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LA
SQUADRA IMPRESENTABILE CHE CI HA GOVERNATO
EUGENIO SCALFARI
NON è la prima volta che Calderoli si dimette da ministro delle Riforme. Lo fece
qualche mese fa per mantenere il voto parlamentare sulla legge detta «devolution»
al primo posto nell´agenda delle Camere. Quel gesto, spalleggiato da Bossi e
fiancheggiato dallo stesso presidente del Consiglio, serviva a mettere in riga
il partito di Casini e riuscì perfettamente nell´intento. Le dimissioni furono
prontamente ritirate e la legge passò con il voto blindato di tutta la
maggioranza.
Questa volta il caso è diverso, c´è di mezzo il rapporto con la Libia, deposito
e serbatoio del flusso imponente dell´emigrazione clandestina africana. Ci sono
di mezzo anche undici morti e decine di feriti, ma di quest´aspetto cruento
delle goliardate leghiste nessuno si preoccupa, né in Italia ma neppure in
Libia, quella gente è carne da cannone e di loro chi se ne frega.
Apro una parentesi: per virtù di Berlusconi la Libia è da due anni uscita
dall´elenco degli Stati-canaglia e dall´embargo che vigeva fin dai tempi di papà
Bush. La sua «riconquista» alla democrazia occidentale e all´amicizia con
l´Italia è stata più volte celebrata e portata ad esempio insieme alle elezioni
democratiche (?) in Egitto, in Libano e in Iraq. Per noi in particolare è stato
sbandierato come grande successo l´accordo di congiunta sorveglianza dei porti
libici per impedire gli imbarchi clandestini. Il nostro ministro dell´Interno è
stato varie volte a Tripoli affiancato da folte delegazioni e tornandosene a
casa onusto di allori e di protocolli di intesa.
Risultati concreti neppure l´ombra: gli imbarchi dei clandestini sono
tranquillamente continuati. Ma ora apprendiamo dallo stesso governo che la Libia
è rimasta un paese dominato da un regime di terrore e che il malanimo contro
l´Italia è più vivo che mai. Noi lo sapevamo da un pezzo, ma la versione
ufficiale dipingeva bianco quello che ora risulta nero e il sistema televisivo
comunicava fedelmente il messaggio alle masse degli italiani in ascolto.
Contrordine: non è così. Il colonnello Gheddafi è tuttora un nostro acerrimo
nemico.
Comunque il caso Calderoli non è un episodio personale dovuto all´irruenza non
controllabile d´un personaggio bizzarro. Il caso Calderoli nasce nell´humus
leghista, nella innata patologia leghista, nella sua anomalia che però da cinque
anni costituiscono il puntello più efficace di Berlusconi nei confronti degli
altri suoi alleati e nel dominio elettorale (almeno finora) delle grandi regioni
padane.
Squadra impresentabile
I vertici il
Cavaliere li fa con Fini e Casini ma per Bossi c´è il trattamento speciale della
cena del lunedì nella villa di Arcore, con il sottosegretario Brancher come
terzo convitato, quello stesso che nelle deposizioni del banchiere Fiorani
risulta destinatario di cospicue elargizioni da parte della Banca popolare di
Lodi.
Il ministro Fini e il ministro Buttiglione hanno detto l´altro ieri che il
comportamento di Calderoli è vergognoso. La verità è un po´ diversa: è
vergognoso che Calderoli sia ministro della Repubblica come è vergognoso che il
ministro della Giustizia sia Castelli ed è altrettanto vergognoso lo sia Lunardi,
ministro dei Lavori Pubblici e al tempo stesso appaltatore di lavori pubblici.
Lunardi semmai ha la scusante che il vero titolare dei conflitti d´interesse è
lo stesso presidente del Consiglio.
In questo ha ragione. È infatti vergognoso che al vertice del potere esecutivo
sieda Silvio Berlusconi.
* * *
Del sondaggio americano nessuno ormai parla più, neppure il suo Committente. È
stato affondato dal semplice fatto che la ditta che l´ha effettuato è il
consulente della campagna elettorale del Committente, per conseguenza il
sondaggio costituisce uno degli elementi della consulenza.
Ma ne accenno qui solo per ricordare un particolare abbastanza umoristico oltre
che rivelatore: quando il Committente annunciò d´avere affidato alla Pbs un
sondaggio elettorale disse che esso avrebbe certificato l´avvenuto sorpasso
rispetto alla coalizione avversaria. Lo annunciò, il sorpasso, nel momento
stesso in cui dava il via a quel sondaggio del quale però conosceva già l´esito
prima ancora che fosse effettuato. Una preveggenza fantastica, fuori dal comune.
Accanto a Napoleone e a Gesù Cristo abbiamo la reincarnazione dell´oracolo di
Delfi e della Sibilla Cumana. Poi si dice che un uomo così ce lo invidiano anche
all´estero. Lo credo bene. Ce lo invidiano e ne ridono a crepapelle. Purtroppo
per noi non è un oggetto esportabile.
Se glielo mandassimo in dono respingerebbero il pacco al mittente senza neppure
aprirlo.
* * *
Accantonato il sondaggio, ora si discute se il Contratto con gli italiani
firmato in carta da bollo da Berlusconi durante la campagna elettorale del 2001
sia stato onorato oppure no. C´è chi giura sul suo completo adempimento, chi lo
nega e chi si tiene a mezza strada e fornisce percentuali più o meno verificate
e verificabili.
Se ne parla da Vespa, se ne parla a «Primo Piano», se ne parla soprattutto nel
salottino televisivo di Giuliano Ferrara e in altri luoghi consimili.
