva ammesso la sconfitta e aveva aperto senza
perifrasi la fase della resa dei conti nella destra. Ma in questo gesto, che
riempiva un vuoto, un silenzio, un deficit di responsabilità, si è avvertita
ancor di più la supplenza di una leadership che parla di sé con la retorica
eroica di sempre, mentre si sta sfarinando sotto gli occhi degli italiani.
In realtà si era capito negli ultimi mesi che il Cavaliere aveva "perso il
tocco", cioè i tempi e i toni della sua stessa musica politica, la capacità di
entrare e uscire dalla contesa scompigliando, di fare campagna fingendo di
governare e di governare battagliando: ma agendo sempre in un "altrove" rispetto
al paesaggio tradizionale dei partiti italiani. Drammatico, per il Grande
Comunicatore, il contrappasso di giovedì sera, quando lui e il suo notaio
televisivo hanno imposto alla Rai la servitù di un Porta a Porta registrato
mentre gli schermi di tutto il mondo interrompevano i loro programmi per dare la
notizia dell´inizio dell´agonia del Papa. Quel fuori-sincrono clamoroso e
insistito (che ha costretto la Rai a prendere le distanze da ciò che trasmetteva
con una scritta in sovrimpressione) è la misura e la prova di una parola
divenuta afasica e di una politica autistica, nella convinzione che al leader
basti comunque parlare agli italiani per redimerli dall´errore, convertirli e
infine salvarli, portandoli a sé. Mentre gli italiani, nel frattempo, hanno già
cambiato canale: o ascoltando, si sono convinti a votare contro.
Dietro la svolta non solo nella comunicazione berlusconiana, ma nell´immagine e
nella stessa identità del premier, non ci sono solo le 11 regioni conquistate
dalla sinistra, contro le due alla destra che confinano Forza Italia in un
paesaggio leghista lombardoveneto. Ci sono due milioni di voti in più per
l´Unione, due milioni di consensi (di cui ben 750mila in Lombardia) persi dalla
destra, il crollo di Forza Italia dal 25 al 18 per cento in cinque anni, il
passaggio in minoranza di tutta la Casa delle Libertà, che finisce al 45 per
cento nel Paese. C´è in questo risultato uniforme (il centrosinistra avanza in
tutte le regioni, mentre la destra arretra ovunque, con un 13,8 per cento in
meno rispetto al 2000) un giudizio evidente sul governo nazionale e sul suo
premier: l´incapacità di affrontare i problemi del Paese e primo fra tutti il
suo declino, l´incapacità di guidare la sua larghissima maggioranza
trasformandola in una vera forza di cambiamento, l´incapacità di rinunciare a
"riforme di scambio" che minano la Costituzione pur di risolvere gli equilibri
interni alla destra. Soprattutto, il voto testimonia un disincanto e certifica
la fine di un incantamento. Il sogno a colori berlusconiano di un Paese senza
regole spronato ad arricchirsi attraverso il soddisfacimento di ogni interesse
particolare, in un disordine di condoni e di egoismi, si è ormai sgonfiato nella
realtà della vita quotidiana delle famiglie: che si sentono più povere,
avvertono il ripiegamento del Paese, sentono che il sistema è senza guida.
C´è però qualcosa di più, magari immateriale, ma sicuramente misurabile nel voto
regionale. Il Paese è sfibrato da un clima da campagna elettorale permanente,
con il Cavaliere che reagisce agli insuccessi e alla perdita di presa sulla
società italiana alzando il livello dello scontro, sollecitando le emozioni più
che la ragione dei cittadini, portando la battaglia nel campo della morale (il
Bene contro il Male) per costruire un paesaggio virtuale che sostituisca il
paesaggio reale dell´Italia, una sorta di iper-testo in cui contano solo le
ideologie, gli anatemi, le scomuniche.
