IL GIUDICE à la carte non è previsto dalla nostra Costituzione. Anzi, vi
domina severa la formula dell´art. 25 «nessuno può essere distolto dal
giudice naturale precostituito per legge». Nessuno può essere sottratto
al «suo» giudice per arbitrio di potere pubblico. E, certo, a maggior
ragione, nessuno può sottrarsi a esso per arbitrio privato. Questa è la
regola, poi ci sono le eccezioni: che, come tutte le eccezioni non possono
essere allungate né allargate ad altri casi. Sono perciò racchiuse in
formule tassative. Chi scorre gli articoli da 34 a 49 del nostro Codice di
procedura penale si accorge facilmente che quelle deroghe al principio
costituzionale del «giudice naturale» (cioè fissato una volta, per
sempre e per tutti, dalla legge) sono deroghe «strette».
SEGUE A PAGINA 15
Con
il giudice à la carte una crepa nella Costituzione
C´è una misteriosa irragionevolezza nell´accanimento con cui il Polo
difende questa idea
Con il suo progetto la maggioranza punta a pilotare i processi da una sede
all´altra
Incompatibilità,
astensione, rifiuto dei giudici e trasferimento dei processi a giudici
diversi da quello «naturale» sono perciò ipotesi regolate da una
casistica minuta che non lascia spazio ad abusi di autorità né a
espedienti di imputati.
Ma queste eccezioni alla norma processuale non sono costruite così da
sempre. Lo sono da quando, nel 1988, il Codice di procedura penale è
stato adeguato alla Costituzione repubblicana. Prima le maglie erano più
larghe e più elastiche. Il trasferimento dei processi ad altri giudici -
per venire all´ipotesi che è di attualità - poteva infatti effettuarsi
semplicemente per «legittimo sospetto» di non imparzialità del giudice,
o per motivi di «ordine pubblico».
Quando si pose mano al nuovo Codice, la genericità di quelle formule
coincideva con la loro pericolosità. Il Parlamento dette perciò delega
al Governo di emanare norme che, prevedendo, come criterio direttivo, le
due ipotesi di trasferimento processuale («ordine pubblico» e «legittimo
sospetto») le specificassero in norme di dettaglio. Si metteva in moto
così un normale procedimento di delega legislativa, con la dualità dei
compiti prevista dall´art. 76 della Costituzione. Al Parlamento, la
determinazione dei «criteri direttivi»; al Governo, il compito di «attuare»
legislativamente quei criteri.
Quella volta però, ed era la prima volta nella storia costituzionale
nostra, quel procedimento duale fu più garantito del solito. Si stabilì,
infatti, un dialogo assai fitto tra la Commissione che il governo aveva
incaricato di attuare la delega e la Commissione parlamentare che doveva
controllare l´aderenza delle norme di attuazione alla legge di delega. La
prima Commissione era presieduta da Giandomenico Pisapia, la seconda da
Marcello Gallo. E per ben due volte la Commissione bicamerale dette, con
una densa reiterazione di controllo, parere favorevole, di conformità
alla delega, sulle norme scritte dalla Commissione governativa.
Quando quelle due Commissioni giunsero al punto di dare attuazione ai due
«criteri» tradizionali di trasferimento processuale (motivi di «ordine
pubblico» e di «legittimo sospetto») si trovarono concordi sulla
necessità di legare le due formule ballerine a un fatto oggettivo. Questo
ormeggio è individuato dall´art. 45 del Codice vigente in «gravi
situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non
altrimenti eliminabili». È da queste «gravi situazioni locali» che
possono essere «pregiudicate» sia la «sicurezza o l´incolumità
pubblica» (ecco il criterio dell´«ordine pubblico») sia «la libertà
di determinazione delle persone che partecipano al processo» (ecco il
criterio di «legittimo sospetto» ).
In buona sostanza, la fredda interpretazione di quella concreta delega
legislativa ci dice che il criterio direttivo «legittimo sospetto» non
è stato omesso. Esso è stato svolto, specificato, dettagliato nella
formula delegata.
Giuridicamente, non sono scomparse quelle due parole. Ma sono state
incorporate, per attuazione, nella formula che definitivamente è scritta
nel Codice. Così come la nozione di «ordine pubblico» non è scomparsa,
ma è stata specificata nelle due oggettive situazioni di pericolo per la
«sicurezza» e la «incolumità pubblica».
Testimonia Marcello Gallo sul Sole 24 Ore: «Avevamo due possibilità.
Intendere la formula «legittimo sospetto» come una clausola generale
onnicomprensiva di ogni e qualunque motivo di legittimo sospetto. Oppure
enucleare i casi nei quali la giurisprudenza aveva ravvisato, in modo
sostanzialmente unanime, il fondato motivo di «legittimo sospetto».