La verità l´ha bene scritta Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di
qualche giorno fa. Noi - se è permessa l´autocitazione - l´avevamo scritto fin
da allora cinque anni fa e poi l´abbiamo ripetuto fino alla noia.
La verità è dunque questa: l´obiettivo principale di quel contratto era
sbagliato in radice. Primo perché era irrealizzabile e lo si sapeva fin da
allora. Secondo perché quand´anche fosse stato realizzato era un obiettivo non
utile al buon andamento dell´economia italiana. Per questo è del tutto inutile
discutere se sia stato realizzato o no.
L´obiettivo principale, che fu in gran parte l´elemento della vittoria del
centrodestra, era la riforma delle aliquote Irpef e Irpeg e il connesso
abbattimento della pressione fiscale. Improbabile da realizzare perché proprio
all´inizio del 2001 (e non dopo l´11 settembre come ancora afferma Tremonti)
cominciò a sgonfiarsi rovinosamente la bolla speculativa che aveva sostenuto per
anni la Borsa americana e la domanda internazionale.
Un governo capace avrebbe dovuto sapere che la domanda mondiale, consumi e
investimenti, stava entrando in situazione di ristagno, che il Pil dei paesi
industriali sarebbe diminuito e che di conseguenza le entrate tributarie
avrebbero registrato serissime difficoltà.
In queste condizioni ridurre la pressione fiscale e volgere verso più basse
aliquote le imposte sul reddito era un rischio della massima gravità. Ma tutto
questo fu volutamente ignorato.
Dico volutamente perché Berlusconi e i suoi spin doctors elettorali erano sicuri
(ed in questo avevano ragione) che lo slogan «meno tasse per tutti» avrebbe
assicurato la vittoria. Di qui la grande idea del Contratto e di qui il vincolo
che il «premier» pose al suo ministro dell´Economia: ridurre le aliquote doveva
essere l´obiettivo da realizzare a tutti i costi. Del resto lo è ancora oggi
visto che il «premier» promette e s´impegna per i prossimi cinque anni ancora
sul tema della riduzione delle tasse (il che tra l´altro è l´ennesima conferma
che quell´obiettivo non è stato realizzato).
Tremonti naturalmente ubbidì. Con ritardo ma non per colpa sua. Nei primi cento
giorni (ma anche nei secondi e nei terzi cento giorni) la legislazione ad
personam e l´inutilissima battaglia sull´articolo 18 (che fu poi abbandonata
come un figlio bastardo) impegnarono le energie di tutto il governo e di tutta
la maggioranza. Ma poi arrivò il momento di adempiere all´impegno maggiore. Si
buttarono al vento i primi 6 miliardi, poi altri 6 e ci si preparava ad arrivare
ad un totale di 18. Ventiquattromila miliardi di vecchie lire gettate dalla
finestra che ebbero effetto zero sui consumi, sugli investimenti, sulla
competitività, sulla dimensione delle imprese. Ma ebbero effetto rovinoso sulla
finanza e sull´economia nel suo complesso: avanzo primario distrutto, debito
pubblico aumentato, esportazioni in crollo, perimetri internazionali saltati.
Per evitare la bancarotta certificata piovvero i condoni, la finanza creativa,
lo spostamento del peso fiscale sugli enti locali e sui servizi, l´accrescimento
delle imposte indirette sui consumi e sugli affari.
Nei più recenti dibattiti televisivi Tremonti sostiene che l´azzeramento
dell´attivo di bilancio non ha alcuna importanza e che viceversa quello che
conta è l´andamento del debito pubblico che per noi sta andando bene.
Per me è fonte di crescente e anche ammirato stupore ascoltare queste
affermazioni da parte del ministro dell´Economia che ce le propina nella
convinzione evidente di avere come interlocutori dei perfetti imbecilli (tra gli
interlocutori ci metto per primi 50 milioni di elettori ai quali queste
affermazioni sono rivolte). Ma a questo punto voglio osservare: 1. Quando il
rapporto fra entrate e spese è squilibrato l´avanzo primario del bilancio
sparisce e diventa disavanzo. Così è esattamente avvenuto nei cinque anni di
governo del centrodestra.
2. Quando il bilancio è in disavanzo lo Stato non può che ricorrere al debito
pubblico o all´inflazione. Non potendo far ricorso a quest´ultima poiché non è
più nelle mani della Banca Centrale Nazionale, si è fatto appunto ricorso al
debito. Esso fu ridotto, in rapporto al Pil, dai governi di centrosinistra a
quota 105 creando nel contempo un avanzo primario di bilancio pari al 5 per
cento del reddito. Il governo Berlusconi-Tremonti ha mandato in disavanzo il
bilancio ed ha riportato il debito pubblico a 107-8.
Probabilmente il 2006 si chiuderà con un debito a livello di 110 rispetto al
Pil.
Voglio infine spiegare perché gli obiettivi del governo, ove mai fossero stati
realizzati, sarebbero stati soltanto un inutile sperpero di denaro.
L´economia italiana non ha bisogno di stimolare la crescita della domanda ma
piuttosto la crescita dell´offerta: offerta di nuovi prodotti, cioè innovazione.
In questa situazione lo stimolo fiscale deve essere concentrato sulle imprese e
non sui redditi personali. Ridurre il cuneo fiscale è utile alla competitività,
ridurre le aliquote Irpef è inutile specie se la maggior riduzione va ad
avvantaggiare i redditi più elevati.
Onorevole Tremonti, la sua pagella contiene dunque cifre e orientamenti
sbagliati. Lei merita zero in profitto ma lode in capacità di accalappiare i
gonzi.
Spero vivamente che questa volta i gonzi siano pochi.