Il venditore di sogni è diventato, senza accorgersi della tragica inversione di
ruolo, un suscitatore di incubi. Che poi deve inseguire, come ieri sera a
Ballarò, dov´è stato a sua volta inseguito dalle accuse contro lo "Stato
occulto" della sinistra e dei poteri forti lanciate nel pomeriggio a Panorama,
nel recinto di famiglia. L´apprendista stregone è costretto a portare il suo
pentolone sui mercati, perché nessuno compra più i suoi incantesimi. Già ieri,
con Alemanno esterrefatto al suo fianco, Rutelli e D´Alema che gli davano sulla
voce come a un qualunque Cicchitto, Berlusconi parlava ormai come un leader
d´opposizione, e lo straniamento italiano era completo.
Il
terremoto in casa azzurra
ILVO DIAMANTI
STA cambiando geografia politica, l´Italia. L´atlante che si era delineato
all´indomani della prima Repubblica, dopo il voto regionale, appare quasi
irriconoscibile. Come un "terremoto", che scuote i legami fra territorio e
politica: i più profondi e i più solidi; ma, soprattutto, i più recenti.
La mappa geopolitica dell´Italia, dopo dieci anni di transizione, appariva
articolata in "quattro Italie".
1. L´Italia rosa: coincide con le regioni dell´Italia centrale (Toscana, Umbria,
le province più a Nord delle Marche, la Liguria orientale oltre all´Emilia
Romagna).
A cui si sono aggiunte, nell´ultimo decennio, alcune province del centrosud:
della Calabria, della Sardegna e, soprattutto, la Basilicata. Testimonia la
continuità di un rapporto fra società, identità e politica che ha radici
profonde e durature (il "cuore rosso" del paese, efficacemente raccontato da
Ramella, in un recente saggio pubblicato da Donzelli).
2. L´Italia verde: il Nordest e le province pedemontane della Lombardia.
L´Italia della piccola impresa, la zona "bianca", che un tempo votava per la Dc,
e, a partire dagli anni ´80, ha espresso la "rivolta" del Nord. L´Italia che, da
vent´anni, vota per la Lega "contro" lo Stato centrale e il sistema nazionale
dei partiti.
3. L´Italia "grigia": orientata verso An, ma anche verso i partiti neodc
(ultimo, l´Udc); mutuandone il retroterra postfascista, ma andando ben oltre.
Comprende le province centromeridionali, che da Roma corrono fino alla Puglia,
attraversando le Marche, l´Abruzzo e il Molise.
4. Infine l´Italia azzurra. La nuova Italia e l´Italia del nuovo. L´unico
soggetto politico con una geografia "nazionale". Nel Nord: parte da Milano e
raggiunge la Liguria occidentale. Nel centrosud: le province della costa
tirrenica, che corrono fra Lazio e Campania. E soprattutto le isole: la Sicilia,
tutta; le province più a Sud della Sardegna. Un arcipelago di isole, che
riassume interessi, valori, orientamenti sociali differenti. E divergenti.
Eppure, proprio questa struttura frammentata ha permesso a FI di fungere da
network per le altre Italie di destra. Quella verde, del Nord, che rivendica
liberismo e federalismo; quella grigia, del centrosud, che chiede intervento
pubblico e protezione sociale. L´Italia che vorrebbe minimizzare lo Stato, se
non allontanarsi da esso. E quella che, invece, lo vorrebbe sempre accanto, a
garantire lavoro e assistenza.
L´Italia azzurra, a sua volta diversificata, frammentata, per geografia e
identità. Tenuta insieme dal riferimento comune al leader. A Berlusconi. Che le
permette di apparire "una" e "coerente", anche se è "molte" e "distinte".
Ebbene, questa mappa politica, dopo il voto regionale, non la riconosciamo più.
E non basta sottolineare la specificità di questo tipo di elezioni. Né osservare
che FI è un partito che dà il meglio alle elezioni politiche nazionali, quando
entra in gioco la figura del Capo. Quando fa davvero da network e nazionalizza
le molteplici diversità locali che sottende. Perché, fra il 1999 e il 2001, FI
aveva ridotto la differenza di rendimento fra un´elezione e l´altra.
