Pende alla Camera un
disegno di legge in 45 articoli intitolabile «LŽavvocato dei miracoli»
ossia come squagliare i delitti, purché uno lo meriti: e lo merita chi
frequenta le compagnie giuste; nel mondo nascente, illuminato dal sole dŽArcore,
non hanno corso assiomi egualitari dŽodiosa memoria giacobina; vigono
norme ad personam, flessibili; ognuno trova la sua. Vale la pena
spigolarvi cominciando dai futuri artt. 36 sg. c.p.p. Era ora che glŽimputati
potessero scegliersi i giudici o almeno, schivare gli scomodi. I due
predetti articoli allargano talmente i motivi della ricusazione, che tutti
o quasi i componenti dŽun tribunale o corte diventano ricusabili. Basta lŽ«inimicizia»
col difensore, non meglio definita, mentre lŽattuale norma la richiede «grave»,
tra giudice e una delle parti private: viene a taglio qualunque modesta
tensione; e vi sono mille modi dŽinnescarla. Altro motivo lŽantipatia
politica: chi legga libri sospetti, ad esempio, o frequenti teste storte
non giudicherà gli uomini del re; e non parliamo dei dissidenti palesi;
uno dei 25 ddl qui rimpastati (Anedda, n. 1225) prevede anche lŽavere
emesso provvedimenti difformi dai «princìpi del giusto processo». LŽidea
profonda è che sia «iudex suspectus» chiunque non regga la coda alla
difesa. LŽinteressato se li toglie dai piedi con un soffio.
Nei processi berlusconiani danno spettacolo atleti del tempo perso e,
avendo un piede nel Parlamento, sŽinventano macchine dilatorie. LŽart.
108-bis dichiara prorogabili i termini dŽalmeno 30 giorni, anche più dŽuna
volta. LŽinsoddisfatto ricorre in cassazione. LŽart. 190, c. 1, qual è
ancora, esclude le prove «manifestamente superflue o irrilevanti»:
espediente selettivo necessario al sistema che non voglia implodere, ma i
guastatori blu lŽaboliscono; quando N indichi testimoni a miriadi (ad
esempio, glŽiscritti sulle liste elettorali del tal Comune), su qualunque
tema vagamente connesso ai fatti de quibus, il giudice li ammetterà senza
fiatare. LŽimputato ricco gli satura quante udienze vuole. LŽaltrettanto
micidiale art. 416, c. 2, commina una nullità assoluta ogniqualvolta il
fascicolo non contenga lŽintero prodotto delle indagini, briciole
incluse, interessino o no al fine istruttorio. È una sapientissima mina.
Sceltosi il momento, lŽartificiere dirà che nel fascicolo manca
qualcosa. In appello, ad esempio, un servizievole testimone racconta dŽavere
scritto allŽindagante: la lettera non cŽè; quel pubblico ministero cade
dalle nuvole, né potrebbe deporre (glielo vieta lŽart. 197, lett. d), o
magari non abita più questo pianeta. Sono letali le nullità assolute,
rilevabili finché duri il processo: invalido lŽatto col quale lŽattore
pubblico chiedeva il rinvio a giudizio, cadono i consecutivi; salta il
processo; gli strateghi del nulla volano ad nuptias. A richiesta della
parte, il giudice verifica che il fascicolo (...) contenga effettivamente
tutti gli atti dŽindagine compiuti» (o meglio, i relativi verbali: art.
421, c. 3-bis): resta un mistero come possa, se non lŽaiuta lo Spirito
santo; e pare sottinteso che lŽonere della relativa prova incomba allŽaccusa;
nel dubbio, quindi, lŽintero seguito va al diavolo o almeno lo
soster-ranno i paladini del «giusto processo».
Allo stesso ceppo
manicomiale appartiene lŽart. 391, c. 5-bis e ter, contemplante lŽimmediato
ricorso in Cassazione su materie interlocutorie (questioni preliminari,
nullità della domanda, valore processuale degli atti, ammissione o
esclusione delle prove), e i ricorsi pioveranno perché ogni volta
sopravviene una stasi automatica dŽalmeno 6 mesi. Se allŽimputato viene
comodo, il processo non finisce mai: basta chiedere lŽammissione della
prova x, tardiva o vietata; unŽordinanza gliela rifiuta; lui ricorre e
incassa i 6 mesi, scaduti i quali, ripete il gioco sulla prova y; lŽalternativa
è accogliere qualunque richiesta, anche demente, ma dove glŽimputati
siano due, interessati a perdere tempo, ricorre lŽaltro e la ruota gira
in folle. Combinato allŽart. 190, c. 1, il meccanismo sviluppa magnifiche
sinergie: N indica 10 mila testimoni; se glieli ammette, il cireneo
incanutisce nellŽascoltarli; quando poi, compiuti 72 anni, deponga la
toga, il dibattimento sarà rifatto. Eventuali rifiuti scatenano ricorsi e
relativi stalli. Mostri simili nascono tarati, inutile dirlo, perché i
legislatori non sono onnipotenti, ma lŽarnese chirurgico dŽablazione
delle norme invalide lavora finché un padrone dello Stato non metta le
mani sulla relativa Corte. Colmo dellŽironia macabra, questi due ordigni
figurano nel capo VI, inteso a «semplificare e accelerare i tempi».
