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Proporzionale, una via sbagliata
IL BIPOLARISMO DA DIFENDERE
di ANGELO PANEBIANCO
Forse la maggioranza resterà compatta questa settimana al momento della
votazione sulla reintroduzione del sistema proporzionale, superando la
resistenza dell'opposizione. Se ciò avverrà, finirà così, ingloriosamente,
l'esperimento iniziato poco più di un decennio fa, il più ambizioso tentativo
del dopoguerra di trasformare la politica italiana, e a cui venne dato il nome,
un po' velleitario, di Seconda repubblica. Sono tanti i critici del sistema
elettorale misto (due terzi di maggioritario, un terzo di proporzionale) oggi
ancora in vigore, che uscì dalle convulsioni dei primi anni Novanta. Una
valutazione equilibrata dovrebbe però far riconoscere, accanto alle ombre, anche
le luci. Per ben tre volte (1994, 1996, 2001) grazie a quel sistema elettorale,
i cittadini-elettori hanno potuto fare ciò che era loro proibito nel
quarantennio precedente: votare per una coalizione predefinita, per un governo,
per un leader. Inoltre, il bipolarismo innescato dalla legge maggioritaria ha
prodotto altri benefici, meno visibili. Per esempio, ha favorito anche in
Italia, almeno in parte, quell'affermazione del primato del governo rispetto al
Parlamento che è tipica delle democrazie maggioritarie e che spiega perché tali
democrazie ottengano in genere risultati migliori delle democrazie proporzionali
in faccende come il controllo della spesa pubblica.
Gli aspetti negativi sono stati tre. Non c'è stato l'effetto-valanga su cui
puntavano negli anni Novanta i fautori del maggioritario (compreso chi scrive):
è mancata la riforma delle istituzioni che avrebbe dovuto adeguarle alla nuova
logica maggioritaria. Non c'è stato poi un cambiamento del costume politico. Il
maggioritario richiede lotta dura ma anche quella particolare forma di fair play
che consiste nell’astenersi il più possibile dalla demonizzazione
dell'avversario: il contrario di quelle continue manifestazioni di odio feroce
fra le fazioni che hanno segnato il decennio. Forse, molto più tempo è
necessario perché siffatti cambiamenti del costume si verifichino.
Da ultimo, all'affermazione del bipolarismo non si è accompagnata una
ricomposizione degli schieramenti. Il maggioritario ha convissuto con una
frammentazione partitica esasperata (frutto, a giudizio di chi scrive, del modo
repentino e traumatico con cui vennero distrutti i partiti della Prima
repubblica). È il punto essenziale. Il destino della «rivoluzione maggioritaria»
che oggi si compie venne in realtà deciso nel 1999, quando fallì il referendum
per l'abolizione della quota proporzionale. Quel fallimento bloccò per sempre i
processi di aggregazione all'interno delle due coalizioni. Garantì la
perpetuazione della frammentazione partitica. E la frammentazione, come ora si
constata, non può convivere a lungo con il sistema maggioritario, «pretende»,
prima o poi, la proporzionale come proprio necessario complemento.
Il centrodestra, con la sua riforma elettorale, sta rendendo un cattivo servizio
al Paese. Questo però si può dire senza bisogno di uscire dal seminato (e dalla
ragione), parlando di «attentato alla democrazia» come va facendo in queste ore
una parte dell'opposizione. Non ci sono attentati alla democrazia. C'è solo la
(lecita) decisione della maggioranza di cambiare legge elettorale. Sugli effetti
di lungo termine di questa decisione è ragionevole essere pessimisti.