Raggiungendo il 25% alle europee, il 26% alle elezioni regionali e il 29% alle
politiche. Come la marea, aveva ricoperto l´Italia, guidando la navigazione
degli altri vascelli del centrodestra. Perché il centrodestra – questo è il suo
problema – fino ad oggi è riuscito a vincere solo quando la marcia di FI è
risultata trionfale. Il successo della coalizione, in altri termini, riflette
quello di FI. Mentre quando FI entra in crisi, il centrodestra perde, anche se i
suoi alleati ottengono buoni risultati. Come nelle elezioni amministrative,
regionali ed europee degli anni scorsi. Come in questa occasione. A livello
nazionale, la CdL ha perso il 7% dei voti, rispetto al 2000, così come Forza
Italia (anche a causa delle liste personali, in Puglia e Liguria). Su base
territoriale: nel Nord la CdL ha perso il 7%, FI l´8%; nel Centro: la CdL - 6% e
FI -3%; nel Mezzogiorno, la CdL -7% e FI -8%.
Non
la riconosciamo più, la geografia italiana. La zona "rosa": si è dilatata. Il
centrosinistra ha vinto superando il 60% dei voti validi in 4 Regioni. Alle
tradizionali roccaforti, costituite da Emilia Romagna, Umbria e Toscana
(considerando anche Rifondazione), si è aggiunta la Campania. Ma ha conseguito
più del 57% anche nelle Marche, in Abruzzo e in Calabria. È probabile, inoltre,
che ottenga una performance significativa anche in Basilicata, dove si voterà
fra dieci giorni. Così, ci troviamo di fronte a un´Italia centromeridionale
governata dal centrosinistra, sulla base di un consenso nettamente
maggioritario. Il che conterà molto, in vista delle prossime competizioni
elettorali. Perché le regioni gestiscono risorse, servizi. E i governatori
conquistano visibilità crescente.
L´Italia grigia si è scolorita. Resta un terreno aperto e competitivo, dal punto
di vista elettorale. Ma ora a guidarla è il centrosinistra. Il che è grave, per
An, che nel Lazio aveva la vetrina, ma anche la "patria politica".
Infine la zona azzurra, Non c´è più. Scomparsa. Nel Nord, la CdL ha perso il
governo del Friuli-Venezia Giulia, due anni fa. Oggi la Liguria e soprattutto il
Piemonte. Nelle altre regioni e province autonome non ha mai governato. Per cui
si trova confinata nella ricca e sviluppata Repubblica del Lombardo-Veneto. La
culla dell´autonomismo leghista e del soggetto politico azzurro; dove coabitano,
a poca distanza uno dall´altro, Berlusconi, Bossi, Tremonti e Calderoli. Il che
spiega una parte, almeno, dei problemi incontrati dal centrodestra, in questa
occasione. La fine della coesistenza. Della coabitazione. Che riflette la fine
della zona azzurra. I sentimenti e gli interessi del centrosud in collisione con
quelli del Nord padano e di Milano. La società del Mezzogiorno rancorosa e
risentita contro la "capitale" della Repubblica azzurra; che sta a Milano.
Intimorita dalla devolution, al di là di ogni spiegazione. Diffidente nei
confronti del ruolo assunto dalla Lega antiromana. E indisponibile ad accettare
la ristrutturazione dei servizi sociosanitari. Decisa a gridare forte il suo
malessere per il costo della vita e dei servizi. Non a caso i "transumanti"
(secondo la definizione di Pagnoncelli) che dal centrodestra passano al
centrosinistra (secondo l´Ipsos) provengono prevalentemente dai ceti più
vulnerabili e insicuri: le casalinghe e i pensionati. Hanno deciso di votare per
il centrosinistra, stavolta, non tanto e non solo contro i governatori del
centrodestra, ma contro il governo arroccato nel Lombardo-Veneto. E contro il
cavaliere azzurro, che li ha illusi e poi delusi.
Il
che suggerisce alcune osservazioni, per ridisegnare le mappe e la bussola della
politica del nostro tempo.
1. Questo terremoto scuote le basi della solidarietà del centrodestra. Le
fondamenta della CdL. Del partito che la rende possibile. Del leader che la
guida. Come si era intuito un anno fa, dopo il voto europeo. Il modello
Berlusconi: imperniato sulla centralità del leader e sull´asse del Nord, sul
partito leggero e sul marketing mediatico. Non funziona più. Ma non è detto che
il centrodestra ne possa fare a meno, nel prossimo futuro. Perché è difficile,
per gli inquilini della CdL, riuscir, altrimenti, a coabitare. E a vincere.