Scelsero, a ragion veduta, la seconda possibilità di attuazione della
delega. E anche da questa testimonianza si capisce che come la specie non
cancella il genere, così la formula di delegazione è stata, com´è
naturale, assorbita in quella delegata: e questa va dunque interpretata
alla luce di quel criterio.
Sul punto, la Cassazione ebbe allora dei dubbi. Ma furono respinti perché
si ritenne, come è scritto nella relazione al Progetto di codice, «che
la formulazione adottata recuperasse integralmente ed espressamente tutti
i criteri elaborati dalla giurisprudenza» nell´interpretazione del
legittimo sospetto. Su quei dubbi la Cassazione è però tornata il 22
maggio scorso, e si è di nuovo chiesta se la norma delegata non dovesse
testualmente ripetere nella sua formulazione il criterio direttivo: e non
semplicemente attuarlo. La Cassazione ha però preferito passare alla
Corte costituzionale la questione, per un chiarimento definitivo del
rapporto tra le due norme. Che, a ben vedere, è anche il rapporto tra i
due diversi ruoli istituzionali di Parlamento e Governo, fissati nell´art.
76 della Costituzione. Una comprensibile, e legittima, applicazione del
principio di precauzione.
Su questa cautela si è infilato, come saldo estivo della sessione
parlamentare, il progetto di legge della maggioranza. Che tenta di
ripristinare, in tutta la sua straordinaria ampiezza e genericità, il «legittimo
sospetto». Non più dunque oggettivato in rischio effettivo alla libera
determinazione dei giudici, causato da «gravi situazioni locali». Ma
inteso come causa autonoma, affidata al vento degli arbitri pubblici e
privati, in «uno spazio autonomo di discrezionalità incontrollata», non
più suscettibile di oggettivi ancoraggi.
Un progetto così concepito conduce diritto a risultati devianti dalla
correttezza costituzionale. Perché interponendosi tra un giudice e l´altro
(Cassazione e Corte costituzionale) compie uno scippo dell´oggetto del
giudizio, affermando l´esistenza di una «lacuna». E precludendo così
alla Corte, con evidente straripamento di potere legislativo, l´altra più
plausibile ed equilibrata interpretazione basata sulla lettura congiunta e
inseparabile del criterio direttivo e della norma di attuazione (scippo
anomalo già rilevato da processualisti come Giovanni Conso, Vittorio
Grevi, Giulio Illuminati). Perché, poi, disancorando il «legittimo
sospetto» da dati oggettivi (quelle «gravi situazioni locali» che, come
dice Franco Cordero, «snaturino fisicamente l´evento processuale o
infirmino l´autonomia morale dei partecipanti») entra in aperta
collisione con il principio costituzionale del giudice naturale.
Sostituito con il principio del giudice scelto con il dito («a dedazo»
dicono in Mexico). Perché, ancora, picconando l´art. 25 sulla
precostituzione del giudice, mette in sofferenza il principio
costituzionale del giusto processo (fondato sul «giudice terzo e
imparziale» dell´art. 111).
Perché, infine, trasporta il «legittimo sospetto» dal processo penale
al procedimento parlamentare. Quel procedimento che l´art. 67 delle
Costituzione vorrebbe ispirato dalla rappresentanza della Nazione, «senza
vincolo di mandato». Mentre qui invece è apertamente richiamato un
interesse privato in atti parlamentari. Quello di varare la legge per
bloccare, subito, un concreto processo penale a Milano. Dimenticando,
senza alcun rimorso, la distinzione antica e civile tra lex e privilegium.
Alcuni giorni fa l´Economist faceva un elenco di leggi di sospetto e
favore per membri del nostro governo. Elenco ripreso da tutta la stampa
internazionale. Ma quelli dell´Economist non potevano sapere che c´era
ancora una coda d´estate. La riscoperta del «legittimo sospetto» per
pilotare da una sede giudiziaria all´altra i processi penali. Ecco: ora,
il catalogo è questo.
Un velo di misteriosa irragionevolezza copre però questo saldo di
stagione. Non si capisce tanto accanimento per un progetto che comunque
dovrà andare alla Camera, dove si prepara, com´è ovvio, un Vietnam. Per
un progetto che sul piano etico-politico riesce a cementare l´opposizione
parlamentare plurale e questa con l´opposizione civica. Per un progetto
che innalza tra i Poli un terribile muro, con conseguenze catastrofiche
per ogni speranza fondata sulla prospettiva di moderazione e di
razionalizzazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione.
Di fronte a tanti guasti, si può forse immaginare, dietro i tristi «ascari»
esecutori, un mandante. Non si riesce però a capire quale sarà, e se ci
sarà, il beneficiario finale di questo sconquasso, privo di senso, del
nostro sistema politico.
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