Nel lessico berlusconiano «favor rei» significa assolvere dei colpevoli.
LŽidea risplende nel futuro art. 192, c. 3, mano soccorrevole tesa alla
mafia, nei cui processi lŽimputato rischierebbe poco se le co-se dette
dai correi contassero zero. Adesso contano fin dove le confermino «altri
elementi», ed era superfluo dirlo: non esistono parole infallibili; la
sentenza spiega perché le creda; identico vaglio subisce ogni testimone.
La nuova norma richiede che i cosiddetti riscontri siano documenti o
testimonianze. Supponiamo che su mille correi (ad esempio thug, gli
strangolatori devoti alla dea Kâli: figure salgariane ma è dato storico;
la giustizia inglese li scovava a migliaia in India), 999 confessino e le
rispettive confessioni convergano, mentre lŽultimo nega: condannati i
999, assolto il millesimo, se non lo inchiodano testimoni o documenti;
inutili le conclusioni induttive che lŽart. 192, c. 2, chiama indizi.
Magari sul correo "negativus" ne pesano dŽenormi (che da soli
non bastino a motivare la condanna), e bisogna assolverlo se non arrivano
il film dellŽaccaduto, scritture o reperti analoghi oppure testimoni (del
fatto attribuitogli, sosterranno i sofisti forensi, perché la prova
induttiva risulta implicitamente esclusa). I 61 collegi su 61 vinti nellŽisola
implicavano un debito. I vincitori lo stanno pagando: questŽarticolo dŽoro
apre lŽiter; poi in ossequio al «giusto processo», verrà la revisione
delle condanne irrevocabili; nel laboratorio parlamentare pendono disegni
ad hoc.
Lo strabiliante art.
335-bis codifica unŽidea talmente cavalleresca dello stile accusatorio,
da garantire larghe impunità. Sentiamola: il publico ministero riceve una
notizia su N; iscrivendola nel registro, prima quindi dŽessersi mosso,
deve avvertirlo; «en garde»; non commetta passi falsi; diffidi del
telefono; attento a non farsi captare suoni e immagini; e sapendosi nellŽocchio
inquirente, sia cauto se delinque ancora. LŽignaro arrischia una domanda:
bisogna avvertire tutti?; anche mafiosi, narcotrafficanti, terroristi,
estorsori, mercanti di carne umana? Sì, a meno che lŽindagante chieda un
permesso e il giudice glielŽaccordi: 6 mesi, prorogabili una sola volta,
col limite massimo dŽaltri 6; spirati i quali scatta lŽavviso, la cui
omissione annienta ogni atto posteriore. È motivo dŽorgoglio sapersi
cittadini dŽun fortunato paese i cui parlamentari scolpiscono nel marmo
tali capolavori. Manca una bellissima invenzione del ddl n. 1225 ma non
disperiamo: volano tanti falchi; qualcuno la ripescherà. Esponiamola
affinché i lettori misurino lŽanima dei Baiardi forzaitalioti. LŽart.
407 impone dei termini alle indagini: gli atti tardivi nascono morti; ai
garantisti sembra poco e li sotterrano tutti, anche i tempestivi,
lanciando un eloquentissimo segnale, che le imprese criminali siano meno
temibili deglŽinvestigatori accaniti. Infine, e chiudo il florilegio, lŽart.
507 non ammette più prove acquisite ex officio nel dibattimento: deve
chiederle una parte; ed entrano solo se conducono al proscioglimento; le
altre tamquam non essent. Gli spavaldi riformatori postulano processi
penali dallŽoggetto disponi-bile, quasi fossero sul tappeto un credito,
diritti reali, affari condominiali: ipotesi assurda, notavo 11 anni fa
nella «Procedura», e così ragionano le Sezioni unite, nonché Corte
cost. 26 marzo 1993 n. 111, ma sono argomenti dŽuna dialettica ormai
obsoleta, squagliati dal sole dŽArcore.
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