2. Più in generale, questo risultato dimostra che l´era della "grande
glaciazione" che aveva caratterizzato le scelte elettorali nella prima
Repubblica – e che Berlusconi era riuscito a riprodurre e a riaffermare – sta
finendo. Si è aperta una nuova fase di "scongelamento" delle fedeltà politiche
che rende possibile la mobilità elettorale. Non solo attraverso il passaggio
dall´astensione al voto, ma anche attraverso lo scavalcamento da uno
schieramento all´altro. Com´è avvenuto in questa consultazione, caratterizzata
da flussi elettorali da destra a sinistra, che hanno interessato FI, ma anche
altri partiti (i neodemocristiani), soprattutto nel Mezzogiorno. È una tendenza
che riflette il declino di pregiudizi vecchi e nuovi. Ben riassunti
dall´elezione di Vendola, neopresidente della Puglia. Omosessuale e comunista.
Non ha spaventato gli elettori "moderati" e disincantati. Che forse lo hanno
votato anche per questo. Perché la sua identità politica e personale ha permesso
di marcare meglio la voglia di distacco e di protesta.
3. Il centrosinistra fa, quindi, bene a festeggiare. Ha ottenuto un successo
inatteso, per ampiezza e proporzioni. Ma sbaglierebbe a "montarsi la testa". A
considerare queste mappe parte di un nuovo Atlante politico, destinato a durare
per decenni. A considerare acquisiti i confini della nuova Italia rosa. Non è
così. Dopo la grande glaciazione, dopo il terremoto elettorale del 3 aprile del
2005, il paesaggio politico del paese resta instabile. Tutto da ridisegnare.
Ipotesi
sorpasso alle Politiche
All’Unione 60 seggi più del Polo
di RENATO MANNHEIMER
Qualcuno ha definito l’esito delle regionali di domenica e lunedì un evento
storico. Altri, memori di «terremoti» simili avvenuti nel passato, hanno
suggerito maggiore cautela. Di certo, il risultato elettorale, pur somigliante,
almeno in parte, a quello delle europee dell’anno scorso, ha sconvolto gli
equilibri politici. Alcuni elementi possono aiutare a valutare la reale natura
del fenomeno. 1) Quanti voti ha perso il centrodestra?
La CdL ha subito un'erosione sia a causa dell'astensione, sia per defezioni a
favore della coalizione opposta. I passaggi diretti sono più facilmente
rilevabili confrontando il risultato odierno con le regionali precedenti,
svoltesi nel 2000, dato che la percentuale di votanti è grossomodo la medesima.
Una accurata analisi, prontamente effettuata dall'Istituto Cattaneo di Bologna,
mostra come, considerando i voti ai candidati presidenti, il centrosinistra
abbia guadagnato, rispetto ad allora, oltre due milioni di voti, a fronte di una
perdita di entità quasi analoga da parte del centrodestra. Si tratta grossomodo
del 7% dei votanti nel loro complesso. Che, ciò che è più importante,
rappresentano quasi un settimo (13,8%) dei voti che il centrodestra ottenne nel
2000. E' ragionevole pensare che gran parte di costoro sia passata dalla CdL
all'Unione.
E’ la prima volta da molto tempo che una elezione è caratterizzata da un così
ampio flusso da una coalizione all’altra. Ma occorre ricordare che le ultime
elezioni per il Parlamento, svoltesi nel 2001, videro una affluenza assai
maggiore (di quasi il 10%) delle regionali dell'anno precedente e che una parte
consistente di questi elettori «in più» scelse il centrodestra.
