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L'EX PREMIER E
LA NUOVA LEGGE ELETTORALE
PROPOSTA DALLA CDL
Amato: questa
riforma resuscita il centro
«Sospetto che
qualcuno l'abbia pensata per sfasciare il bipolarismo. Si rischia una
Babele» «Nascerebbero tre coalizioni, ciascuna in grado di conquistare la
maggioranza con il 30%»
Il proporzionale è un rimedio sintomatico alle divisioni interne degli
schieramenti L'Unione dovrà cancellarlo, puntando a un maggioritario a
doppio turno
Paolo Franchi
ROMA — I partiti
della maggioranza? «Sono come dei separati in casa, che vivono sotto lo stesso
tetto ma, per esempio, non possono cucinare insieme per non incontrarsi».
Giuliano Amato è convinto che risieda qui, nelle divisioni della maggioranza, il
primo motivo che ha indotto il centrodestra a dar battaglia per cambiare la
legge elettorale: «Un candidato dell'Udc, in un collegio uninominale del Nord,
non prenderebbe mai il voto leghista». Ma, aggiunge, «nella farmacopea questo
escogitato dalla Casa delle Libertà si chiama un rimedio sintomatico»: per
venire a capo delle malattie che affliggono in tanti Paesi le coalizioni servono
ben altre cure.
Vuol dire che il problema non è soltanto del centrodestra, e neppure solo
italiano?
«Certo, e gli esempi si sprecano. Dalla Norvegia, dove i socialisti, europeisti
convinti, dovranno governare con antieuropeisti altrettanto convinti, alla Nuova
Zelanda, dove Hellen Clark, laburista, che ha appena vinto le elezioni, deve
tenere insieme forze favorevoli e forze assolutamente contrarie
all'immigrazione. Alle divisioni classiche, figlie del conflitto tra capitale e
lavoro, dappertutto se ne aggiungono e se ne sostituiscono di nuove e diverse. E
i contenitori politici che abbiamo non riescono ad amalgamare, ma solo a
riflettere i contrasti. Come in uno specchio».
Verissimo. Ma non ci stiamo allontanando un po' troppo dalla battaglia in corso
a Montecitorio?
«Faccio io una domanda: vogliamo avviarci verso Babele o provare a coagulare le
nuove identità collettive? Nel secondo caso, la superiorità del maggioritario è
indiscutibile».
Ma sono indiscutibili anche i vizi del maggioritario all'italiana, che non ha
semplificato il sistema politico ma, paradossalmente, ne ha moltiplicato attori
e comparse...
«Potrei risponderle che lo ha scritto lei: è tutto vero, ma il rimedio del
centrodestra è peggiore del male. Non c'è dubbio che, con la legge in vigore e
con gli attuali regolamenti parlamentari, i Proci disfano la tela della Penelope
maggioritaria. Ma allora, dico io, diamo una mano a Penelope, non ai Proci».
E come?
«Io credo che il sistema maggioritario a doppio turno, alla francese, sia il
veicolo migliore per la coesione. Questa non è una priorità, ma la direzione di
marcia giusta sì».
Romano Prodi e Massimo D'Alema sostengono che, se passasse questa legge
elettorale, il centrosinistra al governo dovrebbe cancellarla per tornare al
maggioritario. È d'accordo?
«Sì. Fece così anche la destra francese cancellando la proporzionale introdotta
due anni prima, a suo danno, da Mitterrand».
Anche Luca di Montezemolo, a Capri, non ha risparmiato critiche al nostro
maggioritario. Ha letto le sue parole come una presa di distanze dal
centrosinistra?
«Le riflessioni critiche di Montezemolo su questo maggioritario sono in gran
parte le nostre. Certo, c'è stata anche una sua colazione con il presidente
della Camera dai toni particolarmente conviviali. Ma io penso che la nostra
coalizione, se produrrà un'azione di governo efficace, sarà in sintonia con il
Paese. E quindi anche con gli imprenditori».
Con la legge elettorale del centrodestra, invece...
«Questa riforma può sfasciare il bipolarismo. E forse qualcuno la ha ideata
proprio in questa chiave. Non penso alle prossime elezioni, penso al dopo. Alla
possibilità che le attuali coalizioni si scompongano. E prenda corpo un centro,
che a quel punto aspirerebbe ad avere, alla sua destra e alla sua sinistra, due
forze un po' più piccole. Risultato: ci sarebbero tre agglomerati politici,
tutti e tre con una forza stimabile tra il 20 e il 30 per cento, tutti e tre in
grado di vincere, conquistando, con il premio di maggioranza, 340 seggi alla
Camera. Sarebbe il salto con l'asta più notevole della storia...».
Le sembra una possibilità realistica?
«Certo non mi sembra pura fantapolitica. Anche se continua a stupirmi il fatto
che, invece di ragionare su come andare avanti, si ragioni su come tornare
indietro. Immaginando, a torto, che il centro geometrico del sistema politico
coincida con il centro delle nostre società».
Non è detto che il passato non si ripresenti. In Germania c'è di nuovo la Grande
Coalizione.
«Sì, ma è una soluzione di ripiego: Dio aiuti la Spd a reggere la concorrenza
spietata che le faranno Oskar Lafontaine e gli ex comunisti. Insisto: il tema
non è il passato, il tema è il futuro, la capacità di ricondurre la pluralità
delle posizioni a due scelte di fondo».
Anche l'Unione, quanto a pluralità, o se preferisce a divisioni interne, non
scherza davvero.
«Non sarò io a negarlo. Soprattutto in politica internazionale, viste le
turbolenze del mondo, le divisioni ci sono, eccome. E non potrebbe essere
altrimenti se in nome di un pacifismo irriducibile si dice, come ha detto Fausto
Bertinotti, che al Kossovo deve provvedere l'Onu, dimenticando che il pasticcio
del Kossovo l'Onu lo gestisce da anni. Lo sforzo è tenere insieme le diversità
in un'unica Unione per una sfida di governo».
Si aspetta un programma comune. Ma intanto ci sono le primarie, e del programma
si parlerà solo dopo.
«È giusto che sia così, e io lo sostengo da un pezzo. Una cosa è piegare la
testa al "tavolo" di Piazza Santi Apostoli, un'altra prendere atto del risultato
di un voto popolare, dopo un confronto democratico. Il programma? Se prendo il
20 per cento, tu che hai preso il 60 o il 70 dovrai tenerne conto, si capisce,
ma nell'ambito della tua impostazione. Il dopo produce i suoi effetti dopo, non
prima: le cose dette prima del voto da Prodi assumeranno, dopo, un significato
diverso, più forte. Pensi all'Europa. Prodi non perde occasione per metterla in
rilievo. E Bertinotti, che è l'altra campana, dovrà prendere atto dopo la
sconfitta dell'affermazione di un punto di vista fortemente europeista».
Capisco. Intanto, a Milano, Umberto Veronesi rinuncia alla candidatura a Palazzo
Marino.
«Il centrosinistra milanese avrebbe dovuto portare un cero alla Madonna per la
sua disponibilità. Adesso tutti quelli che gli hanno messo mille bastoncini tra
le ruote farebbero bene a riflettere sul bel risultato che hanno ottenuto».