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Gli svantaggi del
ritorno al proporzionale
LE RAGIONI PER DIRE NO
di SABINO CASSESE
Conviene ritornare al proporzionale? Tralascio i vantaggi dei partiti (il
centrosinistra dovrebbe conseguire una vittoria meno forte, l'Udc liberarsi del
potere condizionante del «leader»). Tralascio anche i dubbi di costituzionalità
sulla proposta di legge (rispetto delle norme sull’elezione del Senato e sul
numero minimo dei senatori per regione, del principio della segretezza del voto,
della nomina presidenziale del presidente del Consiglio, delle minoranze
linguistiche, ecc.). Valuto solo vantaggi e svantaggi collettivi. La proposta
della maggioranza di centrodestra prevede la ripartizione dei seggi con metodo
proporzionale tra liste bloccate preparate dai partiti, che possono collegarsi
in coalizioni con unico programma e unico candidato presidente del Consiglio. La
coalizione con maggior numero di voti guadagna un premio variabile di seggi, che
può essere anche molto alto, e comunque tale da raggiungere 340 deputati e 170
senatori. Le liste che da sole non abbiano raggiunto il 4 per cento dei voti e
in coalizione non abbiano conseguito il 2 per cento sono escluse dal riparto dei
seggi.
Questa proposta produce tre conseguenze. Ridà ai partiti un ruolo dominante.
Essi ridiventano protagonisti. Sono loro che scelgono i parlamentari. È a loro
che deputati e senatori dovranno rispondere.
Accentua le divisioni tra i partiti alleati, perché ognuno di essi deve cercare
voti per sé, innanzitutto nel bacino della coalizione di cui fa parte. I partiti
dovranno procedere come alleati per vincere insieme, ma facendosi la guerra
l'uno contro l'altro, per affermare il proprio peso nella coalizione.
Aumenta il potere condizionante degli associati nella coalizione. Ogni parte
della coalizione mantiene la sua forza, non dipende dalla coalizione, perché ha
seggi in misura proporzionale al suo peso. Esiste in quanto parte della
coalizione per arrivare al governo. Non si annulla se non arriva al governo.
Il risultato complessivo di questo metodo di conteggio dei voti sarà la
frammentazione, perché è difficile unire al vertice una piramide che nasce
separata alla sua base. I partiti dovranno dividersi per contarsi, unirsi per
vincere.
Questo metodo modifica la scelta del 1993, che trasferiva la decisione sul
governo dal Parlamento al popolo e, quindi, stabilizzava l'esecutivo,
aumentandone la durata (si è passati da governi che duravano, in media, un anno
a governi di durata media di cinque anni). La riforma elettorale del 1993 è
stata attenuata dalla quota proporzionale, dal sistema di finanziamento dei
partiti e da altre scelte dirette a bilanciare o contrastare la semplificazione
del sistema politico. Non è servita a ridurre i difetti del multipartitismo.
Inoltre, su di essa si è innestata la paura del bonapartismo e della tirannide
della maggioranza, paradossalmente altrettanto forte all'interno delle
coalizioni che tra le coalizioni.
Il ritorno al proporzionale rischia di precipitarci nuovamente nella palude del
parlamentarismo dei governi effimeri. La ragione dovrebbe consigliare, invece,
di sperimentare fino in fondo (arrivando al doppio turno) la formula elettorale
maggioritaria, scelta con il referendum del 1993 dall'83 per cento dei votanti.