Successivamente la partecipazione elettorale è ritornata a calare, ciò che ha
portato a una contrazione dei consensi per la CdL, manifestatasi anche nelle
europee dello scorso anno. Di qui l'ipotesi, più volte verificata dagli studi
scientifici, che la gran parte dell'elettorato della CdL si sia in qualche modo
«smobilitata» non recandosi più a votare. Insomma, la CdL ha perso sia a causa
delle defezioni, sia per i flussi verso l’astensione. I secondi paiono maggiori
delle prime. Considerando dunque le ultime politiche, in vista di quelle del
2006, il centrodestra dispone dal punto di vista quantitativo, di un mercato
potenziale più ampio tra chi, avendolo scelto nel 2001, ha poi deciso di
astenersi.
2) Chi, nel centrodestra, ha perso di più?
L’erosione di consensi della CdL, si è concentrata perlopiù su FI, come peraltro
si era già verificato alle europee del 2004. Il partito del presidente del
Consiglio ha perso circa 7 punti rispetto al 2000 e quasi 10 rispetto alle
politiche del 2001. Le altre componenti della coalizione mostrano erosioni
inferiori se non addirittura - è il caso della Lega - degli incrementi. Con
tutta probabilità, FI è stata colpita in quanto espressione diretta di
Berlusconi. Priva di tradizioni di appartenenza ideologiche (tuttora presenti in
An) o di specifici radicamenti territoriali (come la Lega) essa subisce
direttamente l'andamento dei consensi per il Cavaliere. E paga, quindi, più di
altri, il sentimento di delusione nei confronti dell'attività di governo
presente in alcuni settori dell'elettorato dei centrodestra.
3) Dove la CdL ha subìto perdite maggiori?
Il dato che ha giustamente più colpito tutti gli osservatori è il calo di
consenso - e la conseguente perdita - nelle Regioni meridionali. Ma,
considerando il risultato del 2000, l'indebolimento maggiore si è verificato in
Lombardia, ove l'erosione supera un quinto dei voti delle regionali precedenti.
Ancora, i cali più consistenti si sono manifestati in generale nei contesti più
urbanizzati. Vale a dire, in quelle che erano considerate le roccaforti del
centrodestra.
4) Quali saranno le conseguenze future?
L’esito delle elezioni avrà da subito effetti importanti negli equilibri interni
al governo. In particolare, il relativo successo della Lega potrebbe rafforzare
le richieste e il ruolo del movimento di Bossi. Ma, al tempo stesso, la perdita
di tutte le Regioni meridionali in gioco costituisce un segnale che,
probabilmente, verrà raccolto dalle componenti della CdL che maggiormente si
oppongono ad una eccessiva caratterizzazione «leghista» delle scelte di governo.
Sul piano dei rapporti di forza parlamentari, un primo computo (effettuato in
ISPO da Paola Merulla e Serena Scocchia), sulla base dei risultati per provincia
(in assenza, per ora, dei dati per ciascun collegio) mostra che, se se i voti
fossero serviti per assegnare i seggi per la Camera, avremmo assistito ad un
significativo cambio di maggioranza.
Le Regioni interessate al voto, infatti, esprimono 522 deputati, di cui 393
nella quota maggioritaria e 129 in quella proporzionale. Nel 2001 il
maggioritario assegnò 171 parlamentari all'Ulivo e 222 alla Casa delle Libertà.
Il proporzionale diede 59 deputati al centrosinistra e 70 al centrodestra. Oggi
questa proporzione potrebbe addirittura invertirsi, specie per effetto del voto
nel meridione. L’Ulivo avrebbe nel complesso 291 seggi, mentre la Cdl 231. In
totale, dunque, si assisterebbe allo spostamento di 60 seggi da una coalizione
all'altra. Ciò muterebbe radicalmente le maggioranze. E colpirebbe probabilmente
in misura radicale la componente di FI.
Si tratta però, di una mera esercitazione di calcolo. Poiché, se fosse stata una
elezione politica, avremmo assistito ad una campagna elettorale con candidati ed
argomenti differenti. Nessuno può dire, dunque, in che misura il risultato di
oggi sarà replicato l'anno prossimo. Dipende più che altro dalla capacità del
centrodestra di riconquistare i suoi elettori, quelli transfughi e quelli
astenuti. Ma, come in certe relazioni sentimentali, questa volta, forse, le
promesse non bastano più.